IEG, cominciato oggi il collocamento delle azioni
IEG ha copmunicato di aver presentato oggi in Borsa la domanda di ammissione alle negoziazioni delle proprie azioni ordinarie nel mercato MTA.
Ad essere collocate sul mercato (solo investitori istituzionali) saranno complessivamente n. 5.392.349Azioni poste in vendita da Rimini Congressi S.r.l. (per massime n. 4.870.000 Azioni) e Salini Impregilo S.p.A. (per massime n. 522.349Azioni).
In caso di integrale collocamento delle azioni complessivamente offerte, le stesse rappresenteranno complessivamente il 17,47% del capitale sociale di IEG dopo la quotazione.
Gli azionisti Venditori e i Coordinatori dell’offerta hanno individuato un intervallo di prezzocompreso tra un minimodi Euro 3,70 per Azione e un massimo di Euro 4,20 per Azione,corrispondente adun equity value post-money (assumendo l’integrale collocamento delle Azioni oggetto dell’Offerta) compreso tra un minimo di Euro 114,2milioni ed un massimo di Euro 129,6milioni.
Il collocamento istituzionale è iniziato oggi e terminerà il giorno 20 giugno 2019, salvo proroga o chiusura anticipata. L’inizio delle negoziazioni delle azioni sul MTA, atteso per il giorno 25 giugno 2019, sarà stabilito da Borsa Italiana con successivo avviso, subordinatamente alla verifica della costituzione del flottante sufficiente.
Quotazione in Borsa, IEG ci riprova
IEG ci riprova con la quotazione in Borsa. Come nell'operazione poi ritirata nel dicembre scorso. Il collocamento delle azioni non sarà aperto al pubblico ma riservato esclusivamente agli investitori istituzionali. “Il flottante richiesto ai fini della Quotazione – si legge infatti in un comunicato - sarà ottenuto per il tramite di un collocamento privato (il “Collocamento Istituzionale”) riservato ad investitori qualificati in Italia e istituzionali esteri (gli “Investitori Istituzionali”), ai sensi della Regulation S dello United States Securities Act del 1933, come successivamente modificato, con esclusione di Stati Uniti, Canada, Giappone e Australia”.
La nota precisa che “Non è prevista alcuna offerta al pubblico indistinto in Italia e/o in qualsiasi Altro Paese” e che “.Le Azioni oggetto dell’Offerta saranno poste in vendita da Rimini Congressi S.r.l. e Salini Impregilo S.p.A." . La società inoltre ha informato che intende avvalersi della facoltà di derogare agli obblighi di pubblicazione dei documenti informativi.
"Il Prezzo di Offerta - prosegue la nota - sarà reso noto mediante pubblicazione di apposito comunicato stampa consultabile sul sito internet dell’Emittente www.iegexpo.it, nell’area dedicata “Investor Relations”, entro cinque giorni di Borsa aperta dal termine del periodo di raccolta degli ordini. L’avviso con cui verrà reso noto il Prezzo di Offerta conterrà, inoltre, i dati relativi alla capitalizzazione della Società calcolati sulla base del Prezzo di Offerta, nonché il ricavato complessivo derivante dall’Offerta, riferito al Prezzo di Offerta e al netto delle commissioni riconosciute al consorzio di collocamento e garanzia.
L’inizio delle negoziazioni delle Azioni sul MTA sarà stabilito da Borsa Italiana con successivo avviso, subordinatamente al rilascio da parte della CONSOB dell’approvazione alla pubblicazione del Prospetto Informativo e alla verifica da parte di Borsa Italiana della costituzione del flottante sufficiente".
Per la BPV il futuro è solo in un progetto di aggregazione
A due settimane dalle elezioni che hanno cambiato integralmente il consiglio di amministrazione della Banca Popolare Valconca, facciamo il punto della situazione con il prof. Alessandro Berti, professore associato di Tecnica Bancaria presso la facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Urbino e già consigliere della banca stessa.
Il cambio integrale del CdA appare come un segnale di sfiducia nella precedente conduzione della Banca Popolare Valconca. Lei che ne pensa?
Osservo due cose: da una parte, l’ampia maggioranza che si è coagulata intorno alla lista dell’ATA non ha proposto all’assemblea se non un removal totale del precedente CdA sulla base dell’assunto che tutto fosse sbagliato e da rifare; d’altra parte nessuno degli attuali consiglieri di maggioranza può vantare esperienze di gestione bancaria e certamente il compito che li attende appare arduo, soprattutto alla luce di una constatazione tanto semplice quanto realistica, ovvero che l’unico piano industriale fattibile per BPV contempla un’aggregazione. In assemblea si è sentito parlare di app innovative e di formazione ai dipendenti, ma mi pare che si tratti di pannicelli caldi di fronte alla necessità di attuare una forte strategia industriale.
Come giudica complessivamente la sua esperienza quale amministratore? Sono stati due anni molto intensi, pieni di lavoro e di fatica: abbiamo portato a termine la trasformazione in S.p.A., abbiamo ceduto tutte le sofferenze in un momento estremamente favorevole per il mercato, abbiamo proceduto ad un’operazione che ha incrementato significativamente la già buona solvibilità e liquidità della banca, riscuotendo il costante apprezzamento da parte di Banca d’Italia. Penso che abbiamo fatto, veramente nell’ombra, un lavoro duro, che ci ha consentito di consegnare all’attuale CdA la banca molto migliore di come l’avevamo lasciata. Ai nuovi amministratori spetta ora il compito di continuare a servire il nostro territorio che, è bene ricordarlo, non è fatto di grandi corporation o di società quotate, ma di aziende individuali, di società di persone, di micro-imprese e di PMI: so per esperienza che non è facile analizzarle e valutarle, ma sono convinto che questo punto sia decisivo, sia per la banca, sia per il nostro territorio. Penso comunque che la mia esperienza e quella dei miei Colleghi sia da valutare positivamente, anche per l’amicizia operativa che è scaturita dal lavoro comune: credo che il tempo sia galantuomo e ce lo riconoscerà.
Quali prospettive si aprono per i dipendenti, la cui lista insieme a quella di Giordano Emendatori, è uscita sconfitta dalle elezioni?
I dipendenti di BPV, soprattutto negli ultimi anni, hanno mostrato una notevole incertezza. Non c’è elezione del Consiglio nella quale non abbiano pesato, pensando che tutto, in qualche modo, potesse restare come prima, e sfiduciando dopo pochi mesi, uno dopo l’altro, tutti gli amministratori da essi stessi scelti, me compreso. Ora li attende un rapporto che reputo non facilissimo con il nuovo CdA che, proprio per la mancanza di esperienza nella gestione bancaria (e l’azienda bancaria non è un’azienda come un’altra, necessita di expertise ad hoc e di competenze specifiche: basti pensare ai fidi e alla capacità di valutare situazioni borderline, come le aziende individuali) impiegherà del tempo per comprendere la nuova situazione. Paradossalmente quello che da una parte era una debolezza (la mancanza di esperienza) è stata premiata, mentre la presentazione di un elenco di nominativi dal curriculum notevole non è bastata.
In conclusione, cosa prevede per Banca Popolare Valconca?
La BPV è l’unica banca del territorio rimasta, a dispetto delle macerie di Carim e Caricesena e dell’inevitabile confluire delle Bcc nei due principali gruppi nazionali. Tale ultima circostanza rafforzerà la capacità di investire sul territorio da parte delle Bcc rimaste e dunque per BPV, come più volte sottolineato nei colloqui col regolatore e, con tutta evidenza, anche solo guardando i bilanci, un progetto industriale di aggregazione è l’unica strada. Mi auguro che tale consapevolezza, che è sempre stata evidenziata dal precedente Cda come operazione ineludibile e necessaria, sia fatta propria anche dai nuovi amministratori, anche se dai rumors che mi giungono, non si tratta di nulla di scontato.
Pizzolante alla ricerca del "partito che non c'è"
Sergio Pizzolante, 58 anni, deputato per tre legislature, oggi imprenditore, è fortemente appassionato al tema del “partito che non c'è”. Sostiene che: “Nel nuovo scenario proporzionale e nell'era dei sovranismi e dei populismi, manca in Italia una forza politica di centro liberaldemocratica e liberalriformista, che abbia idee liberali su economia, fisco, giustizia e lavoro ma nello stesso tempo si ponga il problema di proteggere i più deboli dentro le grandi trasformazioni epocali e dentro i tumulti dell'economia globale”.
Pizzolante, pur non facendo oggi attività politica diretta, continua a tessere relazioni e incontri, soprattutto a livello nazionale. È fra gli organizzatori e i protagonisti a Roma, il prossimo 13 giugno, della prima edizione dei “Colloqui sulla democrazia”, promossi dal Centro Studi Americano, dall'Istituto Cattaneo e altri think thank. “Il mio sogno – confida – è di portarli a Rimini per farne un centro internazionale, sull'esempio del Pio Manzù, e collegare ad essi una scuola di formazione politica per giovani”.
Torniamo alla ricerca del “partito che non c'è”. “Rivendico – afferma Pizzolante - di aver avuto questa visione già più di tre anni fa quando insieme ad altri amici ho promosso l'esperienza di Patto Civico a Rimini e a Riccione. Patto Civico non era una banale lista civica, era un'iniziativa politica perché marcava la necessità di occupare uno spazio politico, competitivo con il Pd sul piano dei contenuti e della rappresentanza del ceto medio produttivo e del mondo delle professioni, e nello tempo radicalmente alternativa ai populismi e ai sovranismi. In quegli anni è sorto il partito di Macron in Francia, Ciudadanos in Spagna, altre forze liberalrifomiste nei paesi nord europei e, se mi posso permettere un'esagerazione personale, la nostra esperienza a Rimini. Già tre anni fa era chiaro che centrodestra e centrosinistra, così come li avevamo conosciuti, erano politicamente morti: nel centrodestra era cominciata la crisi di Berlusconi e dell'area moderata, nel centrosinistra era avviata la crisi della componente postcomunista. Patto Civico è nato sia per dare rappresentanza al ceto medio sia per sostenere l'azione eccezionale di un sindaco che ha cambiato radicalmente il volto di Rimini, sottraendolo alle liturgie e ai condizionamenti delle listarelle post comuniste della legislatura precedente, e alle correnti conservatrici del suo partito. Patto Civico è nato come accordo con il sindaco, non con il Pd, dal quale a livello locale è stato osteggiato, mentre aveva avuto un plauso dai dirigenti regionali e nazionali”.
Ma questo fantomatico partito che non c'è, l'auspicata nuova casa dei moderati, ha qualche possibilità? Sta succedendo qualcosa?
“Un sistema in cui sovranisti e populisti hanno il 60 per cento, se si aggiunge la Meloni e una parte di Forza Italia addirittura il 70, non può reggere. L'Italia è in controtendenza rispetto all'Europa perché le forze della sinistra socialista vanno indietro, Zingaretti recupera voti vergognandosi delle riforme del centrosinistra, dal jobact in giù. Quindi, per rispondere alla domanda, succede poco o tutto quello che succede non è all'altezza. Calenda poteva essere una speranza, se avesse fatto il Macron italiano oggi sarebbe a capo di un partito del 10-15 cento. Ha invece condotto un'operazione sconclusionata, prima si è iscritto al Pd, poi si è candidato come una sorta di indipendente dentro il Pd con la pretesa di creare, con il consenso di Zingaretti, un centro dipendente dal segretario dem. Non può funzionare, non si fanno operazioni a tavolino. C'è stata l'iniziativa lodevole di +Europa ma sconta la cultura minoritaria dei radicali e l'incapacità di darsi un programma liberal riformista capace di cambiare l'Europa e di esprimersi su questioni rilevanti come fisco, giustizia e lavoro. Va anche detto che la cosiddetta area renziana non può stare dentro un Pd che torna indietro. Renzi ha provato a trasformare il Pd da partito dei cattolici di sinistra e dei post comunisti in una forza realmente riformista e liberale. Questa area non può restare con Zingaretti secondo il quale l'Urss è stata utile per salvare i partiti comunisti dell'Occidente. Il soggetto nuovo non potrà che nascere dalla scomposizione del Pd ed anche dalla scomposizione di Forza Italia, dove una parte andrà con Toti a fare un partito al servizio di Salvini, mentre un'altra non vuole avere niente a che fare con questo tipo di destra. Ci sono in atto movimenti e reti che inevitabilmente porteranno alla nascita di un soggetto nuovo”.
Quello che però non si vede all'orizzonte è un leader, una persona che con linguaggio nuovo dia voce ai moderati...
“Concordo. Come dice Mauro Calise nel suo libro La democrazia del leader, oggi la politica è la sintesi di una leadership e di una capacità di proposta politica innovativa. Al magma in movimento manca qualcuno che lo possa assemblare. Però resta vero quello che diceva Nenni: in politica i vuoti prima o poi si riempiono. Questo processo, inevitabilmente, si metterà in moto. I tempi dell'esito dipendono da molti fattori, fra cui la tenuta del governo gialloverde e la data delle prossime elezioni. Si dovesse votare a settembre, l'alternativa sarà fra una destra vincente e un Pd perdente, se si vota fra uno o due anni, potrebbe esserci in campo qualcosa di nuovo”.
Torniamo a Rimini. Alla luce di queste considerazioni, che scenario immagina per il dopo Gnassi?
“Mancano due anni e oggi in politica sono un'enormità. Ciò che è auspicabile è che il dopo Gnassi sia all'altezza di Gnassi. Occorre un gruppo di persone che sia capace di prendere in mano il testimone di un sindaco che ha saputo interpretare il suo ruolo nella città e il ruolo di Rimini nello scenario ampio del protagonismo internazionale delle città. In questi anni di globalizzazione, accanto ai movimenti estremi populisti e sovranisti, si è affermato un protagonismo delle città che hanno saputo innovare la progettazione per il futuro, come ad esempio Milano. Gnassi ha saputo inserire Rimini in questa scia. Penso dunque che la ricerca del dopo Gnassi non possa essere fatta entro le sigle attuali ma sopra, come lo è stato lo stesso Gnassi”.
In questa partita che ruolo vede per il suo Patto Civico?
“Premesso che c'è un gruppo consigliare e gruppi di lavoro che sono autonomi, si vedrà. Nella consapevolezza che il Patto Civico è l'anticipo del partito che non c'è a livello nazionale, nella speranza che il partito che non c'è finalmente appaia”.
Valerio Lessi
Bellaria, il Comune dove sopravvive "Il partito che non c'è"
Se in Italia gli elettori moderati sono alla disperata ricerca di una casa che non hanno più, stretti come sono fra populismo, sovranismo e una sinistra con lo sguardo rivolto all'indietro, a Bellaria Igea Marina la casa esiste e resiste eroicamente agli assalti delle ruspe salviniane.
Un dato interessante delle ultime elezioni amministrative, è la sopravvivenza a Bellaria di un partito, l'Udc (con tanto di scudocrociato nel simbolo), praticamente scomparso dai radar nazionali ma vivo e prospero nel regno di centrodestra ora ereditato da Filippo Giorgetti. Alle elezioni del 26 maggio ha ottenuto il 7,57 per cento ed ha eletto un consigliere, Ivan Monticelli, con il più che rispettabile gruzzolo di 277 preferenze, ovvero il recordman assoluto, anche rispetto a partiti ben più consistenti.
L'anomalia bellariese è messa in evidenza dall'ex sindaco Nando Fabbri in un articolo per il foglio online di Ottopagine, espressione dell'ala riformista del Pd di Bellaria, dove sottolinea che per tre volte l'Udc è stata determinante per eleggere al primo turno i candidati sindaci del centrodestra. Fabbri parla di “un contratto politico e di potere fra i cattolici locali e la destra”, argomenta che l'Udc è l'erede della Democrazia Cristiana che ha i suoi punti di forza in alcune parrocchie a partire da Bordonchio e nella gestione della Banca di Credito Cooperativo”. Secondo Fabbri, l'Udc di Bellaria esprime “una realtà sociale e politica fertile la cui vera contraddizione è il rapporto anomalo con la Lega, oggi, e prima con la destra post-fascista”. Ma l'ex sindaco non si nasconde che questa sopravvivenza democristiana dipende dal fatto che a Italo Lazzarini, sindaco per un mandato, non è stato consentito di fare il bis proprio da un Pd locale (o come allora si chiamava) egemonizzato da Fabbri.
In ogni caso resta il caso, quasi una case history da manuale, di un centrodestra che, nel voto amministrativo esprime ancora una forte trazione centrista. Non c'è solo la sopravvivenza dell'Udc, c'è Forza Italia che continua a registrare un onorevole 16 per cento, c'è la civica Siamo per Bim che ha ottenuto un altro 7,7 per cento. E come controprova, c'è una Lega che nello stesso giorno perde 17 punti dal voto delle europee a quello amministrativo. Si potrebbe dire che a Bellaria Igea Marina "il partito che non c'è", di cui discettano commentatori e politologi, c'è e riesce a sopravvivere nell'alleanza con la Lega che, anche se farà il pieno di assessorati, non ha però fatto il pieno nelle urne. Se infatti ai salviniani andranno le tre poltrone richieste, sarebbe un'altra anomalia che si aggiunge a quelle già evidenziate: la Lega perde la sfida interna con l'area centrista (nonostante l'imbarco di uomini ex di Forza Italia) e viene premiata con tre assessorati.
Un altro elemento che caratterizza Bellaria Igea Marina è il legame organico delle principale associazioni economiche di categoria con i partiti di centrodestra, una situazione che non ha eguali in altri Comuni della Provincia, dove le associazioni appaiono divise fra loro ed alcune hanno scelto di trasformarsi in una sorta di protettorato del sindaco in carica.
Certamente anche questo legame organico (cementato in un organismo come Verdeblu) influisce in profondità nel successo elettorale del centrodestra. Si può anche dire che a questo rapporto ha contribuito anche la decennale esperienza delle giunte Scenna (le ultime di sinistra prima di Ceccarelli) che hanno provocato una rottura sostanziale fra le amministrazioni di sinistra e il mondo economico. Se per decenni le categorie economiche sembravano temere il cambiamento, rifungiandosi nel rassicurante mantenimento di uno status quo, dopo le giunte Scenna questo patto tacito è mancato e ha contribuito a saldare il blocco sociale di centrodestra.
Bellaria, i contrasti nella Lega frenano la giunta. Si aspetta Morrone
Dovrà essere il sottosegretario Jacopo Morrone, capo della Lega in Romagna, a sciogliere il nodo della nuova giunta di Bellaria Igea Marina. Se il neo eletto sindaco Filippo Giorgetti non l'ha ancora nominata, è soprattutto perché il partito di Matteo Salvini non è ancora riuscito a prendere una decisione sulla propria delegazione di giunta. Una delegazione numerosa: alla Lega andranno infatti il vice sindaco e altri due assessori. Un assessore sarà assegnato all'Udc e un altro alla civica Siamo per Bim. Per Forza Italia resteranno solo il presidente del consiglio comunale (confermato Roberto Maggioli) e ovviamente il sindaco eletto. Una sproporzione evidente considerando il fatto che alle comunali la Lega ha preso solo il 20 per cento (ben sedici punti in meno rispetto alle europee) mentre gli altri partiti della coalizione hanno concorso alla vittoria di Giorgetti per il il 33 per cento. Ma i voti si pesano, non si contano, si potrebbe dire parafrasando il vecchio Enrico Cuccia che però parlava di azioni.
Un bottino post-elettorale cospicuo, per la Lega, che però deve far intervenire il gran capo romagnolo per dirimere le faide interne insorte fra i salviniani. In giunta dovrebbe entrare, come da accordi pre-elettorali, Cristiano Mauri, nel ruolo di vice sindaco, anche se alla prova del voto non ha brillato: è arrivato solo secondo, distanziato di parecchio da Simone Vorazzo che è un ex di Forza Italia. E qui sta uno dei problemi della Lega: ha imbarcato nella lista molti ex azzurri bellariesi, pensando così di fare il pieno di voti. Così non è stato e adesso, stando a quanto trapela, la corrente ex berlusconiana sta provocando problemi. Poi c'è il nodo dell'ex sindaco Enzo Ceccarelli che la Lega, di tanto in tanto, ma non sempre con uguale determinazione, propone come assessore, sostenendo che sarebbe cosa utile poter contare sulla sua decennale esperienza. Una eventualità che fa andare sugli scudi non solo il sindaco Giorgetti ma anche gli altri partiti della coalizione. Non sfugge a nessuno che la presenza di Ceccarelli in giunta avrebbe l'aspetto di una imbarazzante tutela del sindaco appena eletto.
Il problema non si porrebbe se fosse Ceccarelli per primo ad escludere una sua nomina. Ma a quanto risulta non è così. Un posto di assessorato, magari con la delega al turismo, non solo gli consentirebbe di restare in pista, ma di continuare a intrattenere rapporti con le categorie economiche, con gli organismi turistici provinciali e regionali, con Visit Romagna. Prima delle elezioni, quando era emerso il passaggio di campo dell'ex sindaco nella Lega, si ipotizzava una sua candidatura per le regionali sotto le insegne di Alberto da Giussano. Allo stato attuale non c'è trippa per gatti. A Rimini il candidato certo, già deciso, è Bruno Galli, segretario provinciale. C'è un altro riminese che scalpita ed è il segretario Marzio Pecci. Qualora si decidesse che Rimini esprime un solo candidato, negli ambienti leghisti si esclude che un altro candidato possa essere Ceccarelli, troppo recente la sua conversione al verbo salviniano, nessuna medaglia conquistata nella militanza spicciola, gazebo, feste, prati di Pontida. Insomma l'unico ancoraggio possibile per Ceccarelli sarebbe la giunta di Bellaria. Stasera il consulto fra Morrone e il sindaco (a Savignano, prima o dopo un comizio) scioglierà il nodo.
Palacongressi di Riccione, il peccato originale e lo stato attuale
Nella querelle fra gruppi di minoranza e di maggioranza a Riccione sullo stato di salute del Palacongressi forse non è emerso come sarebbe stato necessario il peccato originale di quella struttura. Il peccato originale è quello di essere nato. Le passate amministrazioni di Riccione a guida Pd e il sistema politico locale, una decina di anni fa certamente più improntato sul Pd rispetto ad oggi, hanno la grave responsabilità di aver acconsentito che a dieci chilometri di distanza sorgessero due palazzi dei congressi, ciascuno dei quali accompagnato da business plan che ne certificavano l'assoluto successo in termini di fatturato e di presenze. La crisi cominciata nel 2008 si è incaricata non solo di smentire quanto quelle previsioni fossero azzardate, ma ha posto seri problemi ai bilanci delle due strutture. Il PalaRiccione è stato inaugurato nel 2008, il PalaRimini nel 2011, ma quando sono stati avviati i lavori per Riccione si sapeva che prima o poi sarebbe atterrata anche l'astronave di Cagnoni. La logica del campanile ha prevalso su ogni altra considerazione.
Quindi hanno avuto gioco facile i gruppi di maggioranza a ironizzare sull'improvvisa sensibilità del Pd locale rispetto ai costi di gestione del Palacongressi. Come noto, Sabrina Vescovi, già avversaria di |Renata Tosi alle ultime elezioni, nella sua veste di presidente della commissione di controllo e garanzia ha convocato riunioni sul tema (senza troppi risultati, in verità) e insieme agli altri gruppi di minoranza ha convocato un consiglio comunale a tema che si terrà il prossimo 13 giugno.
“La storia del Palas – hanno dichiarato i capigruppo di maggioranza - merita brevemente di essere raccontata: prima il PD, al momento della sua costruzione, ha presentato un piano economico-finanziario completamente infondato; poi, una volta aperto il Palas, quando si è accorto che tutti i calcoli economici e le previsioni di sostenibilità dell’opera erano completamente sballati, ha deciso di far pagare gli ulteriori 30 milioni di debito per la costruzione direttamente ai cittadini, scaricandone la proprietà al Comune.
I piddini di oggi, sono gli stessi piddini che venti anni fa dicevano che la società di gestione del Palas avrebbe macinato utili anche pagando annualmente una rata di ammortamento del mutuo di circa 1 milione di euro. Nemmeno è il caso di evidenziare come mai nessuna previsione si è rivelata più errata...”. I capigruppo infine rilevano che il Palas è un’opera sbagliata frutto di una operazione altrettanto sbagliata, per tempi e per modi; ma ora che il Palazzo c’è, i conti, non considerando la rata del mutuo, sono migliorati e le presenze raddoppiate. Si cerca, in definitiva e con assoluta responsabilità, di farlo lavorare al meglio, nell’interesse di tutti cittadini”.
Al di là delle schermaglia politiche fra maggioranza e opposizione, come sta funzionando il Palacongressi di Riccione? I dati sono nella relazione al bilancio della New Palariccione, la srl che vede il Comune di Riccione come azionista di riferimento e soci privati come Riccione Congressi, Ascom Servizi, Confindustria e l'ex Carim.
Nel 2018 si sono tenuti 83 eventi che hanno occupato la struttura per 205 giornate. Rispetto al 2018 c'è stato un incremento del fatturato pari al 28 per cento e 35 eventi in più. Il bilancio è stato chiuso con un utile di 268 mila euro, anche questo in crescita rispetto quello del 2017 (198 mila). Gli utili non sono sufficienti a pagare la rata del mutuo, ma la gestione ordinaria non è in perdita.
Certamente esistono problemi, che la stessa relazione della presidente Eleonora Bergamaschi non nasconde. Innanzitutto problemi di concorrenza: la nascita di grandi centri alberghieri e di altre strutture congressuali ha prodotto un declino del prodotto “palazzo”. In particolare la relazione lamenta la concorrenza di strutture per eventi non convenzionali (sedi aziendali, parchi divertimenti, centri sportivi, arene e teatri, musei, centri universitari). Rispetto a queste strutture il PalaRiccione non è competitivo sia per la raggiungibilità che per il prezzo. Ha sofferto anche nel settore tipico congressuale per la presenza di strutture nell'area centro nord.
Qual è dunque il mercato che intercetta il Palazzo dei Congressi di Riccione? Il 75 per cento degli eventi ospitati è di tipo aziendale, ottenuti sia con trattative diretta che tramite agenzie. “E' un mercato che continueremo a ribattere, - scrive Bergamaschi - nonostante sia il più instabile e rischioso, ma è quello che risulta con la più alta percentuale di successo/profitto”. Il restante 25 per cento è composto da congressi medico scientifici e di associazioni di categoria, con l'aggiunta di fiere, feste e anche matrimoni. Il Palazzo dei Congressi di Riccione, solo per un quarto della propria attività, ospita congressi veri e propri.
Dalla relazione al bilancio si capisce che a tema non sono tanto i conti, più o meno trasparenti, se c'è un'emergenza è l'individuazione di una strategia per il futuro. Come trovare spazio in un contesto di concorrenza agguerrita e di declino del prodotto “palazzo? Quali segmenti di mercato andare a conquistare?
Tempo fa, sembrava che l'amministrazione comunale fosse per una dismissione della sua partecipazione dalla società, poi è subentrata una pausa di riflessione. Il consiglio comunale del 13 giugno dovrà fornire delle risposte.
Al Comune le risorse non bastano mai. In vendita le azioni libere di Hera
Se per Eduardo de Filippo gli esami non finiscono mai, per il Comune di Rimini sono le manovre di bilancio a non avere mai un termine. Le casse comunali reclamano continuamente robuste iniezioni di risorse finanziarie. Dopo aver triplicato le aliquote Irpef, dopo aver aumentato l'imposta di soggiorno e aggiustato altri balzelli comunali, la giunta ha proposto di ricavare altri 4,7 milioni dalla vendita delle azioni di Hera non vincolate. Per farne cosa? Il dibattito in commissione non ha fornito i desiderati particolari. Nella relazione che accompagna il provvedimento, il dirigente Mattia Marracci aveva evidenziato “l’esigenza di finanziare, nel 2019, gli investimenti comunali in misura maggiore (fino ad un massimo di ulteriori €.4 milioni) di quella originariamente prevista”. Quali sono queste esigenze nuove a cui si è dovuto far fronte?, hanno incalzato i consiglieri di opposizione Maio Erbetta e Gennaro Mauro. L'assessore Gian Luca Brasini ha spiegato che le nuove risorse saranno assegnate “nell’ambito di una costante rimodulazione del piano triennale degli investimenti e delle forme di finanziamento, necessaria sia per l’emergere di nuove esigenze sia perché spesso queste opere sono legate a forme di contributi da enti terzi che non possiamo perdere. Un esempio: solo scorsa settimana il consiglio ha approvato una variazione di bilancio per la copertura di interventi per l’edilizia scolastica che ammontano complessivamente a circa 4 milioni. Si tratta di opere rilevanti, tra tutte l’intervento alla scuola Ferrari che da sola vale 2,9 milioni e per la quale il Miur ha riconosciuto un contributo di 900 mila euro. Attraverso l’incasso previsto dalla vendita delle azioni libere di Hera andremo quindi a ripristinare le risorse necessarie per finanziare gli investimenti in parte straordinaria”. Nel “non detto” delle domande dei consiglieri di opposizione stava la preoccupazione che il bilancio comunale, lungi dall'essere a posto, mostri più di una falla che una volta con un provvedimento fiscale, un'altra con la vendita di azioni, si cerca affannosamente di coprire.
Il Comune di Rimini detiene qualcosa come 18 milioni e 500 mila azioni della società quotata in Borsa che gestisce i servizi dell'acqua e della raccolta rifiuti. Un bel gruzzolo che se fosse venduto integralmente agli attuali prezzi di mercato porterebbe nelle casse del Comune la bella cifra di circa 54 milioni, un tesoro con cui si potrebbero risolvere molti problemi. Ma quelle azioni, in virtù di un patto di sindacato sottoscritto da Rimini, non possono essere vendute fino al 30 giugno 2021. Questa proprietà delle azioni di Hera provoca un corto circuito fra controllante e controllato che gli esponenti dell'opposizione hanno più volte messo in rilievo ogni volta che in consiglio è approdata una delibera che in qualche modo riguardava Hera. Ma questa situazione è per il momento bloccata, si vedrà se alla data di scadenza il Comune confermerà il patto di sindacato o ne uscirà fuori.
Rimini possiede però anche un piccolo gruzzolo di azioni non vincolate che può vendere in qualsiasi momento. Già è accaduto nel 2017 e accadrà anche quest'anno non appena la delibera licenziata in commissione approderà in consiglio comunale. Le azioni libere sono 1 milione 870 mila e al prezzo corrente dovrebbero dare un un incasso di 4,7 milioni. Ma c'è un terzo protagonista della vicenda ed è la banca Monte dei Paschi con la quale il Comune ha un debito di circa 2,7 milioni. Un accordo fra Comune e Monte dei Paschi prevede che in caso di vendita di azioni il ricavato debba andare per estinguere il mutuo. Ma Palazzo Garampi ha proposto alla banca di destinare solo una parte (1-1,3 milioni) ed il resto di incassarlo direttamente. Il Comune confida che, come fatto in altre occasioni, Monte dei Paschi accetti la proposta.
Il dibattito in commissione è servito a puntualizzare alcuni aspetti. Gioenzo Renzi, convenendo che è meglio vendere le azioni piuttosto che agire con inasprimenti fiscali, ha chiesto a che punto sia la messa a bando dei servizi acqua e rifiuti. Brasini ha risposto che i bandi sono stati avviati per entrambi i servizi. Carlo Rufo Spina, di Forza Italia, ha chiesto come mai Hera, società privata che realizza considerevoli utili, nel servizio idrico metta a carico dell'intera utenza i cosiddetti oneri di sistema, cioè le bollette di chi non paga. Dai banchi della maggioranza rilievi critici su Hera sono arrivati da Davide Frisoni di Patto Civico. “Ad Hera bisogna chiedere di più, la qualità del servizio sui rifiuti è scarsa. Bisogna stipulare un contratto serio”.
A distinguersi dal resto della minoranza è stato Matteo Zoccarato, della Lega. “Andare a vendere queste azioni per abbattere un debito con un piano di ammortamento già definito, - ha sostenuto - mi ricorda tanto quel contadino che vende i propri campi per estinguere in anticipo il mutuo della casa, che era comunque in grado di sostenere. Ora il mutuo é estinto, ma non ha più di che mangiare. Peraltro é già la seconda volta che l'amministrazione mette le mani su questo patrimonio dei riminesi. Nel 2017 avevano venduto un'altra tranche di queste azioni, promettendo che parte degli introiti sarebbe stati destinati a un fantomatico piano di riasfaltatura strade, di cui noi non abbiamo più avuto contezza”. Zoccarato ha votato contro, gli altri della minoranza si sono astenuti.
I cento anni di don Probo: tutto è nato dalla sorpresa per un amico cambiato
In rete è possibile trovare una bella intervista di TV2000 a don Probo Vaccarini, il sacerdote che domani martedì 4 giugno compirà cent'anni e sarà festeggiato in cattedrale con una solenne messa presieduta dal vescovo Francesco Lambiasi.
Don Probo racconta di un amico che lui vedeva sempre inquieto, triste, finanche angosciato. E dire che era anche un bel ragazzo, tutto a posto. “Un giorno – racconta don Probo – lo trovo in piazza, cominciamo a parlare e vedo che è tutto spigliato, allegro...cambiato! Gli dico: ma Dino cosa hai fatto che sei cambiato?”. E lui gli risponde che era stato da padre Pio. Padre Pio? Siamo agli inizi degli anni Cinquanta, la fama del frate cappuccino non è ancora così estesa ed universale. L'amico Dino gli racconta tutto ciò che ha visto e udito. “Sono rimasto colpito. Raccontato da lui, con quell'entusiasmo... lui che andava a Messa giusto a Pasqua”. Il cambiamento dell'amico incuriosisce Probo che compie il primo di infiniti viaggi verso san Giovanni Rotondo. Il primo incontro con padre Pio non è tale da consigliare una frequentazione ulteriore. Appena Probo si inginocchia per confessarsi, il frate comincia a urlargli “E vattene!”. E siccome Probo non obbedisce subito, glielo ripete più volte, alzando la voce. Probo se ne torna a Rimini con la convinzione di essere andato a perdere tempo. Ma dopo quaranta giorni riprende il treno verso Foggia.
Ha incuriosito i media e i social la storia di don Probo Vaccarini: un prete che compie cent'anni, che ha sette figli, di cui quattro maschi tutti sacerdoti. Attira l'attenzione, spinge a voler conoscere i particolari; è una bella storia di colore, avranno pensato i capiredattori nei giornali. Diciamolo pure: è la classifica notizia dell'uomo che morde il cane. Ma c'è qualcosa che questa storia comunica, al di là della spontanea simpatia che provoca?
Andiamo avanti. Probo Vaccarini diventa, come si è è autodefinito, un pendolare del Padre. Mette la propria vita nelle mani di padre Pio. “Mi ha confessato. Mi ha detto tutto quello che avevo fatto. Sembrava avesse letto la mia storia”. Il frate lo sollecita a trovarsi una ragazza e a sposarsi. Trova Anna Maria Vannucci, con la quale si unisce in matrimonio nel 1952. Padre Pio lo invita a formare una famiglia numerosa e santa. “Numerosa è facile ma...santa... comunque, va bene!”. Uno dopo l'altro nascono sette figli, quattro maschi e tre femmine. Nel 1970 muore la moglie, lasciandolo con i sette figli, tutti bambini o adolescenti. Rimasto vedovo, cresciuti i figli, comincia il percorso per diventare accolito e quindi diacono. Fin lì i figli lo avevano capito, rimangono un po' interdetti quando il padre comunica loro di voler diventare sacerdote. I preti a 75 anni danno le dimissioni, lui voleva cominciare a 69. Nella citata intervista don Probo confessa che fin da piccolo il suo sogno era diventare prete, voleva farsi salesiano. Voleva dire la Messa. “Se fossi diventato prete subito, non mi sarei sposato”, osserva con la coscienza di chi pensa di aver risposto, in fin dei conti, ad una vocazione unica, attraverso più tappe. D'altra parte lui è uno dei pochi ritornati dalla campagna di Russia: doveva per forza di cose essere stato preservato per un destino particolare.
Sulla celebrazione della Messa, a cui tiene tanto, dice cose che non capita spesso di ascoltare: “Quando dico questo è il mio corpo, in quel momento non sono io che parlo ma è Gesù, e quindi Cristo viene dentro di me e mi trasforma in Lui”.
Quando è stato ordinato sacerdote, l'8 maggio 1988, i figli sacerdoti gli hanno imposto le mani. Hanno tramesso la grazia dello Spirito Santo a colui che li aveva generati nella carne. Da figli sono diventati padri del loro genitore. Già quando erano stati ordinati i figli, lui andava a confessarsi da uno di loro.
La storia di don Probo, dei suoi cento anni, dei quattro figli preti, ha molto da dire su una parola di cui oggi, al pari di altre, si è perso il significato: la paternità. È una bella storia di paternità che lascia intravedere quale sia il significato autentico della parola. Don Probo è diventato padre perché ha accettato di essere figlio. Ha obbedito al contraccolpo suscitato in lui dalla sorpresa di vedere l'amico triste finalmente lieto. Poteva finire lì, di suo Probo ci ha messo la tenace volontà di andare fino in fondo, di capire cosa aveva cambiato l'amico. Ed ha avuto la grazia di restare fedele a quell'incontro, di essere figlio obbediente, perché, come si capisce anche da suoi racconti, non era facile essere figli di padre Pio.
La crisi del padre nella società contemporanea dal '68 in poi ha fatto spendere fiumi di inchiostro a quanti hanno cercato di descriverla, di capirne le cause, di prevederne gli esiti. Mentre si affermava una società con l'eclisse del padre, don Probo viveva la sua umile e personale esperienza di figliolanza e di paternità. La caratteristica del padre è di essere generativo: una generazione che non è solo biologica ma che diventa anche – e qui la parola ci sta tutta – spirituale. Fino allo splendido paradosso che sono i figli a generare il padre alla nuova condizione di sacerdote di Cristo. Cosa consente tutto ciò? Difficile rispondere. Si può solo constatare che all'inizio di questa storia c'è un santo.
Valerio Lessi
Morrone (Lega) sminuisce la sconfitta di Santarcangelo
L'enorme successo della Lega alle europee non è stato accompagnato da altrettanti consensi alle amministrative. In provincia di Rimini le sfide più importanti sono state perse.
“No, sono per una lettura diversa. – afferma Jacopo Morrone, segretario romagnolo della Lega e sottosegretario alla giustizia – La Lega ha ottenuto un successo storico in tutta la regione Emilia Romagna e un risultato importante anche in provincia di Rimini. Nei comuni dove si è votato abbiamo conquistato San Leo e confermato a Bellaria l'amico Filippo Giorgetti che potrà così continuare la buona amministrazione di centrodestra. In altre realtà, piccoli Comuni, siamo stati presenti dentro liste civiche, senza simboli di partito. In queste piccole realtà prevalgono altre logiche, personali, locali, legate ai candidati”.
Però avete perso l'importate sfida di Santarcangelo...
“Sì, è vero Santarcangelo è l'unico neo. Evidentemente gli elettori hanno voluto premiare il sindaco Parma per quanto ha realizzato finora. O forse non è piaciuto il nostro progetto politico. Adesso ci aspettano cinque anni di lavoro per costruire l'alternanza”.
Qualcuno ha osservato che la Lega non si è impegnata più di tanto a sostegno di Samorani?
“La Lega si è impegnata, eccome, dalla raccolta delle firme per presentare le liste fino al passaggio in città di alcuni ministri. Nel voto amministrativo c'è anche l'incognita delle liste civiche. Nel nostro caso non hanno portato voti aggiuntivi ma hanno eroso quello dei partiti”.
Il segretario provinciale della Lega, Bruno Galli, ha osservato che alla sconfitta ha contribuito lo stesso Samorani che aveva imbarazzo a dichiarare di essere sostenuto dalla Lega.
“Non è questo il momento di attribuire colpe. Con calma faremo tutte le dovute analisi. Tutti si sono impegnati e per quanto ci riguarda portiamo a casa un risultato straordinario. Non avevamo neanche un consigliere e adesso ne avremo probabilmente quattro. Abbiamo cinque anni di fronte per lavorare per giungere al cambiamento. Di questi risultati sono molto soddisfatto. Dove si è perso sono piccoli Comuni che non hanno peso politico”.
Intanto il segretario provinciale Galli polemizza con il sindaco di Rimini Andrea Gnassi. “Qualcuno che conta nel Pd – scrive - consigli al sindaco Andrea Gnassi di riflettere prima di parlare. Le elezioni europee hanno segnato, a Rimini, la peggiore performance del Pd rispetto a tutti i comuni capoluogo della Romagna. I riminesi hanno inviato un messaggio forte e chiaro. L’amministrazione Gnassi è sotto osservazione e basta poco per staccare la spina”.
“Anche dopo la clamorosa caduta verticale alle europee, dove il Pd raggiunge il 26,85 per cento di consensi, contro una Lega che va oltre il 34 per cento, - prosegue Galli - il sindaco si lascia andare a considerazioni che non stanno né in cielo, né in terra. Cercheremo di fargli capire perché la vittoria di esponenti dem in qualche comune non è un ribaltamento del risultato delle europee, ma frutto della rete di potere del Pd che mantiene ancora, nelle realtà locali, un controllo per così dire ‘militarizzato’ del voto. Altro che buon governo del Pd. Sappiamo tutti benissimo che i comuni del territorio avrebbero la necessità di un sano ricambio, di nuove idee, di concretezza. Purtroppo, localmente, l’elettorato è ancora sotto l’effetto dei richiami della consuetudine, dell’opportunità o, forse, dell’occhiuto controllo del partito. Sempre meno, però. L’invito che rivolgiamo a Gnassi è quindi quello di evitare sguaiate polemiche e di amministrare Rimini cercando di non fare troppi danni in questo scorcio di legislatura. Non vorremmo, nel 2021, quando andremo ad amministrare la città, dover rimediare a troppi suoi errori”.