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L’aiuto per le imprese riminesi viene dall’estero

Lunedì, 15 Aprile 2013

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L’aiuto per le imprese riminesi viene dall’estero


Anche a Rimini le imprese che respirano o addirittura crescono sono quelle che hanno saputo trovato nei mercati esteri quello sbocco commerciale reso difficile nel mercato interno a causa della crisi e del calo della domanda. E l’esportazione spesso è verso quelli che l’ultimo Rapporto sull’economia della provincia definisce paesi dinamici, cioè dove la domanda cresce in misura superiore alla media mondiale.
Si scopre così che nel periodo 2008-2011 Rimini ha esportato beni verso 171 Paesi e in 87 di questi le produzioni provinciali hanno guadagnato quote di mercato. Ad andare forte, per esempio, è il settore alimentare che ha rafforzato la propria posizione in 65 Paesi, di cui 47 a elevata dinamicità. L’alimentare sta trovando grandi opportunità nel mercato turco e in quello degli Emirati Arabi ma anche in Libano, Arabia Saudita e Giappone.
Le scarpe che si producono in provincia di Rimini si consolidano nei Paesi Bassi ma trovano nuovi mercati in paesi come Kazakistan, Hong Kong, Corea del Sud e Cina. I nostri prodotti di elettricità/elettronica vanno forte in paesi impensabili come Hong Kong, Singapore, Cina, Giappone e Arabia Saudita. L’abbigliamento trova mercati floridi in paesi europei come Slovacchia, Svezia e Finlandia, ma anche in paesi asiatici come il Vietnam e l’Azerbaigian.
Il Rapporto mette in evidenza anche curiosi primati: il 3,6 per cento del mercato libanese di prodotti per l’alimentazione degli animali è detenuto dalla provincia. Le macchine utensili presentano quote di mercato rilevanti in vari mercati – Libano, Argentina e Brasile solo per citare quelli più importanti –; la nautica va forte in Francia, Cile e Brasile, le calzature della provincia hanno una quota di mercato apprezzabile in Kazakistan (ogni milione di euro di scarpe importate 27mila euro provengono da Rimini). Si scopre che vanno molto forte le nostre esportazioni di materiali di costruzione in terracotta, cioè piastrelle di ceramica. Appartiene a Rimini il 2,4 per cento del mercato dell’Egitto, mentre quote significative si registrano in Kuwait, Germania, Austria e Giappone. In una recente intervista a Ilsussidiario.Net Enzo Donald Mularoni, amministratore delegato di Ceramica del Conca, azienda leader nel settore, ha osservato: «Il vero driver della crescita, soprattutto negli ultimi 20 anni, è stato rappresentato dall’export, dapprima nei Paesi europei, poi anche oltremare e quindi in Estremo Oriente, Medio Oriente, Australia e Stati Uniti. Oggi i mercati più brillanti per i prodotti realizzati in Italia sono i Paesi dell’ex Unione Sovietica, in particolare la Russia, e gli Stati Uniti».
Nel periodo preso in esame Rimini ha guadagnato quote di mercato anche in paesi deboli, a rischio, dove cioè la domanda subisce un rallentamento. Fra questi ci sono alcune peculiarità. Ad esempio Rimini detiene nella Repubblica Dominicana il 59 per cento del mercato della nautica e, nello stesso settore, l’1,8 nelle Isole Cayman; per quanto riguarda l’abbigliamento il 9,5 per cento in Siria, il 3,7 in Macedonia e il 2,7 in Bulgaria.
Il panorama è completato dalle cosiddette nicchie: mercati nei quali la quota di mercato detenuta da Rimini è particolarmente elevata, indipendentemente dalla rilevanza di quel Paese nelle esportazioni dell’intero settore. Per esempio il 7 per cento delle importazioni mondiali di pesci freschi, lavorati e conservati dello Yemen proviene da Rimini, un valore marginale nel complesso delle esportazioni provinciali, probabilmente una nicchia di mercato importante per le imprese (presumibilmente poche) che commercializzano verso il Paese arabo. Ma a parte il pesce riminese sulle tavole dello Yemen, risultano significativi anche il 3,6 per cento della nautica in Libano, il 2,3 delle macchine utensili in Algeria; nel settore dell’abbigliamento l’1,9 a Malta, l’,7 in Bielorussia e l’1,6 in Moldavia.
Preso un campione di mille imprese riminesi, risulta questo quadro:
• imprese senza rete all’estero: rappresentano il 51 per cento ed il fatturato realizzato attraverso le esportazioni costituisce il 29 per cento del loro volume d’affari totale.
• imprese che hanno aperto filiali commerciali o produttive all’estero: complessivamente sono il 15 per cento delle intervistate (il 4 per cento ha anche delocalizzato parte dell’attività produttiva) e realizzano all’estero il 48 per cento del proprio fatturato;
• imprese che hanno stretto accordi con partner esteri per la commercializzazione e la distribuzione dei prodotti. Sono il 21 per cento delle esportatrici, mediamente fatturano il 42 per cento all’estero;
• imprese che operano come subfornitrici di società estere, pari al 13 per cento del campione per un fatturato export medio del 34 per cento.
Insomma chi lavora sull’estero e costruisce reti commerciali che hanno la dimensione del mondo, riesce a crescere anche in questo momento di estrema difficoltà.

Ultima modifica il Lunedì, 15 Aprile 2013 13:11

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