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Esequie per Franco Perez. L’omelia del vescovo

Martedì, 09 Agosto 2016

(Rimini) Dodici i sacerdoti che hanno concelebrato insieme al vescovo Francesco Lambiasi oggi alle 15,30 nella chiesa di San Raffaele a Rimini, le esequie di Francesco Perez. Incapace, la chiesa, di contenere le centinaia di persone accorse a rendere l'ultimo saluto terreno a Franco.
Francesco Perez, nato a Rimini nel 1956, insegnante di religione al Liceo delle Scienze umane G. Cesare Valgimigli e all'Istituto Superiore di Scienze religiose "A. Marvelli" (di cui è stato vicedirettore per quattro stagioni), è stato uno dei primissimi laici insegnanti di religione della Diocesi di Rimini.
All'inizio degli anni '80 è stato presidente della cooperativa riccionese Comunità Aperta, che aveva fra le sue espressioni anche radio Icaro. Nel 1981 organizzò con i giovani della cooperativa la prima festa nazionale degli obiettori e del volontariato femminile, lui che si era congedato come ufficiale dell'esercito. Capace, in ogni occasione, di dialogo e di confronto, dalla fine degli anni '70 ha iniziato la sua lunga, feconda e ininterrotta collaborazione a ilPonte, partecipando al Comitato di redazione e interessandosi, con grande competenza, in particolare alle tematiche a lui care della scuola e dell'educazione. Direttore responsabile della rivista nazionale Anir dal 1989, ha collaborato con l'Ufficio catechistico diocesano e ha scritto La notte della religione. Le false promesse di maghi, santoni e... truffatori (edizioni il Ponte, 2003) oltre a diversi saggi.
“Franco è stato uomo del servizio”, ha detto Lambiasi nella sua omelia. “si è dedicato anima e corpo alla famiglia, al lavoro nella scuola come insegnante di religione, al servizio volontario nella comunità parrocchiale e nel centro diocesano, come collaboratore dell'Ufficio Catechistico e docente all'Istituto superiore di Scienze religiose. Ma si è dedicato anche al servizio della causa della pace, come promotore del primo convegno nazionale per il servizio civile e il volontariato femminile. E' stato anche uno dei primi collaboratori di radio Icaro e del nostro settimanale diocesano ilPonte. Ma Francesco Perez si è impegnato anche nel promuovere la libertà e la dignità delle donne (circola ancora su Internet una sua intervista sulla triste piaga del fenomeno della prostituzione a Rimini)”.
"Non temere, piccolo gregge". Queste primissime parole del testo sacro “aprono una finestra nel cielo e ci spalancano le porte del cuore. Quante volte le pagine della Bibbia vengono scandite da questo ritornello martellante: "Non temere, Abramo. Non temere, Mosè. Non temere Davide. Non temere, Elia. Non temere, Israele". Un rabbino ne aveva contate ben 366 ricorrenze nell'AT e aveva concluso che questo invito pressante - Non temere ! - è come il buon giorno di un papà (Dio) ad ognuno di noi suoi figli, per ognuno dei 365 giorni dell'anno solare, con uno in più per il 29 febbraio dell'anno bisestile. Sì, il nostro Dio non è il Dio della paura e del terrore, non è un inguaribile guastafeste, un insaziabile mangiafuoco. No, non è un Giove neroniano, fiscale e implacabile, bizzarro e perennemente incavolato, con un bel fascio di saette in mano, pronto a scagliarle a suo capriccio e piacimento. Gesù ci ha aiutato a non sbagliarci su Dio, e ci ha detto che Dio ha il braccio forte di un babbo e il cuore ardente di una mamma. E il suo biglietto da visita porta impresse queste due semplicissime parole: Non temere!". Questo messaggio di fiducia, per il vescovo, “è la password che ci apre i portali delle reti indispensabili per vivere una vita all'altezza della nostra umanità. E ci raggiunge nella solitudine del dolore, nei giorni della fatica e della festa, nelle notti del successo e del fallimento. E' come se il Padre dei cieli ci dicesse: Non temere, figlio mio: il dolore è il travaglio del parto, non è il rantolo dell'agonia. Non temere, figlia mia: la fatica non sarà per sempre, e basta a ogni giorno la sua pena. Non temete, figli miei, la festa quaggiù prima o poi finirà, ma se la vivrete come un anticipo della festa senza fine, non vi lascerà con il retrogusto dell'amaro più amaro in bocca. Non temere, tu sorella, tu fratello mio, dice Gesù, neanche il giorno della morte, perché anche se in un istante verrai privato dei doni del Donatore, questo avverrà per poter essere arricchito per sempre dall'abbraccio con il Donatore dei doni”.
Il vescovo si sofferma sulle sfide dei tempi attuali. “Infatti ci viene rilanciato in questo tornante della storia, sempre più buio e violento, in cui mentre tanto sangue "occidentale" viene versato, l'immagine del nostro Occidente continua ad essere inquinata da pregiudizi, ipocrisie, violenze tanto più odiose quanto più subdole. "E' insensato che l'Occidente insiste nel difendere volgarità, maldicenze, pornografia, pornolalia, blasfemie, bestemmie, invocando la libertà di pensiero, come se non si sapesse che in tal modo si umiliano le profonde ragioni della libertà". E' assurdo che si vogliano far passare per retrogradi e oscurantisti quanti non si rassegnano ad accettare il principio stesso del matrimonio "egualitario". E' ridicolo che nell'epoca della globalizzazione si pretenda di cambiare usi linguistici plurimillenari di parole semplicissime come "moglie" e "marito", "padre" e "madre", sostituendole, con un'ambiguità irriducibile, con parole come genitore n. 1 e genitore numero 2. Questo non significa legittimare il terrorismo contro l'Occidente. Significa semplicemente che non si può rispondere alla cultura del terrore con la cultura del niente”.
Per Lambiasi, “non c'è niente da fare: il migliore solvente della paura non è la cultura del niente, ma la fede la cui ala vola insieme con quella della ragione. Perché non è vero che chi crede non pensa e chi pensa non crede”.
Franco “ha imparato a gestire la fatica della sua malattia: meglio morire da vivi che vivere da morti. Noi siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli”. La paura più seria “non è che la vita possa finire, ma che possa finire senza aver mai cominciato a vivere veramente”.
Quando si parla “di questa necessità di vigilare e di stare pronti, si può cadere facilmente in un equivoco: quello di pensare che tutto ciò si riferisca alla venuta finale di Cristo, quella che si realizzerà alla fine del mondo e, per ognuno di noi singolarmente preso, nella nostra morte. Ma se c'è una venuta di Cristo che avverrà nell'ultimo giorno, ce n'è una che avviene ogni giorno. E' la venuta silenziosa in cui il Signore viene, ma non bussa discretamente alla nostra porta con la sua parola, con una ispirazione, un avvenimento, una sofferenza”.
Il vescovo ricorda “di aver visto nella cattedrale di san Paolo a Londra un famoso quadro che raffigura Cristo che bussa ad una porta, davanti alla quale sono cresciuti rovi ed erbacce. E cristo continua da aspettare. Pare che qualcuno abbia fatto notare al pittore, in genere molto preciso e meticoloso nei dettagli, che c'era tuttavia un errore nel suo quadro. In effetti si vede il buco della chiave, ma non c'è traccia di maniglia. Il pittore avrebbe risposto: "Ma io l'ho fatto apposta. La maniglia c'è ma è all'interno". Voleva dire che dobbiamo essere noi ad aprire a Cristo che bussa per entrare, ma non sfonda la porta”.
Spesso Gesù “si presenta in incognito, o addirittura travestito. Non come lo si vede nel quadro descritto prima, con i capelli alla nazarena, la corona di spine, il manto regale, ma nei panni del povero, del bisognoso del sofferente”.
Quindi Lambiasi si avvia alle conclusioni. “Caro Franco, tu oggi ci consegni l'immagine clamorosa che solo Gesù ha osato, di Dio nostro servitore, che solo lui ha mostrato cingendosi ai fianchi un asciugamano, chino davanti ai nostri piedi. Questo Dio è il solo che tu hai servito in noi - familiari, amici, colleghi, poveri - tutti i giorni e tutte le notti della tua vita. Tu oggi ci dici: Il Dio che ho servito si è fatto servitore della mia gioia e si farà servitore anche della vostra gioia, per sempre". Parola di Franco, sorelle e fratelli miei. Grazie, Franco, per avercelo ricordato”.


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