Fellini e il sacro. Un volume di studi sul rapporto fra il regista e la presenza del Mistero

Martedì, 31 Marzo 2020

L’idea di fondo è che la questione del sacro non sia secondaria per una lettura completa di Federico Fellini e della sua opera cinematografica. Parliamo dell’idea che stava alla base del convegno che si sarebbe dovuto tenere nei giorni scorsi fra Rimini e Roma e che, a causa della pandemia in atto, è stato annullato. Fra gli effetti positivi di tale incidente di percorso c’è che il convegno è stato sostituito dalla stampa immediata degli atti (Fellini e il sacro, Libreria Ateneo Salesiano) dove, a cura di Davide Bagnaresi, Guido Benzi e Renato Butera, sono riportati tutti i contributi che sarebbero stati presentati nei due simposi. 

Il volume si apre con una prefazione del vescovo di Rimini Francesco Lambiasi che non è di circostanza ma contiene notizie, molte delle quali inedite. Lambiasi informa che dalla consultazione degli archivi della diocesi non sono risultate evidenze di rapporti fra Fellini e la Chiesa di Rimini. Come valutare allora l’episodio della visita al vecchio Arcivescovo di Rimini dopo l’uscita de La dolce vita? Il regista ne parlò nel 1989 in una intervista al gesuita padre Virgilio Fantuzzi per la Civiltà Cattolica. Fellini raccontò di un vecchietto un po’ confuso, che non aveva capito chi era, e che ebbe un malore quando infine lo comprese.  «L’aneddoto – scrive Lambiasi – rimane una di quelle scenette di gusto felliniano in cui il regista affabula e sovrappone suggestioni e memorie». A Rimini non c’è mai stato un Arcivescovo e ai tempi della Dolce Vita era vescovo Emilio Biancheri, che aveva 58 anni ed era “da tutti ricordato per la grande spiritualità, arguzia, bonomia e spirito di dialogo, anche con persone lontane dalla Chiesa». Il ricordo felliniano rimanda probabilmente alla figura di monsignor Vincenzo Scozzoli che Fellini, «da bambino, incontrò già anziano − ma non proprio “confuso” − in occasione della cresima (20 maggio 1929) o di qualche cerimonia».

La ricerca negli archivi è stata davvero approfondita perché il vescovo ha rintracciato la Lettera quaresimale del 1960 scritta da Biancheri dove forse si può rinvenire una eco delle polemiche sollevate dall’Osservatore Romano a proposito del film. L’allora vescovo di Rimini metteva in guardia su alcuni pericoli morali e alludeva alla «stampa specialmente illustrata, ai films, ai divertimenti, alle mode estive che ostentano saggio di autentica follia oltre che di aggressione alla sanità morale». Più avanti ancora proponeva questa riflessione: «Mettere a fuoco le idee-chiave che danno un senso e valore alla vita cristianamente intesa, vissuta secondo i disegni di Dio nel tempo e nell’eternità. La mancanza di queste idee-chiave lascia nelle menti vuoti paurosi. Per colmarli, si cercano surrogati di idee impazzite, esaltazione di istinti, materialismo completo». Commenta Lambiasi: «Non sappiamo se Biancheri abbia mai visto il film La dolce vita. Tuttavia queste parole sono assai vicine alla sottesa denuncia di vuoto e di ipocrisia che molti autorevoli commentatori − cattolici e non − hanno positivamente intravisto nel film di Fellini».

Sistemati i conti con il controverso aneddoto dell’Arcivescovo, Lambiasi rivela alcuni curiosi particolari relativi alla degenza di Fellini all’Ospedale Infermi dopo l’ictus che lo prese quando era ospite del Grand Hotel. Il regista ricevette un mazzo di fiori dalla rockstar Madonna e lui volle che fossero portati all’immagine della Vergine che si trova nel reparto di medicina. Il cappellano don Ferruccio Cappuccini regalò a Giulietta Masina un rosario di plastica bianca, di quelli in uso fra i malati. «È proprio quella corona che Giulietta tiene in mano e con cui saluta teneramente il feretro di Fellini il giorno del suo funerale, come si ricorda nella foto che è rimbalzata sulla stampa di tutto il mondo».

Il libro è ricco di contributi, che è impossibile riassumere in un articolo. Ci soffermiamo su quello del biblista don Guido Benzi che si chiede come mai Fellini non abbia attinto alle fonti evangeliche come fecero gli amici Roberto Rossellini e Pier Paolo Pasolini. «La lontananza di Fellini dal testo sacro, condivisa da gran parte del panorama culturale italiano, affondava le sue radici nella formazione scolastica del giovane Fellini: catechesi dottrinale e moralistica, pietà popolare intrisa di devozionalismo, cultura classica ed epica condita della roboante “romanità” del ventennio».

Benzi passa comunque in rassegna tutte le citazioni bibliche, a volte davvero minimali, presenti nei film del Maestro. Non è questo l’aspetto più interessante del suo contributo che è invece rintracciabile nella proposta di equiparare il rapporto con le fonti evangeliche con l’atteggiamento che Fellini ebbe con il neorealismo. «Non una dottrina, non una scuola di pensiero da citare con rigore, non una codifica di stili, ma un modo di guardare alla realtà della vita».

Per documentare questa interpretazione, don Benzi dà voce allo stesso Fellini. Ecco una citazione: «Per me il Mistero è quello dell’uomo, quello delle grandi linee irrazionali della sua vita spirituale, l’Amore, la Salvezza, la Redenzione, l’Incarnazione. Al centro dei successivi spessori della realtà per me si trova Dio, la chiave del mistero […]. Nel mondo vi sono più Zampanò che “ladri di biciclette” e la storia di un uomo che scopre il Prossimo è importante e reale come la storia di uno sciopero». Viene da pensare, aggiungiamo noi, al misterioso uomo che ne Le notti di Cabiria porta gli aiuti ai derelitti che vivevano nelle grotte. 

Ed ancora, una risposta al gesuita svizzero Charles Reinert: «Nello sviluppo di questi temi profondamente umani e comuni, mi trovo spesso di fronte a sofferenze e a sventure che superano i limiti della nostra sopportazione. È allora che sorge l’intuizione e la fede nei valori che trascendono la nostra natura. Non bastano più il grande mare e il cielo lontano che amo nei miei film: oltre il mare e oltre il cielo, sia pure attraverso l’urto di un’angoscia o la dolcezza di una lacrima, è intravisto Dio, il suo amore, la sua grazia, non tanto come scatto di fede teologica, ma come profonda esigenza d’anima».

«Sulla scorta, dunque, di queste intuizioni, - conclude don Benzi - possiamo allora cercare di vedere quanto le Scritture e soprattutto il Vangelo abbiano costituito lo spartito sommerso sul quale Fellini ha disegnato icone vive e reali». Il Beati i miti di Gesù lo si può rintracciare in Gelsomina che scopre il bambino gravemente handicappato, sottratto ad ogni contatto col mondo ne La Strada, o la ragazzina storpia de Il Bidone. La rappresentazione delle prostitute fa venire in mente I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno di Dio. Giulietta Masina rivelò in una intervista: «Un giorno Fellini mi diede la chiave del personaggio […]. Cabiria, mi disse, è una donna pulita in un mondo ributtante».

Disse Fellini a Josè-Luis de Vilallonga: «Sono cristiano. Credo alla necessità di Dio. Semplicemente, per il fatto che credo nell’uomo. E Dio è l’amore dell’uomo […]. E poi, c’è Gesù Cristo, che diavolo! Il personaggio più favoloso che sia esistito nella storia dell’umanità».