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Storie e ricette | Lo chef Daniele Succi (I-Fame): A tavola in positivo

Sabato, 12 Agosto 2017

(Rimini) La sua zia se lo ricorda a quattro anni, al massimo cinque, sopra una montagna di patate in mezzo alla cucina del ristorante dei suoi genitori. Daniele Succi, chef del ristorante I-Fame a Rimini, ha iniziato presto la sua storia di cuoco. Lui e il cibo, una grande passione dalla tenera età. “Ero un mangiatore accanito, sin da piccolo. A 14 anni pesavo 87 chili, ero un bel vitello”. Sa sorridere di sé lo chef ‘vorace’ riminese, o meglio di Viserba, dove “si sta tanto bene, è proprio bellina”.

“Mi piaceva esplorare il cibo. Quando sei bambino hai un occhio più attento e libero su quello che ti appassiona. Ad ogni modo, ho amato il cibo sin da subito, prima da consumatore che da cuoco”.

E così che con la mamma e la zia ha imparato a sei anni a tirarsi le sue tagliatelle. “I miei lavoravano al ristorante, io non volevo stare con la baby sitter e per tenermi occupato mi davano da fare con loro in cucina. Io ne ero felicissimo”. Fuori dal ristorante, “ero l’addetto alla griglia”. E finita la scuola alberghiera è andato a Londra da Gualtiero Marchesi.

Figlio e nipote di contadini, non è totalmente vegetariano o vegano, ma i suoi menu tendono decisamente la mano al mondo vegetale e ai prodotti della terra. Ha anche studiato a Milano, tra i fornelli di Pietro Leeman. Nel tempo libero coltiva le sue erbe aromatiche e va a tartufi con i suoi cani, che sono “prima di tutto degli amici”. Nei boschi, che siano romagnoli o sammarinesi o di chissà dove, lui cerca anche funghi e bacche e assaggia tutto quello che trova guidato da una certa “voracità di conoscenza”, perché “anche un filo d’erba ha il suo sapore”. Non sarà pericoloso? “Al massimo ci lascio le penne, ma non mi perdo il sapore di una pianta nuova per non correre il rischio”. Lo dice seriamente.

Daniele pensa che bisognerebbe “rivalutare il pianeta”, secondo lui c’è poco interesse degli esseri umani per se stessi e questo lo “fa arrabbiare”.

“Ci sono momenti o luoghi in cui alcuni ingredienti scarseggiano o non sono reperibili. Ci sono situazioni in cui nella dieta settimanale certi alimenti si possono sovrapporre. Per esempio: se oggi mi va una frittata e domani le tagliatele, mi ritroverei a mangiare uova per due giorni di fila e non va sempre bene. E’ una questione di salute. E qui il mondo vegetale offre una grossa mano con tutte le sue sfumature. Pieno di potenzialità, può ancora crescere molto. Con i suoi colori offre tutto quello di l’uomo ha bisogno per alimentarsi in modo corretto e sano”.

Il mondo di oggi corre veloce, la vita è frenetica e “se mangi della verdura in mezz’ora l’hai digerita, se mangi carne o derivati di animali impieghi dalle 6 alle 8 ore. Se ci alimentiamo di prodotti che ci danno meno complicazioni nell’assimilazione tutto fila più liscio. Ecco io voglio guardare il mondo in modo positivo, a partire dalla tavola”.

Appassionato di disegno, da piccolo una sua insegnante aveva proposto ai suoi di mandarlo all’istituto d’arte, ma lui voleva cucinare. Lo chef Succi ora riversa tutta la sua creatività nel dare vita alle sue ricette. “Con ogni piatto bisogna corteggiare tutti e cinque i sensi. A partire dalla vista, è la prima porta da aprire. Poi c’è il profumo, poi il tattile degli ingredienti in bocca, e alcuni piatti si gustano anche attraverso l’udito, come qualcosa di croccante, per esempio”.

La ricetta che ci propone Daniele Succi è quella dei capelletti di curcuma e borragine a vapore, su crema di patate, cozze di fondale, portulaca e aria di mare (le dosi indicate sono per quattro persone, e ovviamente il consiglio dello chef è di prenderli biologici).

Per la pasta fresca servono 200 grammi di farina 0, “meglio se di grani antichi di Romagna”, 50 grammi di semola, 120 millilitri di acqua, 5 grammi di curcuma, 3 di glutine, 5 di olio nutraceutico. Si prendono tutti gli ingredienti “si impastano, poi si fa riposare la pasta mezz’oretta”.

Per la farcia si usano 100 grammi di tofu, 500 di foglie di borragine fresche spontanee, 30 di lievito secco in scaglie, sale e pepe a piacere. Mentre la pasta riposa, “mondare la borragine e conservarne i fiori, cuocerla in acqua salata, raffreddare in acqua e ghiaccio, strizzare e frullare con i restanti ingredienti”. Quindi si stende la sfoglia e si tagliano i cappelletti con l’aiuto di un coppa pasta. Si farciscono e si chiudono nella modalità tradizionale. Si cuociono preferibilmente a vapore.

Per la crema di patate prendere 50 grammi di patate (che più o meno equivalgono a una), 10 di olio nutraceutico, sale, pepe e acqua a piacere. “Pelare e mettere a cuocere in abbondante acqua la patata, poi scolare e frullare aggiustando di sale, pepe e olio di oliva”.

Il piatto si impreziosisce con 300 grammi di cozze di fondale lasciate aprire in padella con uno spicchio d’aglio e sfumate con un bicchiere di vino bianco. “Si copre con il coperchio fino all’apertura e subito si tolgono le cozze dal fuoco e si liberano dai gusci, conservando l’acqua di cottura”.

L’acqua di cottura delle cozze si mescola con 5 grammi di lecitina di soya. “Mettendo il liquido in un frullatore si incorpora aria per ottenere una spuma”.

Si prende un piatto e si mette un cucchiaio di crema di patate al fondo. Sopra, in cerchio si altenano i vari ingredienti, un cappelletto, una cozza, un rametto di portulaca (ne servono 50 grammi per decorare quattro piatti) e un fiore di borragine (sedici in totale per quattro persone). Al centro la schiuma di cozze, o “aria” di mare come la chiama lo chef.


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