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Rimini e il pasticciaccio brutto sull’arenile. Cronistoria

Giovedì, 20 Dicembre 2012

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Rimini e il pasticciaccio brutto sull’arenile. Cronistoria


E’ un pasticciaccio brutto quello del demanio marittimo, non solo a Rimini, ma anche e abbastanza. Una matassa ingarbugliata. A partire dalle autorità che sulla sabbia interagiscono (non solo Comune, Regione, Capitaneria di porto, Autorità doganale e Agenzia demanio, ma anche polizia giudiziaria, carabinieri, guardia costiera, polizia municipale, polizia di Stato, corpo forestale, guardia di finanza per acquisire notizie di reato e impedire che reati vengano portati avanti) per finire alle norme che regolano anche l’arenile (Codice della navigazione, Piano spiaggia comunale, Codice civile, legge Agenzia delle dogane, regolamenti attuativi e tutte le norme che valutano le rilevanze edilizie a partire dal Testo unico). Il demanio marittimo, in pratica, non è avulso dalla regolamentazione che vale per le altre parti del territorio, in cui rientra ad uso e diritto.


Rispetto al demanio marittimo in Italia si può segnalare una cesura temporale. Fino al 1998 la competenza sull’arenile era in esclusiva di guardia costiera e capitaneria di porto (ovviamente, in nome e per conto dello Stato). Poi un decreto legislativo (112/98, in attuazione del dpr 616/77) ha delegato la competenza del rilascio delle concessioni alle Regioni che a loro volta la hanno subdelegata con varie leggi regionali ai Comuni, che quindi a oggi hanno la titolarità del rilascio delle concessioni demaniali marittime a uso e scopo turistico ricreativo.


Quello del passaggio delle competenze non è un fattore secondario per capire i problemi sulla spiaggia riminese. Andare a togliere competenza allo Stato su una materia così delicata ha comportato, per esempio, enormi difficoltà per via del fatto che, essendo state forti, fino alla fine degli Ottanta, le prerogative della capitaneria, non esisteva una giurisprudenza del demanio marittimo. Tradotto in termini più semplici vuol dire che le autorità marittime locali hanno fatto per un bel po’ il buono e il cattivo tempo.


Con il passaggio di competenze, gli enti locali, chiamati a rispondere ai cittadini in maniera diretta, hanno cominciato a verificare quali problematiche effettive si potessero riscontrare sull’arenile. Visto che fino al 2005 rispetto a quello che si costruiva sulla spiaggia la procura della Repubblica aveva avuto un atteggiamento di massima tolleranza, perché determinate situazioni che oggi vengono considerate rilevanti dal punto di vista edilizio prima non lo erano, anche gli amministratori se ne sono stati tranquilli.


I problemi sono nati quando la magistratura ha cominciato a interessarsi dell’arenile, stabilendo cosa avesse bisogno di titolo edilizio e cosa no. Chioschi, tende, coperture, ampliamenti, sono tra le costruzioni che fino a quel momento lì per la giurisprudenza locale non avevano avuto rilevanza edilizia. Tanto che il Comune, per permetterne  il montaggio, si accontentava di una semplice richiesta conforme al regolamento di arredo urbano. Via via la magistratura ha iniziato a chiedere i permessi di installazione anche per le vasche idromassaggio, e in generale, sono partiti i primi sequestri.


Più tardi, accanto alla rilevanza edilizia, è subentrata una problematica più noiosa ancora, quella che oggi è il vero motivo di tensione politico-sociale tra amministrazione e balneari, fra operatori e ordinamento giuridico.
C'è un altro anno da ricordare e coincide con il 1985. Entra in vigore la legge Galasso che introduce la necessità di autorizzazioni per modifiche in fascia paesaggistica protetta (rispetto al demanio marittimo rientra tutto quello che è a 300 metri dalla battigia), dove diventa per l'operatore necessario essere in possesso di permesso paesaggistico oltreché edilizio e demaniale. Non finisce qui. La legge Galasso viene confermata e inasprita nel 2004 dal Codice Urbani, che dà impronta penale considerando reato tutto quello che viene installato senza autorizzazione paesaggistica.


In virtù della nuova e severa legislazione, nel 2005 si muove qualcosa. Entro l’agosto sono stati in ottanta gli operatori che hanno chiesto al Comune l’autorizzazione paesaggistica. Questo perché intanto l'amministrazione riminese aveva adottato il nuovo Piano spiaggia che nella sua prima stesura vietava il rilascio di nuove autorizzazioni paesaggistiche (con decorrenza dal 4 agosto 2005) a meno che non si creassero i comparti (l’accorpamento di più operatori per la realizzazione di interventi di riqualificazione). A presentare domanda quindi furono i bagnini che sapevano di non poter creare il comparto. Alcuni, però, non tutti.


Qualcuno è rimasto scoperto, ma vista la determinazione della magistratura nel contestare anche in spiaggia violazioni non solo edilizie, ma anche paesaggistiche, ha chiesto di poter sanare quello che aveva costruito abusivamente. Il Codice Urbani lo permette, ma al prezzo di costi troppo alti a carico dell’amministrazione dovuti alle perizie di stima per accertare la compatibilità di ogni costruzione. Si sarebbe andati incontro a un enorme sperpero di denaro pubblico e si è scelto, come anche in altri Comuni, una strada diversa: quella di lavorare a un regolamento che quantificasse astrattamente, con una casistica generale, il quadro degli abusi commessi. Una patata bollente lanciata di mano in mano, fino all’amministrazione attuale. Nessuno in Comune, infatti, ha nel corso degli anni voluto prendersi la responsabilità di andare a dire agli operatori cosa e quanto dovessero pagare rispetto a tutto quello che col tempo avevano tirato su in maniera abusiva sull'arenile.


Rispetto alla sanatoria richiesta dai bagnini si delinea presto anche un’altra difficoltà. La Regione, che continua ad avere funzioni di controllo e vigilanza sulle concessioni e sui piani spiaggia, viene interpellata sul tema dall'amministrazione nel 2006 e a domanda risponde che quanto considerato considerato opera stagionale non si sarebbe potuto sanare, ma doveva essere smontato e rimontato a fine e inizio di ogni stagione con autorizzazione (quella paesaggistica vale comunque cinque anni). Nella lista delle cose non sanabili rientrano tutti i giochi, tranne i campi da bocce (che possono quindi essere sanati).


Al regolamento e alle tariffe comunque si arriva lo scorso anno. Nascono nuovi problemi. Il primo ha riguardato i prezzi: troppo alti secondo i bagnini; a norma di legge secondo l’amministrazione che parla di maggior somma tra il presunto guadagno del soggetto che ha compiuto l’abuso o il maggior danno recato al paesaggio e che ha anche il problema di non creare un danno erariale dato da una possibile svalutazione dei beni. La seconda difficoltà ha riguardato i tempi. Il regolamento è stato approvato il 19 aprile 2012. Forse un tantino tardi, perché i bagnini hanno dei termini precisi per andare a installare tutto sull’arenile da piano spiaggia: l’ultimo week end di maggio. così gli operatori si sono regolati non pagando e non smontando, cioè non regolarizzando la loro posizione. Hanno scelto di rischiare.


La procura da parte sua ha continuato il lavoro di verifica, allora i gestori degli stabilimenti hanno iniziato a preparare le richieste per la sanatoria. A questo punto si aggiungono altri due problemi. Uno. I balneari si sono accorti di non essere in possesso delle autorizzazioni per le modifiche demaniali e sapevano che una richiesta di sanatoria paesaggistica mancante di autorizzazione demaniale avrebbe significato la denuncia alla procura da parte del Comune. E’ per questo che lo scorso anno la sanatoria ha avuto uno scarsissimo successo. Due. Il piano spiaggia adottato nel 2005 (tra l’altro impugnato dagli operatori) divide l’arenile in quattro fasce: fascia A destinata al verde e attrezzature, fascia B destinata ai servizi, fascia C destinata all’ombreggio e fascia D quella libera, dove i bagnini mettono i lettini.
Sia in fascia A sia in fascia B il piano spiaggia impone che non possa essere pedanizzato più del 20 per cento dell’area. Invece, già allora c’erano, e ci sono attualmente, delle zone che hanno il 90 per cento di pedanizzazione. Questo significa che per avere l'autorizzazione i bagnini non solo devono pagare il sanabile, ma devono anche distruggere l’insanabile, cioè buona parte di quello che c’è.


Insomma, un bel gomitolo ingarbugliato per un giro di affari posibile grazie a un bene dato in concessione a poco più di un euro a metro quadro di canone, che però avrebbe trovato in parte una soluzione. Rispetto ai servizi stagionali, tra cui i giochi, il Comune di Rimini ha fatto la sua proposta, diverse settimane fa. Le strutture per lo sport sono da iscrivere in un procedimento ex articolo 8 dpr 160 del 2010 che permetterebbe agli operatori balneari di installare ex novo i giochi come opere di urbanizzazione secondaria. I nuovi campi potranno essere installati e restare lì per tre anni, fino al 2015, a disposizione anche in inverno. A oggi, però, nessuna richiesta in tal senso è arrivata agli uffici del Comune. 

Ultima modifica il Giovedì, 20 Dicembre 2012 17:05

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