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Polvere di stelle e passione educativa: uno "strano" pomeriggio a Rimini

Lunedì, 06 Ottobre 2014

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Polvere di stelle e passione educativa: uno "strano" pomeriggio a Rimini

Siamo polvere di stelle, dice l’astrofisico Marco Bersanelli. E non lo dice per fare un attimo il poeta, dismettendo gli abiti dello scienziato. Anzi lo dice da studioso delle origini dell’universo. Cita però un grande poeta, Giacomo Leopardi, che aveva approfondito studi di astrofisica e che scrisse sul “non potere essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così, dalla terra intera; considerare l'ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole maravigliosa dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell'animo proprio; immaginarsi il numero dei mondi infinito, e l'universo infinito, e sentire che l'animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande che sì fatto universo; e sempre accusare le cose d'insufficienza e di nullità, e patire mancamento e voto”.

 

Dall’universo alle domande sull’io, alla cura dell’io, cioè l’educazione, in un percorso che non conosce interruzioni o i legami forzati di una tesi da dimostrare.

 

Uno strano pomeriggio quello proposto da Comunione e Liberazione sabato scorso, 4 ottobre, al Palazzo del Congressi di Rimini. Mentre sciamavano le folle giunte da tutta Italia per conquistare il loro attimo di celebrità nell’ennesimo reality show (volevano diventare stelle), un’altra folla, anzi un popolo, si è radunato nella Sala Anfiteatro per ricordare un sacerdote di Rimini, don Giancarlo Ugolini, morto cinque anni fa. Nello stesso giorno, il 4 ottobre del 1962, si teneva la prima iniziativa pubblica di Gioventù Studentesca a Rimini, per iniziativa di don Ugolini e di un gruppo di ragazzi che avevano incontrato durante l’estate loro coetanei conquistati dal carisma di don Giussani.

Cosa c’entra un astrofisico che da anni scandaglia le notizie che arrivano a noi sugli inizi dell’universo con la vicenda di un sacerdote di Rimini? È nella risposta a questa domanda che sta il fascino che ha tenuto inchiodate millecinquecento persone in un sabato pomeriggio che altri probabilmente hanno dedicato allo shopping o ad attività ritenute più soddisfacenti.

 

“Beato te che studi le stelle! Io invece, devo passarmela fra questi marmocchi impossibili da gestire”, aveva detto un giorno una maestra d’asilo al giovane astrofisico. E a Rimini Bersanelli ha documentato la risposta che quel giorno d’istinto ha dato alla maestra: “Ma allora non hai capito? Ciò che fai con i bambini è il compimento della storia dell’universo, di ciò che è iniziato quattordici miliardi di anni fa!”.

Da bravo comunicatore Bersanelli si è portato le diapositive. E parte con l’immagine della morte di una stella che rilascia materiali nello spazio. All’inizio c’erano solo idrogeno e una spruzzata di elio, poi si sono formati gli elementi più pesanti, in un movimento della natura che è arrivato fino a noi. Siamo polvere di stelle, la nostra attuale fisicità è conseguenza della storia dell’universo. Cita anche don Giussani, con un’osservazione pertinente: l’intero cosmo è la periferia del mio corpo.

 

L’astrofisico parla dei 200 miliardi di stelle, spiega che ciò che è più lontano nello spazio, le altre galassie, è anche più lontano nel tempo. Se si va in profondità si scopre che il fondo dell’universo non è nero, come appare a noi in una notte stellata, ma c’è un bagliore. E gli strumenti attuali permettono di vederlo: Bersanelli mostra l’ecografia pre-natale dell’universo. Lì c’era già tutto. Un attimo dopo materia e antimateria collidono e producono luce. Quasi tutte le particelle si disintegrano, solo una su dieci milioni sopravvive. L’astrofisico mostra il peso specifico di questa prima materia: bastava un grammo in più o un grammo in meno e la storia dell’universo sarebbe stata diversa.

Ed infine arriva all’uomo, che è frutto di questa storia ma nello stesso tempo ha in sé qualcosa che sfugge agli antecedenti fisici, biologici, storici. C’è qualcosa che nel nostro essere che eccede, come aveva intuito Leopardi. L’uomo ha bisogno di conoscere il senso delle cose. Qui interviene l’educatore, che ha il compito di aiutare portare a compimento nell’uomo il percorso cominciato con la storia dell’universo. È come se Dio avesse lasciato all’uomo il compito di percorrere l’ultimo miglio che porta al compimento della sua creazione. L’educazione è introduzione alla realtà totale, insegnava don Giussani. Cioè l’uomo ha bisogno non solo di apprendere (l’istruzione) ma di conoscere il senso delle cose. Ciò avviene in un rapporto umano, in un luogo, in una dimora. La famiglia prima, la scuola poi sono questa dimora. Per fare scuola ci vuole un villaggio, ha detto papa Francesco. Nello svolgere il suo compito l’educatore è inginocchiato alla libertà dell’altro, è preso dallo struggimento per il destino ultimo dell’altro, è colui che di fa sperimentare l’unità della vita.

 

Con queste definizioni, Marco Bersanelli ha descritto quel grande educatore che è stato don Giancarlo Ugolini, come prima di lui aveva ben documentato in un’appassionata testimonianza l’amico sacerdote don Stefano Vendemini. Non a caso per descriverlo entrambi hanno usato la franse di Antoine de Saint-Exupery che è stata stampata sul suo ricordino funebre: “Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini solo per raccogliere il legno e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare vasto e infinito”.

Valerio Lessi


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