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La caduta del muro di Berlino? No, grazie

Lunedì, 12 Novembre 2018

Per l’ennesima volta il 9 novembre è passato inosservato. Anche a Rimini. Eppure si tratta della data più importante dell’ultimo secolo. Anche a giudizio della storiografia marxista. Nessuno celebra l’anniversario della caduta del muro di Berlino, la fine del maggiore esperimento sociale del ‘900: il socialismo comunista, il peggiore, direbbe Camus, dei muri che la storia abbia conosciuto. Parlarne sarebbe come aprire il vaso di Pandora e scoprire che si possono creare ghetti anche tifando l’internazionalismo. Magari con buone scuse.

Il dizionario del politicamente corretto oggi ha una sola voce: non muri ma ponti. Benissimo! E allora perché perdere un’occasione come quella del 9 novembre, la giornata della Libertà? Parliamo almeno un giorno all’anno di questo muro che ha segregato più di mezzo miliardo di persone oltre la cortina Leningrado- Odessa prima, e Stettino-Trieste dopo la seconda guerra mondiale. Un intero mondo: 22 nazioni!

Quello che si è sentito in giro - bisogna andarlo a cercare su qualche giornale con la lente di ingrandimento -

è che il muro di Berlino divideva due blocchi contrapposti: quello filo-americano e quello filo-sovietico. Come se si trattasse di una partita a baseball o di un tavolo di Risiko.

Il muro di Berlino non è un simbolo della contrapposizione, come la vulgata vorrebbe far passare: un muro che divideva occidente e oriente, quasi fossero due forze a giocare sullo stesso piano. Un muro di confine che entrambe le proprietà riconoscono secondo i principi del diritto. Il muro di Berlino non è stato costruito da due parti in contesa. Il muro di Berlino è stato innalzato da una parte sola, quella di chi non voleva che i propri cittadini uscissero dal ghetto. Cioè: i comunisti dell’est non permisero a centinaia di milioni di persone di visitare il mondo libero occidentale, quello nel quale stava rinascendo l’Europa dopo il nefasto orrore del nazi-fascismo, privandole di quella libertà di cui i nostri nonni, i nostri genitori e noi stessi abbiamo goduto. Una libertà sicuramente sfregiata, ferita e bistrattata, masturbata e oltraggiata, sbugiardata e stuprata, venduta e consumata, ma pur sempre qualcosa di più del campo concentrazionario del GULag al quale i popoli dell’est sovietico sono stati sottoposti. E una libertà tutta da difendere ancora, soprattutto dall’ideologia consumista e del sistema tecnico-finanziario, ai piedi della quale anche la sinistra purtroppo si è piegata da quando non ha voluto ascoltare il corsaro Pasolini.

E’ strana questa storia, molto strana. Che numerose amministrazioni locali, specialmente di sinistra, all’insegna della educazione alla memoria, spendano fior di quattrini per intavolare sulla shoah tam tam che si protraggono per tutto l’anno (tra l’altro con il risultato - segnalato da molti studiosi - di rendere invisibile il fenomeno) e non dedichino un euro, dico uno, a coltivare la memoria dei propri cittadini, o almeno dei propri stranieri aspiranti alla cittadinanza e provenienti da quella storia (chissà perché?) circa la grande bestemmia del comunismo, non fa onore alla verità. Dal 2007 ad oggi il Comune di Rimini ha organizzato decine di giornate di studio sul fenomeno della persecuzione nazionalista. Sollecito a visitare il sito della “educazione alla memoria” ricchissimo di contributi estremamente importanti (http://memoria.comune.rimini.it/chi_siamo/). Tuttavia vi accorgerete che solamente le lezioni introduttive dei primi due anni, tenute dallo storico Francesco Maria Feltri, hanno azzardato un accenno alla comparazione dei totalitarismi nazi-fascista e comunista (politically scorrect). Per di più, sembra, per dichiarare la loro incomparabilità.

Non si tratta della logica del cerchiobottismo, o par condicio - tra l’altro tanto cara alla sinistra quando è in minoranza - per carità! La memoria integrale, che non può esimersi dallo studio comparato degli orrori del nazi-fascismo e del comunismo, è l’unica a permettere di vedere chiaramente i connotati dell’errore, e individua il più radicalmente possibile le profondità della hýbris moderna che non ha a che fare tanto con l’irrazionalismo nazionalista, quanto piuttosto con i migliori principi del “pensiero libero”. Fior di studiosi, a cominciare da Hanna Arendt (della quale in certi convegni viene sempre citato il saggio La banalità del male e mai lo studio Le origini del totalitarismo) sino a Zigmunt Bauman (di cui varrebbe la pena conoscere Modernità e Olocausto), hanno insegnato che risulta fuorviante schiacciare il fenomeno totalitario – vivo e vegeto anche oggi in versione economicista e tecno nichilista - sulla categoria dell’irrazionalismo nazionalista. Porre l’attenzione sull’internazionalismo comunista permette di osservare l’autentica matrice del totalitarismo che è ideologica: l’utopia politica autoredentiva che ha le proprie origini nelle filosofie razionaliste del XVIII e XIX secolo. E se dico che ogni muro è nazionalista e fascista faccio del fascismo. O del comunismo, che è lo stesso. Peggio se dico che ogni male è fascista. Il male non è semplicemente fascista, purtroppo, è ideologico. Nel ‘900 è stato fascista ed è stato comunista, e non solo. Oggi potrebbe essere trampiano o anche politically correct. E quale sia più pericoloso è tutto da dimostrare.

Sarà il mio ascendente socialista che non mi permette di dire con Camus, che quella comunista è stata l’ideologia più nefasta perché il carnefice la giustificava in nome delle vittime, ma certamente non è stata inferiore, o di altro genere. E finché la memoria non sarà vitalizzata anche su questo versante, vivremo ancora nella menzogna che non ci rende liberi.

Non tutte le speranze sono perse: il prossimo anno sarà il 30° della caduta del muro di Berlino. Invito l’amministrazione a mettersi al lavoro.

Alfiero Mariotti


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