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Ripartire da Ceccaroni: l’urbanistica di Rimini fra storia e attualità

Lunedì, 12 Maggio 2014

3bRipartire da Ceccaroni: l’urbanistica di Rimini fra storia e attualità

Ripartiamo da Ceccaroni. L’invito viene dall’assessore regionale al turismo Maurizio Melucci. Walter Ceccaroni è il mitico sindaco di Rimini della ricostruzione, l’amministratore che per oltre un ventennio, dal 1948 al 1970, ha promosso e gestito “la costruzione di una città turistica”, come recita il tiolo del volume di saggi che ha pubblicato l’Istituto per la storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea. Ceccaroni è stato nel 1970 anche il primo assessore regionale al turismo e porta la sua firma la prima legge dell’Emilia Romagna, concernente, guardo caso, la riqualificazione alberghiera.
L’intervento finale di Melucci è stato l’unico a tentare una lettura interpretativa di Ceccaroni nel corso di una presentazione, sabato scorso al Liceo Lettimi, che si è distinta per confusione, frammentazione e capacità comunicativa prossima allo zero.  L’unico a distinguersi è stato Fabio Tomasetti, il cui saggio sull’urbanistica di Ceccaroni è probabilmente il contributo più interessante del volume.
Partiamo proprio da questo studio, che è centrale anche per l’ovvia ragione che l’impronta storica lasciata da Ceccaroni (diventato sindaco a 27 anni, alla faccia del giovanilismo attuale!) su Rimini riguarda soprattutto l’assetto urbanistico e l’avvio di quello che sarà chiamato il turismo di massa.
La scelta fondamentale di Ceccaroni nella fase che va dal 1954 al 1962 è stata quella di favorire la crescita di Rimini senza vincoli urbanistici. Una sorta di liberismo estremo sotto le insegne della falce e martello. Una scelta che lui ha sempre difeso, pur piegandosi a nuovi concetti quando è risultato che l’assunto da cui partiva  - l’assenza di vincoli e la libertà di costruzione per tutti avrebbe frenato la rendita fondiaria – si è rivelata clamorosamente sbagliata.  L’espansione incontrollata va avanti fino al cosiddetto Piano degli Ingegneri che, se attuato, - osserva Tomasetti – avrebbe portato Rimini ad essere una città di 450 mila abitanti, tanto era pronunciato l’innalzamento delle cubature.
In seguito il Pci manda in Emilia Romagna il giovane architetto Giuseppe Campos Venuti a spiegare come funziona la rendita fondiaria e a imprimere una svolta riformista alle politiche urbanistiche. Si arriva così al Prg del 1965, che limita gli indici di edificabilità e che Ceccaroni sinterizza con gli slogan “dalla quantità alla qualità” o “meno camere e più servizi”.  Si discute oggi di alberghi troppi piccoli e della necessità di un loro accorpamento (recente intervento dell’assessore provinciale Galli). Lo stato attuale dipende da una scelta di Ceccaroni di quel periodo quando spiegava che erano stati negati premi ai lotti più grandi perché tale scelta avrebbe buttano all’aria i piccoli operatori e favorito l’intervento del grande capitale.  La scelta riformista (l’unica mai realizzata nella storia urbanistica riminese, sostiene Tomasetti) non è stata indolore, visto che dopo l’adozione del Prg di Campos Venuti arriva a Ceccaroni un telegramma di questo tenore: “operatori immobiliari comunisti protestano le drastiche riduzioni delle superfici edificabili operate con il Prg”.
Ci sarebbe da discutere se poi le rigidità del Prg del 1965 sono state effettivamente tali o se, di deroga in deroga, non si è arrivati al quel consumo totale di territorio che è il problema degli amministratori attuali. Ma ciò che è avvenuto dal 1970 in poi è un’altra storia, non riguarda la biografia di Ceccaroni, e giustamente nel volume non se ne parla.
Si parla invece del contributo dato da Ceccaroni alla costruzione della città turistica. Melucci è partito dall’intervento del giovane sindaco ad un convegno del 1952: il turismo è un settore strategico sottovalutato dal governo nazionale; è necessario un rapporto di integrazione fra costa ed entroterra; è necessario unire le forze (concetto di area vasta, si direbbe oggi) per trovare maggiore ascolto. Secondo Melucci è straordinaria l’attualità di questo pensiero, soprattutto considerando che fra gli anni Ottanta e Novanta questa visione si è persa. “Oggi noi non stiamo inventando nulla, - ha osservato – stiamo solo superando un buco storico durato vent’anni”. Melucci ha anche valorizzato il Ceccaroni che si rende conto (e fa autocritica, come si diceva una volta) rispetto alla questione della rendita immobiliare che non è vero che diminuisce se tutti i lotti sono resi edificabili. E ne traccia il percorso attuale: “Per troppo tempo il valore di un’impresa turistica non è stato basato sulla sua capacità di produrre reddito ma su quanto si poteva ricavare dall’eventuale trasformazione in appartamenti. Questo film è finito. Le attività turistiche valgono per ciò sono in grado di produrre”. Il punto è ancora quello della riqualificazione, già individuato da Ceccaroni quando la spinta espansiva era ancora in atto.
Una postilla doverosa. Il tosto volume di studi non ha potuto avvalersi dell’archivio privato di Ceccaroni, che risulta essere molto ricco e meticoloso. Chi ha avuto l’occasione di sbirciarlo appena, sostiene che quando sarà reso disponibile bisognerà riscrivere molte pagine, se non l’intero libro.
Valerio Lessi

 


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