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San Gaudenzo, discorso del vescovo alle autorità: “Per una cultura del noi”

Venerdì, 14 Ottobre 2016

(Rimini) “Per una cultura del noi” è il titolo dell’intervento sulla e per la città che questo pomeriggio dal vescovo di Rimini, Francesco Lambiasi, ha condiviso con autorità civili e militari cittadine, in occasione della ricorrenza di San Gaudenzo. Lambiasi ha parlato di economia del turismo e di quetione migranti a partire da un “domanda coraggiosa e onesta: nella nostra Città vogliamo aprire porte o blindare cancelli? Ci occorre una rivoluzione culturale. Per contrastare le drammatiche patologie prodotte dalla cultura dell'Io, da cui il nostro territorio non è certamente immune, urge l'intervento efficace e convincente della terapia del dialogo”. Questo Lambiasi lo dice avendo presente quello che chiama “cambiamento d’epoca” caratterizzato da “una evidente accelerazione storica: il disordine globale, il terrorismo, la tumultuosa crescita dell'Asia, l'interconnessione crescente delle informazione e dei trasporti, la crescita delle migrazioni, la sfida climatica”.


Andando al cuore delle vicende locali, il vescovo parla di vocazione turistica del territorio. “Occorre lavorare più intensamente sulla specificità del turismo culturale e religioso, puntando alla valorizzazione della cultura e dell'arte come straordinari veicoli dello sviluppo civile ed economico”. È per questo che da quest’anno l’istituto di scienze religiose Marvelli propone un master universitario in "Valorizzazione dell'Arte sacra e del Turismo religioso”.
“Oggi in Europa e nel mondo - spiega Lambiasi - si guarda al nostro Paese, e anche al nostro territorio romagnolo, più che per l'attrazione della sua spiaggia, per l'unicità del suo ambiente e delle sue opere d'arte - che per i 2/3 sono di matrice religiosa - e per la qualità del clima sociale che si crea tra le persone”.
Per il vescovo “occorre” anche “essere obiettivi e riconoscere che dopo anni di stasi sono stati avviati importanti progetti orientati a un significativo cambiamento. Si pensi ai diversi progetti di valorizzazione del polo museale di Piazza Ferrari, ai progetti di ristrutturazione del Teatro Galli, del recupero archeologico di Piazza Malatesta, alle operazioni di nuovo arredo urbano adiacente alle principali chiese del centro storico. Va anche riconosciuto come la gestione della politica culturale abbia evidenziato negli ultimi anni un rilevante miglioramento nell'offerta di importanti servizi: biblioteca, musei, mostre, festival, cicli di conferenze... Resta davanti a noi la sfida di trasformare nell'immaginario collettivo la rappresentazione della nostra Città: da consumistica "vetrina di eventi" a Città internazionale della cultura, a partire dalle sue elevate potenzialità, dal rapporto con la sua identità, il ricco giacimento della sua memoria, la sua vocazione all'ospitalità, all'amicizia, alla concreta solidarietà. Un esempio tra i tanti espressi dalla città è il prezioso contributo che continua ad essere offerto dalla nostra Protezione Civile alle popolazioni colpite dall'ultimo terremoto nell'Italia centrale, e in particolare nel reatino”.


Emerge quindi un quadro positivo che potrebbe essere valorizzato ulteriormente “dall’Università e dalle diverse realtà di formazione scientifica, culturale ed educativa del territorio, che spesso sono ancora percepite come dei corpi estranei nella costruzione di un ethos della Città. In merito allo sviluppo del Polo Universitario di Rimini è apprezzabile il fatto che UniRimini abbia preso vela ed è confortante che abbia ancora cospicue potenzialità di ulteriore incremento. Per la Città il Polo rappresenta una preziosa risorsa a livello culturale e sociale, oltre che economico. Non possiamo e non vogliamo perdere l’Università”. Per questo “il Polo Universitario Riminese ha bisogno di essere sostenuto sul piano progettuale culturale ed economico. È vivamente auspicabile che la Città – attraverso le sue istituzioni pubbliche e private, come attraverso la pubblica opinione – sappia dare unanime e concorde risposta alle possibilità e alle necessità della sua crescita”.


Tra i “problemi in agenda” per il vescovo, ci sono quelli legati alla cultura dell’accoglienza. “Il primo, di speciale attualità, riguarda l'accoglienza agli immigrati, in particolare ai richiedenti asilo. Molti enti pubblici e privati si sono attivati con frutto. C'è stata e si registra tuttora tanta generosità, che si può constatare nella fattiva solidarietà di molti volontari e di comuni cittadini nella collaborazione a tutto ciò che l'accoglienza comporta. Diverse parrocchie, insieme con la Caritas Diocesana e con altre realtà di volontariato e di cooperazione sociale, sono coinvolte in questo urgente impegno. Purtroppo, anche da parte di qualche settore della nostra popolazione, si avvertono alcune resistenze e non pochi ritardi”.
Qui il vescovo chiede l’impegno di istituzioni, autorità civili, comunità cristiana e media locali nel “rassicurare la nostra popolazione, promuovere un'opinione pubblica favorevole, aperta all'accoglienza. Occorre sconfiggere l'allarmismo, e occorre farlo con scelte mirate a costruire una convivenza di rispetto, di fiducia e di pace fra residenti e immigrati. Certamente non sono poche le difficoltà a livello di alloggio e di organizzazione della vita degli ospiti già nella prima fase dell'accoglienza, nel periodo di attesa del riconoscimento dello status di rifugiati. Fase delicata e ricca di impegni, che coinvolgono, con lo Stato, le realtà che non hanno rinforzato le serrature, ma hanno aperto le porte. È davvero non piccolo il carico di queste ultime, ed è reso ancora più oneroso per il meccanismo molto lento dei rimborsi statali, che richiede di impegnare fin dall'inizio somme ingenti, spesso superiori alle risorse a disposizione di chi fa di tutto per accogliere i richiedenti asilo”.


Ma i problemi da affrontare “non riguardano solo questa prima accoglienza: non possiamo dimenticare anche le decine di persone che, una volta uscite dai percorsi di accoglienza emergenziale e di assistenza definiti dai programmi governativi, si trovano a non avere alcuna possibilità di potersi inserire nella società ospitante. Non avrebbe conseguito il suo obiettivo un'accoglienza iniziale, anche generosa e operosa, alla quale seguisse poi una condizione di emarginazione; di lavoro assente, o precario, o in nero; una situazione di mancanza di alloggio, o che non favorisse la formazione di nuove famiglie o il ricongiungimento di quelle già esistenti; una situazione che spingesse gli immigrati a chiudersi in ghetti senza relazioni feconde con la vita della Città”.


Qui il vescovo lancia un appello “a tutte le famiglie e alla comunità in generale, affinché si aprano all'accoglienza di questi fratelli più piccoli e più disperati, per offrire loro il sollievo, la cura e l'attenzione che solo nell'ambito delle relazioni familiari possono essere pienamente garantiti”. Lambiasi ha chiaro “il dramma tremendo dei bambini che approdano nel nostro Paese dopo i cosiddetti "viaggi della speranza" avendo vissuto, spesso, anche il calvario della perdita dei genitori durante il tragitto”. Al proposito, il vescovo ricorda che sta per arrivare in Senato un disegno di legge “che prevede di dare uno strumento ai sindaci per avere le risorse per l'accoglienza. Oggi se un minore sbarca in un certo luogo, va in carico a quel territorio, sotto tutti gli aspetti. Se si tratta di 30 ragazzi è un conto, ma se sono 5mila si mette in difficoltà il bilancio di un Comune”.


Ci sono poi gli ultimi dati del "Rapporto sulle Povertà" della Caritas Diocesana, con sempre più in aumento le richieste di aiuto che pervengono da singoli o famiglie, spesso privati non solo a causa della perdita del lavoro ma anche perché colpiti da lutti, gravi malattie, separazioni, perdita di relazioni significative. “Parliamo di persone che sono nate e risiedono nel nostro territorio e che non riescono a trovare risposte adeguate alla loro difficile condizione. Anche nei confronti di questi fratelli emerge la necessità che le nostre comunità siano disponibili a fattivi gesti di solidarietà”.
Una risposta è il Fondo per il lavoro, presentato ormai tre anni fa, su cui il vescovo ha dato degli aggiornamenti. “La generosità di tante istituzioni e singole persone e la sensibilità di numerose aziende ha permesso, a tutt'oggi, di inserire al lavoro 90 persone. Certamente, un piccolo segno di fronte all'entità del problema e delle domande pervenute; ma resta comunque un messaggio di solidarietà concreta e di speranza”. La nota dolente è costituita “dall'assottigliarsi dei fondi da destinare alle aziende che effettuano assunzioni. Di qui l'appello rivolto recentemente dalla Caritas diocesana e dagli operatori del Fondo - occorre ribadire: tutti a titolo assolutamente volontario - per un rilancio della richiesta di contributi economici”.


Il vescovo dice la sua anche sulla questione dei campi rom e sinti, ricordando che la normativa regionale “prevede indicazioni e norme circa l'abitazione, l'istruzione, il lavoro e la salute di questi fratelli e sorelle” che di fatto non sono rispettate, viste “le condizioni precarie in cui vivono molti di loro”. Si domanda il vescovo: “cosa stiamo facendo perché, per Rom e Sinti, si volti pagina e si dia inizio a una storia nuova e diversa? Pertanto esorto le istituzioni e tutte le nostre comunità ad avviare processi di reciproca conoscenza con spirito di fraternità, accoglienza e dialogo. Inoltre incoraggio le famiglie cristiane Rom e Sinti a sentirsi parte attiva della grande famiglia di Dio e ad evitare ciò che non è degno della loro vera identità culturale e del nome cristiano”.


Infine, i senzatettto. “Secondo dati forniti dal Comune, a Rimini, risultano in Città 15mila appartamenti sfitti, mentre un numero sempre maggiore di persone è costretto a dormire in strada, nelle barche, sotto i ponti, nelle case abbandonate, o nel migliore dei casi, presso strutture ecclesiali o di emergenza. Inoltre è notevolmente aumentato il numero delle famiglie che non riescono a pagare il canone di affitto da mesi. Tra queste un centinaio hanno ricevuto l'ingiunzione di sfratto. Per quanto riguarda le locazioni, non è noto né il numero totale degli appartamenti affittati in nero per gli studenti, né quello per i turisti estivi. È però risaputo che il fenomeno esiste e va registrando una continua escalation”.


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