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Pd, i sindaci Gnassi, Drei e Lucchi: “Aperti al civismo sociale”

Giovedì, 29 Giugno 2017

(Rimini) Arriva oggi l’appello di tre sindaci romagnoli per il Pd. Davide Drei, Forlì, Andrea Gnassi, Rimini, e Paolo Lucchi, Cesena, non possono fare a meno di “registrare una evidente battuta d’arresto per il Pd” nella “recente tornata amministrativa”, ma prima ancora segnalano “una rottura crescente nel rapporto tra i cittadini e la partecipazione. Una rottura ancor più pesante, poiché si concretizza durante il momento fondante della democrazia rappresentativa: l’espressione del proprio voto”.
Da questo punto di vista, “più che esercitarsi sulle cartine geografiche contando chi abbia vinto e chi abbia perso, facendo analisi in relazione al proprio tornaconto di posizionamento politico, occorre avere l’onestà intellettuale di ammettere che nel rapporto tra cittadini e partecipazione abbiamo perso tutti e che il dato elettorale pone in evidenza come, tra l'altro, che chi è chiamato a ruoli di governo locale sia molto spesso, di fatto, espressione di una minoranza della propria comunità”.
I tre sindaci sentono “la necessità di partire da questa frattura, evitando le astratte analisi politologiche che oggi dominano la riflessione pubblica. Si è rotto qualcosa di più profondo del legame tra qualche partito e parte del proprio elettorato”.


I tempi cambiano. “Chi ha su di sé la responsabilità di governo di una città, sa bene che quello odierno sia il tempo di un radicale cambio d’epoca, non certo e solo di una crisi economica. E sa bene come senza interpretare il cambiamento con profondità e visione strategica - al contrario pensando di sostenerlo con prassi e logiche culturalmente e politicamente semplicemente derivanti da decenni passati - il risultato, per una città, sia l’arenarsi nelle secche dell’immobilismo e della mediazione, virata alla pura conservazione di molteplici status quo”.
Per il Partito democratico, “nato nella ‘culla’ del Lingotto, riformismo non significava la semplice sintesi di grandi culture politiche provenienti dal passato o, peggio, la sommatoria delle rispettive correnti. No, quel Pd venne fondato per essere un partito popolare del tutto nuovo, in termini di identità e di capacità di ascoltare ed essere interlocutore delle istanze di pezzi nuovi di una società in epocale mutamento”.
Oggi, ancor di più di allora, “siamo testimoni ed attori di una società mutevole, più gassosa che liquida. La divaricazione è quella tra esclusi ed inclusi e travolge ogni considerazione legata ad ideologie o appartenenze politiche tradizionali: la tecnologia che elimina lavoratori, le guerre che spingono immigrazione, le paure generate dagli stessi flussi migratori, i muri veri e metaforici che costellano ogni angolo del nostro cammino quotidiano”.


Il “populismo” ed il “neoprotezionismo” delle destre, “parlano e ricevono consensi a destra ed a sinistra. Il populismo parla, amplificando nel Paese e nelle città le preoccupazioni, le ansie, i timori raccolti in questa tornata elettorale dal centrodestra apparso più credibile che nel recente passato”.
Il campo delle culture progressiste, democratiche e riformatrici, invece, “balbetta”. “Dunque o il progetto riformatore del Pd è radicale di fronte alla radicalità dei temi, oppure non è. O il Partito democratico è innovativo e determinato di fronte alla radicalità dei temi posti da una società ipergassosa, o lascia il campo alla destra o ai populismi”.
Da sindaci lo misurano “ogni giorno nelle città che abbiamo l’onere e l’onore di guidare: essere radicali nel governo di una realtà territoriale o di un intero Paese, vuol dire costruirsi un’identità, una riconoscibilità, una nettezza su proposte che alla base devono avere il coraggio delle scelte. Coraggio delle scelte, ad esempio, su un nuovo stato sociale, riconoscendo che tra i bisogni delle persone e lo Stato, non ce la fa più ad esserci solo lo Stato, ma ci può essere un welfare di comunità, uno stato sociale di comunità; coraggio delle scelte sulla riconversione di un modello di sviluppo non centrato sul consumo di territorio, ma sui grandi motori della cultura, dei servizi e delle tecnologie su cui si formano e trovano occupazione i nuovi lavoratori; coraggio delle scelte sull’accoglienza delle persone, che implica solidarietà, ma anche fermo rigore verso chi non si vuole integrare e non sta alle regole”.


A parere dei tre, quindi, “serve un progetto riformatore centrato sul coraggio delle scelte, come quello che stiamo cercando di armonizzare per la realizzazione dell’area vasta della sanità romagnola. Un progetto per il quale non abbiamo fatto accordicchi, messo qualche pezza o cercato mediazioni al ribasso. Al contrario, abbiamo concretizzato un progetto difficile ma dichiarato, fortemente riformatore, sul quale abbiamo investito superando i campanili, cercando di garantire la migliore sanità ed i migliori medici ad ogni cittadino, senza distinzione di censo e reddito, in una fascia territoriale di 100 chilometri ed al massimo a 40 minuti da casa di ciascuno”.
O come il recente processo di unificazione delle agenzie della mobilità e del trasporto pubblico romagnolo, “realizzato per dare al futuro della mobilità un ambito adeguato e prospettico per gli investimenti ecocompatibili e per continuare a garantire la fruibilità nei territori più disagiati e per le fasce sociali meno autonome”.
Questi sono “i primi processi di politiche di integrazione di area vasta che ad esempio, con la cinquantenaria esperienza di Romagna Acque, ha garantito con lungimiranza il presidio ieri e oggi di un bene pubblico come l’acqua”.
Un progetto “di chiara identità riformatrice non deve parlare alle comode (per fini politici) categorie della politica: non sono sufficienti le evocazioni di un “nostro popolo” (“torniamo a parlare al popolo di sinistra”) da un lato e dall’altro l’evocazione de “i moderati” (“torniamo a parlare al popolo dei moderati ”); un progetto di chiara identità riformatrice non deve parlare al solo mondo della rappresentanza tradizionale, anch’esso peraltro attraversato potentemente dalle difficoltà di rappresentare “gli esclusi” e che spesso si concentra solo sulla legittima tutela degli inclusi. No, un progetto fortemente riformatore deve parlare ad una pluralità di cittadini singoli, che di fronte alle grandi questioni dell’oggi - lavoro, protezione sociale, sicurezze - si sentono soli ed appartenenti alla categoria degli esclusi”.


Drei, Gnassi, Lucchi pensano “quindi ad un Partito democratico perno di un progetto radicalmente riformatore e che, sulla base di questo, coltiva e cerca relazioni e alleanze sociali profonde e non alleanze di ceto politico. Un PD perno di un progetto riformatore che si allarga, da un lato a sinistra a un civismo sociale e dall’altro, con coraggio, curiosità e lungimiranza, ad un civismo dell’intraprendere, dell’impresa, delle professioni. Un allargamento non centrato su alleanze politiciste o accordi elettorali immediatamente percepiti come ‘di plastica’ e dunque con scarsa o nessuna capacità espansiva, ma centrato su idee dichiarate di città e di Paese, capaci di dialogare e includere forze dinamiche e attive nelle nostre comunità”.
Il Pd “che pensiamo è un partito che lavora senza sosta per possedere una vocazione maggioritaria di un’idea di società, di città e di Paese e non per essere un contenitore maggioritario con un indistinto tutto dentro, il cui unico fine è il governo”.
Il Pd dei sindaci “non ha nulla a che fare con un partito autoreferenziale, un partito con la mitologia della purezza e che al massimo può aprirsi solo a un dialogo con forze riferibili ai perimetri politici delle coalizioni di sinistra del passato. Duro o no che sia, quei perimetri non leggono e contengono la società di oggi, i non protetti, gli esclusi, che hanno guardato prima ai 5stelle e, in queste elezioni, al centrodestra”.
Il Pd “nasce per alimentare risposte a bisogni che vengono da un campo largo di cittadini non rappresentabili con la fotografia della società del Novecento, ma con quella di oggi. Lo misuriamo ogni giorno nelle nostre città, alle prese con le ricadute locali di problemi enormi, internazionali e locali”.
La “chiarezza” degli intenti, l’ancoraggio a “valori netti e percepibili”, un “progetto riformatore radicale che non rinuncia allo ius soli ed è consapevole della burocrazia che uccide imprese e lavoro, sono l’unica base su cui ricomporre quel circuito virtuoso della rappresentanza che reclama forme diverse di coinvolgimento e partecipazione non più esauribili nello stesso necessario confronto sociale con i tradizionali “corpi intermedi”: serve quindi - assieme ed in fretta - passare dalla ormai poco utile concertazione, alla dinamica e coinvolgente condivisione strategica”.
Non è infatti “affidandoci alle vecchie liturgie od alla semplificazione ambigua del web, che si rinsalda un legame di fiducia con chi non guarda più al Pd. Ma è con la profondità di un progetto fortemente riformatore, ancorato sul coraggio di proporre idee robuste, radicali, capaci di includere chi è tagliato fuori, che il Pd, unica forza popolare e democratica in Italia, saprà ricostruire quella relazione di fiducia e lealtà con i cittadini. In Romagna, a Ravenna, Rimini, Cesena e Forlì, questo cammino è avviato e sicuramente, consolidandosi, sarà un punto di riferimento credibile per tutti i romagnoli ed esperienza innovativa a disposizione del Paese, se ci sarà chi vuole guardare ad essa con curiosità”.


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