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Nuovi poveri, a Rimini record di richieste di aiuto alla Caritas

Martedì, 03 Dicembre 2013

7bNuovi poveri, a Rimini record di richieste di aiuto alla Caritas

 

Nel corso del 2012 si sono rivolti ai centri di ascolto della Caritas quasi 20mila persone (che rappresentano lo 0,45%) della popolazione emiliano romagnola. I dati sono quelli del dossier redatto dalla delegazione regionale e mostrano Rimini in testa tra tutte le diocesi dell’Emilia Romagna con 2.530 contatti (2.503 nel 2011, 2.523 nel 2010 e 2.417 nel 2009), seguita da Parma con 2.194 richieste di aiuto, 1.886 a Bologna, 1,787 a Forlì Bertinoro, 1.695 a Piacenza Bobbio, 1.654 a Modena Nonantola, 1.516 a Reggio Emilia Guastalla, 1.342 a Carpi, 1.066 a Ravenna Cervia, 968 a Imola, 843 a Cesena Sarsina e Faenza Modigliana, 613 a Ferrara Comacchio, 541 a Fidenza, 444 a San Marino Montefeltro.
Rimini risulta prima anche per il numero dei senzatetto che nel 2012 era pari a 931 persone (dato quasi triplicato rispetto al 2009 con 354 persone). 


Il rapporto mette nero su bianco i numeri della crisi che sta colpendo le famiglie. Se infatti resta sempre vero che  il 72,3% delle persone che si rivolgono ai centri di ascolto, vale a dire sette su dieci, è straniero a crescere è sia l’incidenza degli italiani sia quella degli immigrati regolari. 
“Gli irregolari si sa - conferma il delegato regionale Gianmarco Marzocchini - vengono da noi perché noi non chiediamo di vedere il permesso di soggiorno per offrire un pasta caldo o un letto. Loro ci sono, anche se non godono di alcun diritto, e non possiamo fare finta che non ci siano. C’è poi la crescita del segmento italiano a dirci che ormai si ricorre alla Caritas, fatto che una volta era visto come una perdita di dignità, spesso come prima (e non più come ultima) spiaggia”. 


Il rapporto rileva la mancanza di lavoro (accanto a quella di una casa) tra le motivazioni maggiori per chi si rivolge alla Caritas perché “determina l'entrata nella condizione di povertà”. Ultimamente anche giovani precari italiani, maschi o ragazze madri, si ritrovavo sempre più spesso a chiedere aiuto. Aumentano in generale le richieste per bisogni primari come cibo, vestiti e servizi o beni legati alla salute e le situazioni debitorie delle famiglie.


“E’ compito della politica (in senso alto) stabilire cosa fare di fronte a questi numeri, sono scelte che non dipendono da noi”, risponde a domanda Marzocchini. “Rispetto al problema delle tante persone che perdono il lavoro, c’è da farci i conti con lucidità in un periodo dove c’è crisi e la crisi non aiuta a rimanere lucidi. Le scelte politiche hanno dimostrato alcune lacune, ma non da questi ultimi anni. E’ almeno da 20 anni che in Italia una vera strategia di contrasto alle povertà non c’è più stata. E anche di questi tempi, in cui la questione si è imposta in maniera maggiormente prepotente, si fa fatica a passare dalle parole ai fatti. Gli strumenti che la politica richiama in campagna elettorale (reddito minimo di inserimento, family card, eccetera) non arrivano mai ad essere concreti”.


A Rimini per dare una risposta ai problemi occupazionali la diocesi ha dato vita al fondo per il lavoro. Cosa ne pensa? “Sono segnali molto positivi, perché coinvolgono tutta la città. Quando ci si muove, e ci si muove insieme, si fa bene. Bisogna però stare attenti a non subire deleghe, fare progettualità che dovrebbero essere in capo ad altri. Qualcosina facciamo anche a Reggio Emilia con un fondo per tirocini e formazione, e anche a Forlì e Piacenza, magari non con fondi destinati in maniera specifica al lavoro, ma comunque come progettualità sulla persona. Detto questo, confermo che l’aspetto del lavoro è allo stato attuale l’investimento più proficuo per fare uscire le persone dalla povertà e dalla precarietà e per uscire dall’assistenzialismo”.

 
Marzocchini, infatti, distingue tra l’accompagnare e l’assistere. “Chiamiamo assistenzialismo la distribuzione fine a se stessa superficiale, senza indagare i veri bisogni delle persone. E’ vero che uno viene a mensa perché ha fame, ma dietro ha tutta una storia, fatta di vicende dolorose, come possono essere separazioni, eccetera. Noi non vogliamo che le persone si siedano su quello che ricevono, cerchiamo di tirare fuori le potenzialità nascoste, in collaborazione con il servizio pubblico e il privato sociale”. 


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