Il Coraggio di costruire la pace è il titolo dell’incontro che si è tenuto al Palacongressi di Rimini il 6 luglio e che ha visto coinvolte circa un migliaio di persone, unite dal desiderio di testimoniare la propria unità con papa Francesco nella sua solitaria battaglia di vicinanza ai popoli ucraino e russo e di distanziamento dalle logiche dei potenti.
Due i relatori: da una parte Giovanni Paolo Ramonda, responsabile nazionale dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, e dall’altra Davide Prosperi, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione. Dunque i leader di due movimenti ecclesiali tra i più impegnati e vitali nella società italiana ed internazionale.
Cristian Lami, responsabile della comunità di Comunione e Liberazione di Rimini, organizzatrice l’incontro, introducendo chiarisce subito tuttavia che il motivo più vero della presenza dei due autorevoli relatori consiste in una esperienza di dialogo e di crescente unità a Rimini tra le due realtà ecclesiali, grazie a un sempre più intenso lavoro comune. Quindi una concreta esperienza di pace e di fraterna collaborazione, tra realtà che hanno tratti anche assai differenti e che non sempre nel passato si erano stimate. La nascita di questa affermazione del valore dell’altro, chiarisce Lami, ha una forte pertinenza con il tema dell’incontro.
Difatti, se lo spunto è dato dalla pubblicazione di Contro la Guerra, il libro che raccoglie i discorsi di papa Francesco intorno al tema della pace e contro la guerra, da subito si comprende che l’intento dell’evento non è semplicemente intellettuale o culturale ma quello di farsi costruttori, (artigiani direbbe il papa) di pace.
Dunque la pace non come assenza di guerra ma come compimento dell’uomo - sostiene Prosperi - in tutte le sue esigenza di soddisfazione, libertà e salvezza. Il papa instancabilmente richiama la pertinenza della pace con la vita quotidiana di ognuno, da cui deriva una specifica responsabilità individuale. Una responsabilità che si gioca dunque non solo con l’impegno concreto di solidarietà, di pensiero e di espressione (costruire una logica di pace) ma come lavoro personale affinché essa nasca dentro ognuno di noi quale esperienza di realizzazione delle proprie esigenze più profonde. Senza questa esperienza di pace, non si sarà mai costruttori di pace. Passaggio fondamentale e che spiega alcune insistenze del papa, come la continua richiesta di perdono per tutti i dolori inferti all’umanità, per tanti inspiegabile (Putin attacca e il papa chiede perdono). Al contrario, il papa ci porta ad una dimensione profonda e abissale dove tutti siamo implicati.
Ramonda rilancia sostenendo come nell’esperienza di fede, testimoniata non solo da Francesco, ma da tutti i papi più recenti, vi sia la radice di una pace duratura, e testimonia in maniera vivida la gratitudine di appartenere alla Chiesa: senza la presenza di un padre, non ci potremmo definire e trattare come fratelli (citando la Fratelli tutti). E la Chiesa richiama continuamente la presenza di un padre.
Non è un caso, infatti, che entrambi i relatori abbiano preso le mosse dal saluto del vescovo di Rimini Francesco Lambiasi, il quale ha ricordato come il saluto specifico della Chiesa all’inizio di ogni celebrazione liturgica sia proprio “la pace sia con voi”, a dimostrare il carattere intrinseco della pace rispetto alla esperienza cristiana.
Il livello della riflessione, dunque, è entrato da subito in una profondità esistenziale (e di sostanza che potremmo dire ontologica), in grado di togliere il senso di impotenza che si avverte nella lettura di tante analisi su quanto sta avvenendo in Ucraina. Senso di impotenza che spinge l’uomo, specie se impegnato nella società e nella politica, al cinismo ed alla convinzione che la guerra sia “normale”, tollerabile, un male necessario.
Al contrario, se si va a fondo, si comprende il realismo della posizione del papa. Lami pone in maniera diretta il problema: “questi discorsi sono avvertiti spesso come mancanti di realismo, perché le cose poi sembrano andare in un’altra direzione”.
Netta la risposta dei relatori. Se Ramonda si richiama alla vita ecclesiale e alla sua continua costruzione di pace, sostanziandola di numerosi esempi tratti dagli innumerevoli fronti su cui opera la sua comunità, Prosperi sottolinea come sia illusoria semmai ogni altra considerazione che non poggi su testimoni di pace. Non nasconde la drammaticità del tempo che viviamo, citando lo scandalo che un’affermazione consueta in Giussani (Dio ha voluto il mondo perché in tutto vi sia un’esperienza di bene) oggi non può non provocare di fronte agli scenari terrificanti che ci si parano innanzi. Ma è proprio per questo motivo che occorre guardare chi invece già vive l’esperienza di pace, in modo che non vinca in noi il cinismo e la rassegnazione ma si affermi un’esperienza (non un’utopia, non idee o progetti, ma realtà) differente. Per entrambi dunque il problema consiste nel costruire dal basso, costruire comunità di base (Ramonda) e una dimensione di popolo (Prosperi) che siano l’inizio reale e non illusorio di processi di pace, togliendoci dall’inganno di credere che questa sia semplicemente una costruzione umana (strategie geopolitiche).
La domanda conclusiva di Lami tocca aspetti anche intrinseci delle due associazioni laicali, impegnate in una difficile fase di transizione della loro vita interna: “quale il compito specifico delle vostre comunità in questa fase della storia?”.
Ramonda risponde delineando le innumerevoli esperienze di presenza sui vari fronti di sofferenza dell’umano da parte di tanti giovani della papa Giovanni, mentre Prosperi individua nell’educazione all’umano, ambito assai caro a CL, il compito più urgente.
Le parole di Ramonda sostanziano esistenzialmente quanto detto da Prosperi. Le parole di Prosperi rendono dense di significato le esperienze raccontate da Ramonda, in una singolare unità delle differenze, offrendo una sorta di prova sperimentale della possibilità di incontro, ovvero di esaltazione delle proprie caratteristiche nel rapporto con la diversità dell’altro.
Lami, in conclusione richiama come il Meeting di Rimini quest’anno ponga a tema proprio “una passione per l’uomo”, dando continuità al percorso messo in atto dai due relatori. Ricorda infine la presenza di interviste video che approfondiscono il tema, proprio secondo il taglio offerto dall’incontro, sul sito del Portico del Vasaio.
Ma un dato è emerso tra gli altri dall’incontro. La pace emerge come un compito impegnativo ed appassionante per ognuno, non separato dal proprio quotidiano e dalle domande che ci portiamo dentro. La situazione internazionale non è altro dalla nostra vita, ma piuttosto rende per ognuno inderogabile “il” problema della vita: dove può trovare pace il nostro vivere?
Emanuele Polverelli