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Si chiama valzer degli allenatori ma non si balla

Sabato, 09 Novembre 2013

4bSi chiama valzer degli allenatori ma non si balla

 

Nel pallone dei conti in rosso, degli equilibrismi finanziari, delle gestioni creative con schiere di mezze calzette da tenere in rosa come sponsor, nessuno rinuncia all’antica abitudine di scacciare crisi economiche, tecniche e d’immagine, ricorrendo all’esonero dell’allenatore. Lunedì scorso, dopo la decima giornata, quasi fosse il punto giusto per fare un bilancio, in un colpo solo sono stati esonerati cinque allenatori in Seconda Divisione. A proposito, in questo giro di valzer degli allenatori dell’ultima settimana, è tornato in panchina Luca D’Angelo, bandiera biancorossa e tecnico degli ultimi tre anni in maglia a scacchi, che da martedì è al timone dell’Alessandria: in bocca al lupo, anzi, in bocca all’orso. Sono comunque già una quindicina in questi primi 900 minuti di pallone gli allenatori “sollevati dall’incarico” così si dice usando i modi migliori. Scaricati spesso per nascondere gestioni cervellotiche delle squadre e operazioni di mercato sbagliate, scaricati per non dare alla piazza spazientita la sensazione di restare immobili, cacciati perché qualche volta la situazione si risolleva davvero e allora per decidere l’esonero basta l’illusione di potercela fare a rimettere le cose a posto. Quasi mai la separazione è consensuale, e allora addio a loro ma anche a una considerevole fetta di bilancio, perché la società continua a versare lo stipendio al tecnico e magari anche a qualche suo collaboratore che lo accompagna alla porta d’uscita. La crisi? Il pallone piange miseria da anni ma quando c’è da cambiare l’allenatore della crisi se dimenticano tutti e il portafoglio delle società diventa una fisarmonica: non ci sono soldi ma se tocchi i tasti giusti escono. E quel tasto si trova sempre in panchina, magari poi non si fa mercato, non si prendono i giocatori che servirebbero per aggiustare le cose, non di pagano dipendenti e fornitori ma nessuno resiste alla tentazione di far fuori l’allenatore. La cosa bella è che il pallone di solito anticipa l’esonero quasi a voler mettere le mani avanti “per il tecnico è l’ultima spiaggia”, “se non vince la prossima partita salta” come un rincorrersi tra gatto e topo, in un logoramento continuo che finisce quasi sempre allo stesso modo: con il presidente che caccia l’allenatore. Nelle vicende di questi esoneri, ci sono una serie di elementi che s’ingarbugliano: la voglia di visibilità, la presunzione, il nervosismo, il rischio d’impresa, ognuno lo fa a modo suo ma questi elementi si ritrovano sempre. L’esonero di Marco Di Loreto, dal Castel Rigone del re del cachemire Brunello Cucinelli, per raccontarne uno, è il simbolo di un modo di fare pallone che si aggrappa più all’istinto che alla lucidità. Di Loreto è stato infatti esonerato dopo una vittoria, e Cucinelli, che di solito si occupa di altro, candido ha spiegato che si è trattato di “regole non rispettate”. In pratica Di Loreto non ha voluto ascoltare il presidente sull’impostazione della squadra, secondo il Cucinelli dovevano scendere in campo un paio di giocatori, e invece l’allenatore ha deciso di testa sua: ha vinto la partita ma questo è un dettaglio. Dici: è il presidente che paga quindi è lui che decide. Giusto, però, è l’allenatore che ha la responsabilità della squadra e se vince, in teoria dovrebbe aver ragione. Niente, Brunello Cucinelli ha fatto il padrone, così è, punto. Ciao Ciao Di Loreto, non è stato bello, perché il presidente mette i soldi, può dire quello che vuole e soprattutto può far tacere gli altri. Tutto torna, tranne che quando a sbagliare sono i presidenti, non pagano mai. E non si tratta di soldi ma di tutto il resto.
Francesco Pancari


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