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Inchieste Aeradria e Carim. La fine di un sistema e una nuova sfida

Mercoledì, 04 Marzo 2015

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Inchieste Aeradria e Carim. La fine di un sistema e una nuova sfida

La contemporaneità mediatica delle inchieste su Aeradria e Carim ha fatto loro assumere un valore simbolico particolare. E non a caso molti commentatori hanno parlato di crollo di un vero e proprio sistema di gestione del potere.
Che di sistema si trattasse, e non del monopolio di un singolo partito, l’ha voluto subito chiarire Maurizio Melucci con il candore del politico di lunga data. “La Carim è sempre stata un feudo della DC. La sinistra deve porsi poche domande”.
Dunque un sistema proprio perché non riguardava solo la politica in senso stretto, ma ambiti di potere differenti e con maggioranze ideologiche diverse tra loro.

Ma proprio per questo, aspettando di capire se si è trattato anche di arricchimento indebito, diretto o indiretto che sia, più che una questione etica, questi fatti pongono la necessità di ridefinire i termini stessi della gestione del potere, a partire da quella ‘prudenza’ che, fuori dall’ambito delle virtù cristiane, potremmo chiamare accortezza o semplicemente ‘onestà intellettuale’. Tanto è vero che, nelle loro diverse sfaccettature, gli scandali di questi giorni si configurano prima di tutto come ‘reati’ di superbia assoluta, con il carico di autoreferenzialità, opacità e superficialità che ad essa consegue.

Prima di tutto dunque, un problema di rappresentanza e di realismo. Se il potere cioè attesti un ruolo di guida del popolo in quanto massa incompetente che deve essere sollevata da problemi che non comprende o, invece, implichi la necessità (e non solo il dovere) di riferirsi a coloro, cittadini o risparmiatori, dai quali deriva il proprio mandato. Non per introdurre pratiche improbabili di consultazione nelle sedi dei partiti o sul web, quanto per indicare un modo trasparente di fare politica, dichiarato nelle intenzioni e nei mezzi che si vuole seguire; e che tale può essere solo se continua a considerarsi prima di tutto un servizio.

E pure, se, nell’esercizio del potere, una finalità giudicata buona autorizzi qualsiasi azione per il suo raggiungimento o invece anche la politica debba rispettare la cruda, ignorante e poco elegante, e pure ingiusta, realtà come tale. La si può pensare come si vuole, ma le vicende Aeradria e Carim dimostrano che i guai insorgono proprio quando i potenti perdono il senso della realtà, intestardendosi nelle proprie analisi e nelle proprie soluzioni. Quasi a pensare che sia il potere stesso a determinare, e addirittura a ‘fare’, la realtà.

In questo senso il tema dell’esito diventa centrale. E non solo perché, a guardar bene, quando ci si sente giustificati a utilizzare qualsiasi mezzo per ottenere uno scopo buono, dietro, c’è sempre l’ambizione di perpetuare il proprio potere personale.
Ma, soprattutto, perché in questo si rivela quale sia la propria concezione della politica. Per capirlo possiamo mutuare un pensiero di Charles Péguy sulla guerra, quando, a un amico che parlava della sicura vittoria francese sull’impero tedesco, diceva “Non parlare di vittoria. Siamo noi destinati a vincere o piuttosto a preservare, a qualunque prezzo, un certo livello di umanità?” Qual è dunque il compito della politica e del potere? Se lo scopo è solo vincere le battaglie che si intraprendono, è legittimo provare a vincere a ogni costo e con ogni mezzo.

Infine, parlando di superficialità, si è costretti ad ammettere che di competenza e di professionalità, in giro, sembra essercene sempre meno; e che la levatura calante del personale reclutato per la gestione del potere sembra ormai un serio problema. O almeno lo sarà se invece dell’umiltà di chi vuole imparare, di chi si mette di continuo in discussione, prevarrà ancora (come è stato fino a ieri) la certezza che l’appartenenza ad una certa cerchia di potere abiliti a gestire qualsiasi situazione. Oltre a giustificare qualsiasi scelta si intraprenda.

Speriamo dunque che dopo questi scandali la gestione del potere nella nostra città non sia più come prima. Per tutti.
Per i partiti, la fiducia nei quali è crollata addirittura sotto i livelli dell’epoca di Tangentopoli, e, in generale, per chi dispone di un potere: tutti alle prese con un grave problema di selezione della classe dirigente (e quindi di selezione delle idee e delle competenze). Per i cittadini: che non possono esimersi dal costruire i propri strumenti di rappresentanza, invece di relegare il proprio ruolo alla sola indignazione.
In questa dialettica tutta da ricostruire, tra politica e società civile, e nella quale non c’è chi possa dirsi del tutto ‘innocente’, si potrà fondare quella che, mutuandola dalla vita delle aziende, potremmo chiamare una nuova sostenibilità politica del potere.

 


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