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Melucci, il turismo dopo la legge 7

Martedì, 19 Novembre 2013

2bMelucci, il turismo dopo la legge 7

 

Il 29 novembre si terrà a Modena, nella prestigiosa sede di Casa Ferrari, la conferenza regionale sul turismo. Servirà a dare il via alle modifiche della legge 7 che da quasi vent’anni regolamenta il turismo in Emilia Romagna. “Ci sarà un maggiore accento sul territorio rispetto al prodotto”, spiega l’assessore regionale Maurizio Melucci.
Quasi una rivoluzione insomma. Fino a qualche tempo fa parlare delle specificità di un territorio sembrava una bestemmia.
“Quando fu varata la legge 7 non c’erano altre strade. Sulla costa imperavano i campanilismi. Adesso, anche grazie a iniziative di sistema come la Notte Rosa e Riviera Beach Games, si è capito che la competizione non è fra le nostre località ma fra un’area vasta come tutta la Riviera e il resto del mondo”.
Quali saranno le novità?
“Non ci saranno più le attuali Unioni di prodotto (Costa, Arte, Appennino e Verde, Terme) ma un’unica Unione territoriale della Romagna più Ferrara. Dentro questa Unione avranno spazio i vari prodotti. Dopo la conferenza, comincerà la discussione in consiglio regionale”.
E perché non si è pensato semplicemente alla Riviera romagnola?
“Se si intende la Riviera da Ravenna a Cattolica, penso che in molte iniziative promozionali ci chiameremo Riviera romagnola. Anche a Comacchio sono d’accordo.”
Veniamo da una stagione che è stata quasi un disastro, non crede?
“E’ stata una stagione problematica per il turismo italiano e positiva per il turismo estero. Sul mercato italiano la nostra costa da Ravenna a Cattolica perde dal 3 al 7 per cento, a seconda delle zone; in altre zone italiane anche più affascinanti delle nostre si è perso oltre il 10 per cento. È evidente che il turismo balneare italiano la crisi l’ha sentita, però i fatturati rispetto all’anno scorso non sono peggiorati. Lo dice il nostro Osservatorio regionale sulla base di un panel di operatori. La crisi c’è, per questo c’è bisogno di interventi della politica nazionale”.
Cioè più promozione, in particolare all’estero?
“La politica di promo-commercializzazione è solo un aspetto. I punti caldi della crisi sono il rapporto qualità prezzo e l’innovazione di prodotto. Se non ci sono incentivi, gli operatori da soli non ce la fanno. Abbiamo due problemi, uno di questi riguarda anche Veneto, Liguria e Toscana. Dobbiamo ridurre il numero degli alberghi che sono in affitto. Con i margini che hanno attualmente le imprese alberghiere, certi affitti non sono più sopportabili. Ci sono ricadute negative nella gestione: non si pagano i fornitori, i dipendenti, non si garantiscono servizi di qualità alla clientela. Abbiamo quindi bisogno di politiche nazionali che incentivino il passaggio di proprietà agli attuali affittuari.
L’altra proposta è quella di estendere agli alberghi gli incentivi di defiscalizzazione che sono stati realizzati per le abitazioni. Si tratta di indicare un tetto adeguato, certo non uguale a quello delle case, e la possibilità di detrarlo in dieci anni. Con un’operazione del genere avviamo l’innovazione, diamo un giro all’edilizia e non consumiamo territorio perché si agisce sulla riqualificazione. Obiettare che non c’è copertura finanziaria è una risposta stupida perché adesso nessuno ristruttura, quindi non è che si perde il 50 per cento delle entrate fiscali, proprio non entra nulla. Se si facesse l’operazione, si recupererebbe anche una parte di evasione visto che se voglio i contributi devo documentare tutto”.
Ma la Regione non finanzia più l’innovazione e la riqualificazione alberghiera?
“Nei casi indicati si interviene sulla leva fiscale e quindi la competenza è nazionale. La Regione dà circa 4 milioni all’anno ai consorzi fidi per finanziare i progetti di innovazione alberghiera. Per la riqualificazione, quest’anno abbiamo fatto un bando mettendo a disposizione 8 milioni di euro. Si chiedeva un intervento minimo di un milione ed il contributo era al massimo di 200 mila euro. Abbiamo risposto a 45 domande, l’investimento medio delle quali era di 2 milioni. A dimostrazione che se ci sono incentivi gli operatori si muovono”.
I Comuni cosa possano fare?
“Nel limite del possibile possono semplificare le procedure per chi vuole innovare.
C’è legge del 2011 che dà la possibilità di costituire i distretti turistici in fascia costiera, aree dove la burocrazia è ridotta, la fiscalità alleggerita in accordo con l’agenzia delle entrate, il credito facilitato. Noi abbiamo costituito il distretto che va da Cattolica a Comacchio con l’accordo di tutta la parte pubblica, Comuni, Province e Prefetture, e tutta la parte privata, associazioni di categoria e sindacati. Aspettiamo la firma del Presidente del Consiglio”.
Nei mesi scorsi l’assessore provinciale Galli aveva chiesto una revisione delle norme che affidano alle sole agenzie viaggio la formulazione di pacchetti turistici.
“Questa è una legge nazionale. Se io liberalizzo e permetto anche agli albergatori di costruire pacchetti, le agenzie possono chiudere, specialmente ora che soffrono la concorrenza dell’online”.
Il tema è: c’è troppa invadenza del pubblico nel turismo. Non crede?
“Sullo snellimento della burocrazia sono d’accordo. Credo anche debbano essere razionalizzati i controlli: è impensabile che chiunque abbia una divisa in estate vada a controllare se un albergo rispetta le norme. A ciascuno i propri compiti. Per il resto siamo l’unica Regione in Italia che basa la propria politica turistica sul rapporto pubblico privato. Per esempio: noi non facciamo marketing territoriale, facciamo sempre promo commercializzazione”.
A proposito di privati, cosa si deve fare per le spiagge?
“Di vendita non se ne parla perché stiamo parlando di un bene collettivo e come tale inalienabile. Credo che la soluzione debba essere la stessa che è stata presa per gli ambulanti che hanno i posteggi in area pubblica. Abbiamo fatto un accordo che proroga le concessioni fino al 2017 (per le spiagge c’è già fino al 2020), quindi ci saranno le evidenze pubbliche nelle quali gli ambulanti attuali hanno un punteggio derivante dall’anzianità di posteggio pari al 40 percento. Questa idea molto articolata era praticamente quasi conclusa con l’allora ministro Fitto. Su questa linea le associazioni non hanno più tenuto, pressate dagli operatori che dicono ‘usciamo dalla Bolkestein’, cosa che non è possibile. È una posizione che va trattata con l’Europa perché è border line, però garantisce gli operatori”.


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