Nella Biblioteca Gambalunga 400 anni della nostra storia

Giovedì, 24 Ottobre 2019

Il pezzo pregiato, perché per la prima volta visibile al grande pubblico, è l’Astronomicon di Basilio Parmense, acquistato nel 1992 dalla Carim in un’asta di Sotheby’s a Londra ed ora di proprietà di Credit Agricole. Ma accanto a quello di Basinio molti altri codici e libri antichi custoditi dalla Biblioteca Gambalunga che quest’anno celebra i primi 400 anni della propria storia. Sono esposti nella mostra Per documento e meraviglia. Una storia lunga 400 anni che sarà inaugurata domani venerdì 25 ottobre e resterà aperta fino al 26 gennaio 2020. L’esposizione si dipana fra le Sale Antiche della Gambalunga, con una ouverture (o una conclusione a seconda dell’itinerario seguito) alla Galleria dell’immagine dove la storia degli ultimi due secoli di Rimini è stata condensata in un filmato di sette minuti.

“La mostra – hanno spiegato nell’anteprima per i giornalisti la direttrice della Biblioteca Oriana Maroni e lo storico Piero Meldini – non è costruita semplicemente intorno ai cimeli preziosi custoditi dalla Biblioteca ma è piuttosto un viaggio nella storia di Rimini degli ultimi secoli sulla base dei documenti conservati in queste sale”. Alcuni dei codici antichi presenti in mostra, aperti su una pagina nelle bacheche, sono anche sfogliabili ad un tavolo touch screen posto all’ingresso delle Sale Antiche.

Nella Sala des Vergers troviamo i documenti dell’epoca malatestiana, tra cui appunto l’Astronomicon, il libro redatto da Basinio, uno degli intellettuali del tempo di cui Sigismondo si era circondato, che descrive pianeti, stelle e costellazioni secondo la cultura di un uomo del Quattrocento. Ma il visitatore potrà trovare anche l’incunabolo De re militari di Roberto Valturio aperto sulla nota illustrazione che raffigura il drago, una sorta di carro armato ante litteram. “Un codice – sottolinea Meldini – che era appartenuto anche a Leonardo da Vinci”. Fra i documenti in mostra anche una lettera di Sigismondo, il Codice Pandolfesco (comprende i testi relativi ai rapporti fra i Malatesta e il Comune di Rimini), un De Civitate Dei con bellissime miniature, appartenuto a Pandolfo, e un codice sulle gesta di Federico da Montefeltro, nemico giurato di Sigismondo.

Nella sala dedicata a documenti del XVI e XVII secolo si può ammirare l’acquaforte di Ian Blaeu, una tavola che raffigura Rimini vista dal mare così come appariva nel Seicento. È questo un secolo in cui si sviluppa una riflessione appassionata sull’identità della città. In mostra il Raccolto istorico di Cesare Clementini (1616), una prima storia generale della città fondata, almeno in parte, sui documenti, e il Sito Riminese di Raffaele Adimari (1617), una sorta di zibaldone su Rimini e dintorni. L’aspetto più curioso di questa sezione è il parere di Malatesta Porta, segretario del Comune di Rimini, sulla questione che divise a lungo la città. La disputa era su quale fosse il segno zodiacale cittadino. Gli astrologi più accreditati propendevano per lo Scorpione, ma c’era nel Tempio Malatestiano il bassorilievo di Agostino di Duccio che rappresentava Rimini sovrastata da un aggressivo Cancro. Non riuscendo a venirne a capo, il consiglio comunale passò la patata bollente a Malatesta Porta, un erudito in contatto con Galileo, che dopo dieci anni di studi sentenziò che Rimini era sotto il segno dello Scorpione, i cui tratti caratteristici sono l’incostanza, la pigrizia e la sensualità. Chissà, forse ci aveva preso…

Un’altra sala è dedicata a Giovanni Bianchi, ovvero Iano Planco, intellettuale di statura europea che corrispondeva con i grandi del suo tempo, fra cui Voltaire. In mostra ci sono il suo diploma di laurea e lo scritto De Vitto Pitagorico, in cui se la prende con i vegetariani dell’epoca. “Iano Planco era anche un formidabile attaccabrighe”, chiosa Meldini. Nella sezione dedicata al Settecento anche alcune opere dei suoi allievi fra cui Giovanni Antonio Battarra e la sua Pratica agraria.

“Rimini, cos’è”, scriveva senza punto interrogativo Federico Fellini ne La mia Rimini. Rimini sono i riminesi, sembra rispondere la sezione della mostra ospitata nella Galleria dell’immagine. Ad accogliere i visitatori all’ingresso della sala di proiezione ci sono infatti le foto-tessera di decine e decine di riminesi fra Ottocento e Novecento, depositate nell’archivio fotografico della Biblioteca. “Rimini, è una città fra Venezia e Ancona”, risponde Alain Delon in una famosa scena de La prima notte di quiete. Il fotogramma apre il video, realizzato con centinaia di foto d’archivio e con filmati d’epoca, che ripercorre la storia della città dall’apertura del primo stabilimento balneare ai giorni nostri, passando attraverso l’epoca dei villini, il fascismo, la guerra, la ricostruzione, il turismo di massa, la città degli eventi. Una storia in cui Rimini è sempre stata definita facendo riferimento a un altro luogo: l’Ostenda d’Italia, la Nizza dell’Adriatico, la Las Vegas romagnola. Cos’è Rimini: “è la frontiera tra l'illusione luccicante del divertimento e il peso opaco della realtà”, dirà Pier Vittorio Tondelli.