È da tempo che l’elettorato reagisce con il proprio voto in modo diverso, a seconda del tipo di elezione e dell’offerta politica che trova nelle urne. È questa una premessa indispensabile di cui tener conto nel tentativo di analizzare le ripercussioni locali del voto del 4 marzo.

La prima evidenza che balza agli occhi è che nessun fattore locale ha inciso sul voto, che ha seguito pressoché esclusivamente umori, percezioni e opinioni legate al contesto nazionale. Si era tanto parlato dei candidati indicati sulla scheda come la possibilità finalmente concessa di poter scegliere il proprio rappresentante, ma i nomi, con tutto il rispetto per gli eletti e per i bocciati, hanno avuto un’influenza assolutamente marginale, se non nulla. Basti pensare al caso di Giulia Sarti, candidata autosospesa, che probabilmente finirà nel gruppo misto, che tuttavia è stata eletta e all’uninominale ha raccolto il 32,47% dei voti. I grillini potevano candidare chiunque e sarebbe stato eletto.

Nelle urne, anche qui da noi, ha prevalso il sentimento di rabbia contro la politica tradizionale e, meglio, la richiesta di rappresentanza da parte di un popolo che si sente insicuro in un mondo dominato da regole e fenomeni che lo sovrastano (economia, finanza, rivoluzione tecnologia, immigrazione), tanto che nel collegio della Camera i voti dei 5 Stelle e della Lega superano il 51 per cento.

A farne le spese è stato principalmente il Pd, individuato come il “partito del sistema” che, a torto o a ragione, si voleva abbattere, ed anche Forza Italia che ha clamorosamente perso, di molto, la competizione interna al centrodestra. Colpisce che un anno e mezzo dopo la trionfale rielezione di Andrea Gnassi a sindaco di Rimini i candidati del Pd si trovino a raccogliere appena il 25,62% (Sergio Pizzolante alla Camera) e il 27,06% (Tiziano Arlotti al Senato, entrato papa e uscito cardinale). Davvero le elezioni amministrative sono una cosa, le elezioni politiche un’altra. L’elettorato sa distinguere e valuta secondo l’offerta politica che gli è presentata ed il contesto in cui si inserisce. Il pacchetto di voti raccolto dal Patto Civico di Pizzolante a Rimini e a Riccione si è dissolto come neve al sole, l’elettorato moderato che l’aveva sostenuto di fronte all’elezione del Parlamento è tornato alla casa madre del centrodestra, premiando proprio la Lega, il partito, insieme ai 5 Stelle, contro cui Pizzolante era sceso in campo. Sbaglierebbe però il bersaglio polemico, chi leggesse questo dato come una smentita o un ritorno all’indietro rispetto al voto delle amministrative. Che il Comune di Rimini sia contendibile da un’alleanza di centrodestra, era vero anche prima, fatto salvo il caso di Gnassi al secondo mandato. Peraltro, grazie al risultato del 4 marzo, si capisce meglio quanto abbia pesato l’assenza sulla scheda elettorale del simbolo dei 5 Stelle: ci fosse stato, probabilmente avremmo visto un altro film.

Le elezioni di ieri consacrano definitivamente l’egemonia sul centrodestra da parte della Lega. È una egemonia che non nasce da ieri, ma che ha il suo abbrivio nelle elezioni regionali del 2014. La scelta di Forza Italia di lasciare ai leghisti la candidatura alla presidenza della Regione, unita all’azzeramento della dirigenza storica degli azzurri di Rimini, ha aperto ai seguaci di Salvini vaste praterie dove hanno raccolto a piene mani. Bisogna prendere atto che per le prossime elezioni amministrative, quelle del dopo Gnassi, sarà la Lega il partito titolato a dare le carte, e c’è da augurarsi che, una volta consolidato il proprio primato, sappia svolgere il suo ruolo con inclusiva intelligenza politica.

All’uninominale sono passati i candidati del centrodestra, Antonio Barboni ed Elena Raffaelli. Verrebbe da dire: la fortunata congiunzione astrale di trovarsi al posto giusto al momento giusto. Barboni era ormai un pensionato della politica, l’ultimo atto di Massimo Palmizio, defenestrato coordinatore regionale, è stato quello di candidarlo, dopo averlo visto - così ha raccontato il neosenatore - brillantemente all’opera come presidente dell’associazione aeronautica. I nemici di Palmizio dovranno riconoscere che per una volta ha fatto la scelta giusta. Elena Raffaelli è stata “miracolata” dall’esigenza di garantire le quote rosa in un collegio che, nello scacchiere regionale, andava alla Lega, visto che quello senatoriale era stato destinato agli azzurri. In un’altra elezione sarebbero stati ottimi secondi, invece si ritrovano in tasca il biglietto per Roma.

Il post voto sarà particolarmente duro per il Pd che a Rimini, come nel resto d’Italia, ha raggiunto il suo minimo storico. È la sconfitta di un modello di sinistra che aveva cercato di liberarsi da tutti gli orpelli di un passato comunista. E viene da dire che, contrariamente alla propaganda di Liberi e Uguali, gli elettori non erano affatto alla ricerca di più sinistra, visto il magrissimo risultato della loro lista. È forse presto per dire se da questa sconfitta esca rafforzata o silurata la candidatura a sindaco di Emma Petitti, esponente della sinistra interna. Quel che è certo che se il Pd vuole avere un futuro non può fermarsi a leccarsi le ferite, a Rimini come a Roma.

Lo tsunami del 4 marzo ha ridisegnato la geografia politica anche di Rimini e Provincia. Nei collegi uninominali della Camera e del Senato si affermano i candidati del centrodestra: Antonio Barboni, di Forza Italia, ed Elena Raffaelli, della Lega. Il Movimento 5 Stelle è ovunque il primo partito, anche se con percentuali leggermente inferiori rispetto a quelle nazionali. Clamoroso anche il crollo del Pd e della coalizione di centrosinistra, che ottiene un minimo storico. I candidati all’uninominale Tiziano Arlotti e Sergio Pizzolante sono arrivati terzi, a distanza di quasi sette punti dai vincitori del centrodestra. Anche a Rimini Liberi e Uguali non va oltre il poco oltre il 3 per cento.

A scrutinio non ancora ultimato Barboni è saldamente in testa con oltre il 34 per cento dei voti, Carla Franchini, del Movimento 5 Stelle, segue a distanza con il 30,77 mentre Tiziano Arlotti è al terzo posto con appena il 27,4.

Analoga la situazione alla Camera, con Elena Raffaelli saldamente al comando con il 35, 18, Giulia Sarti, autosospesa dal Movimento 5 Stelle, ottiene comunque il 32,07, Sergio Pizzolante è terzo al 25,87, a quasi dieci puti di distanza dalla leghista.

Anche a Rimini e provincia la Lega è di gran lunga il primo partito all’interno della coalizione di centrodestra: nelle collegio della Camera, il 19,63% contro l’11,56.

Giuseppe Chicchi, di Liberi e Uguali, non è andato oltre il3 per cento.

Finchè non sarà ultimato lo spoglio, impossibile sapere il numero complessivo dei seggi conquistati dalle varie forze nel proporzionale, e quindi chi è stato eletto dei candidati delle liste locali. Certamente è stata eletta l’autosospesa Giulia Sarti.

La prima impressione è che nessun fattore locale – candidati, liste, rimborso poli, ecc. – ha influenzato il moto che rispecchia fedelmente l’onda nazionale.

 

Elezioni politiche 2018: alle 19 di oggi in provincia di Rimini epr la Camera dei Deputati aveva votato il 63,10%, qualche punto in più rispetto alla media nazionale.

Il Comune dove si è votatod i più è Talamello con  il 70.33%, quello in cui si è votato di meno è Montegridolfo ocn il 50,25%.

A Rimini ha votato il 62, 03%, a Riccione il 62,503%.

L'affluenza è  in generale più alta rispetto al 2013,  quando però si votava anche il lunedì.

Forse sapete già tutto, forse qualcuno ha invece bisogno di un piccolo ripasso, ecco dunque le istruzioni utili per il voto di domenica prossima.

La prima cosa da sapere è che si vota in un giorno solo, quindi al seggio bisogna andare domenica entro le 23. Dopo, rien ne va plus.

Al seggio vi daranno due schede, una per la Camera dei Deputati, l’altra per il Senato della Repubblica. Hanno una novità: il tagliando antifrode. Dopo che avrete votato, dovete riconsegnare la scheda al presidente del seggio, il quale stacca il tagliando e controlla che il codice alfanumerico sia uguale a quello del registro. Non ci sarà più l’emozione di infilare la scheda nell’urna.

Come si vota? Ci sono tre possibilità: si fa la croce sul candidato uninominale, oppure si fa la croce sul candidato uninominale e sul simbolo di uno dei partiti ad esso collegati, oppure si fa la croce su uno dei partiti. Tutti questi tre modi di esprimere il proprio voto sono validi.

Si deve però sapere che se si fa la croce sul simbolo di un partito, il proprio voto è comunque esteso automaticamente al candidato uninominale. Se si fa la croce solo sul candidato uninominale, il proprio voto è trasferito proporzionalmente anche a ciascuno dei partiti collegati.

Non è ammesso il voto di preferenza.

Non è ammesso il voto disgiunto, cioè non è possibile votare un candidato uninominale e il partito di un’altra coalizione.

Lo scrutinio dei voti comincerà immediatamente dopo la chiusura dei seggi, partendo dal Senato. Vi consigliamo di restare alzati fino al momento degli exit poll e poi andare a dormire. Verosimilmente i primi dati reali significativi arriveranno solo con le luci dell’alba.

 

Il Rosatellum, la legge elettorale con cui si vota, ha indetto il Ministero dell’Interno a predisporre un nuovo sistema di raccolta dei voti. Nei seggi avranno tre tabelle da compilare.

Nella tabella A sono riportati i voti attribuiti ai candidati uninominali (segno apposto solo sul loro nome oppure segno apposto solo sul simbolo della/di una lista collegata oppure due segni apposti su entrambi).

Nella tabella B sono riportati invece i voti corrispondenti ai segni apposti solo sui nomi dei candidati uninominali.

Nella tabella C sono infine riportati i voti corrispondenti ai segni apposti sui simboli delle liste.

È importante sapere che solo quando il Viminale avrà ricevuto i risultati di tutte le sezioni elettorali di un collegio uninominale potrà effettuare il riparto di tali voti tra le liste coalizzate, in proporzione ai voti ottenuti nel collegio stesso. E solo in questo momento, ai fini della comunicazione, trasferirà – sia per le liste singole che per quelle collegate – i voti B di quel collegio uninominale nei dati C relativi ai voti delle liste.

Insomma, per avere i dati definitivi bisogna avere la pazienza di aspettare. Gli esperti inoltre fanno notare che i voti espressi apponendo un segno solo sui nomi dei candidati uninominali potrebbero essere percentualmente diversi a seconda che si tratti di candidati meno noti e pertanto meno soggetti a ricevere solo suffragi personali, ovvero di candidati più noti. Se questa ipotesi si rivelasse fondata, tra i dati C delle liste che saranno comunicati inizialmente (dati che per tutte le liste non comprenderanno ancora i voti espressi per i soli candidati uninominali) e i dati C comunicati nella parte finale dello scrutinio potrebbe pertanto esserci un divario (a prescindere da altri fattori relativi alla parzialità dello scrutinio), con una relativa sovrastima per le liste i cui candidati uninominali sono meno noti e una relativa sottostima per le liste i cui candidati uninominali sono più conosciuti e oggetto di maggiori suffragi personali.

Si tratta poi di vedere se gli istituti demoscopici che faranno gli exit poll si saranno adeguatamente attrezzati alle particolarità della legge elettorale. Motivo in più per andare a dormire presto la sera e magari alzarsi all’alba per sapere come è andata.

Alla vigilia del voto, può essere utile fissare quali sono le questioni squisitamente politiche che gli elettori sono chiamati a risolvere e anche ipotizzarne le conseguenze sul piano locale.

  1. Il voto grillino

Sarà molto interessante vedere quale risultato otterrà Giulia Sarti, candidata alla Camera sia nell’uninominale che come capolista del listino proporzionale. La deputata uscente non ha fatto campagna elettorale perché si è autosospesa dopo il caso rimborsopoli. È sospesa pure la pratica davanti ai probiviri del Movimento: non si sa se sarà espulsa o perdonata. Non si sa se quindi la Sarti potrà continuare a rappresentare i 5 Stelle alla Camera o rappresenterà solo se stessa. Gli elettori voteranno ugualmente i 5 Stelle o tutta la vicenda farà perdere voti? Sarà in ogni caso interessante verificare a quanto ammonta il consenso grillino a Rimini dopo le liste naufragate alle comunali, l’addio di Affronte, le gaffes social della Franchini, ecc. ecc. Ecco un bel caso da analizzare all’alba del 5 marzo.

  1. Il voto a Riccione

Sarà interessante analizzare il voto della città di Riccione, a quasi un anno dalle nuove elezioni amministrative che hanno rimesso sul trono Renata Tosi dopo la congiura di palazzo del 24 febbraio 2017. La stessa Tosi è in gioco in queste elezioni con la candidatura di uno degli assessori più rappresentativi, Elena Raffaelli, con la quale ha mostrato di avere un forte sodalizio fin dai tempi della comune opposizione alla giunta Pironi. La domanda su Riccione è se ci sarà nelle urne anche una maggioranza politica di centrodestra, trainata dalla candidatura dell’assessora leghista. Nelle ultime consultazioni si è sempre registrata una diversa risposta degli elettori: ancora ancorati a sinistra nel voto politico, spostati a destra nel voto amministrativo. A Riccione sarà poi da studiare come si sono distribuiti i voti ottenuti alle amministrative dal Patto Civico promosso da Sergio Pizzolante. Il deputato questa volta è alleato del Pd: riuscirà a fare convogliare su di sé i voti dell’elettorato moderato? Tutto da vedere e scoprire all’alba del 5 marzo.

  1. Il caso Pizzolante

Il destino del deputato uscente ha una rilevanza politica ben oltre Riccione. È noto che la sua candidatura sia stata osteggiata da una parte del Pd che ha dichiarato che non lo voterà. La mossa di Liberi e Uguali di candidare l’ex sindaco Giuseppe Chicchi è stata pensata per dare una sponda più che accettabile all’elettorato antirenziano (e quindi antiPizzolante) che si riconosce nelle posizioni di Maurizio Melucci. Se il ‘fuoco amico’ (si fa per dire) riuscirà a ‘impallinare’ il candidato di centrosinistra, non c’è bisogno di avere la proverbiale sfera di cristallo per immaginare forti tensioni post elettorali nello stesso Pd e anche nella tenuta della giunta Gnassi dove i consiglieri di Patto Civico hanno un ruolo determinante nella maggioranza. Tensioni ancora più acute se la mancata elezione di Pizzolante dovesse corrispondere a un generale insuccesso del Pd su scala nazionale.

  1. Il caso centrodestra

A Rimini, alle comunali del 2016, il sorpasso della Lega su Forza Italia ha avuto dimensioni consistenti: il 12,37% contro il 7,55%. Si tratta di vedere se la decisione di candidare Antonio Barboni al Senato, uno dei leader storici degli azzurri a Rimini, aprirà a Forza Italia la possibilità di tornare a essere il primo partito della coalizione; così come sarà interessante vedere anche l’esito del voto alla Camera, dove il candidato all’uninominale è della Lega. È noto infatti che, all’interno del centrodestra, sia questa la competizione fondamentale: che la coalizione si piazzi al primo posto era previsto da tutti i sondaggi pubblicati prima del divieto, ma l’esito della battaglia fra berlusconiani e salviniani (con la conseguenza rilevante del candidato premier) è tutta da verificare nelle urne. E che Forza Italia torni a essere il primo partito della coalizione o meno sarà rilevante rispetto al tentativo di costruire un’alternativa al termine del mandato Gnassi.

 

 

Che ci fa un nutrito gruppo di persone, in una Rimini imbiancata e gelata da Burian, nella cripta della chiesa di San Giuseppe al Porto ad ascoltare una persona che vive in una baraccopoli di Buenos Aires? Per gran parte la presenza è un moto d’affetto, l’espressione di un’amicizia vecchia di decenni e resistente al tempo e alla lontananza fisica. Al fine della serata c’è in tutti la consapevolezza di aver ascoltato un racconto non appena interessante, ma prezioso per noi che viviamo nel lato opposto della “fine del mondo”.

Grande serata con Alver Metalli, 65 anni, giornalista da tempo in giro in ogni angolo dell’America Latina ed ora domiciliato nella Villa La Carcova che, detta così, sembra una rispettabile residenza signorile, in realtà è un agglomerato di quarantamila persone che vivono in una periferia urbana descrivibile solo con la parola degrado.

L’avventura di Alver Metalli comincia da Riccione, dove ancora studente fonda una libreria Ora Nona, dove abbonda la saggistica relativa al Terzo Mondo, e dove puntuale ogni mese arrivava da Cuba un pacco di Granma, la rivista ufficiale di Fidel Castro. A metà degli anni Settanta si occupa dei movimenti di liberazione nell’Africa coloniale portoghese. Poi è stato protagonista di Radio Riviera, inviato del settimanale Il Sabato, corrispondente della Rai per l’America Latina, vivendo in Messico, Uruguay e Argentina. Ora che vive in un luogo dove non sempre è facile avere la connessione a Internet e un po’ di calma per concentrarsi a scrivere, continua a fare il giornalista (i suoi scritti si trovano sui blog Terre d’America e su Vatican Insider) e realizza scoop: è stato il primo al mondo a dare la notizia del viaggio di papa Francesco a Cuba.

Ecco come Metalli ha descritto il luogo in cui ha scelto di vivere: “E’ come una favela brasiliana, la gente vi è arrivata da molte parti del paese durante la crisi del 2001. Si sono accampati e la sistemazione è diventata definitiva. Siamo vicini alla grande discarica di Buenos Aires e il 50 per cento degli abitanti vive andando a rovistare fra i rifiuti, parte fa il manovale per l’edilizia, le donne prestano servizio nelle famiglie benestanti della città. C’è una forte natalità, ovunque spuntano bambini. È una realtà dominata dalla violenza e dallo spaccio di droga. Si vedono anche ragazzini di otto dieci anni che usano la Paco, una droga ottenuta con i residui della lavorazione della cocaina. È una droga distruttiva, che induce alla violenza, si fa qualsiasi cosa per averla. Il territorio è diviso fra quattro bande, di notte si sentono sempre sparatorie, le fanno per marcare il territorio. Sono lì da quattro anni e non mi hanno mai minacciato. Forse non sono un estraneo che va e che viene, ma ho scelto di condividere la loro situazione”.

In inizio di serata ha mostrato un filmato in cui si vedono i ragazzini della Villa giocare a calcio guidati da un allenatore in carrozzella. Hanno vinto anche un torneo giocando nello stadio del mitico Boca. Le gambe dell’allenatore sono state messe fuori uso da sette colpi, anche lui era nel giro della droga, poi incontrando don Pepe Di Paola, il parroco della Villa, amico di papa Bergoglio, ha cambiato vita. “La droga porta degrado umano. – racconta Alver – Don Pepe ha pensato allo sport come mezzo di prevenzione, per dare una possibilità di una vita diversa ai ragazzi. Accogliendoli, poi ci si accorge di altri bisogni. C’è chi mangia una sola volta al giorno, ed eco la mensa. Chi non va più a scuola, ed ecco la scuola di arti e mestieri. In questo modo i ragazzi scoprono che c’è una strada diversa rispetto al degrado. Don Pepe ha disseminato la Villa di punti di incontro, di cappelle, il territorio è vasto e non ci sono strade, mezzi di trasporto. Incontra perone che non sono battezzate, cresimate o sposate. Celebra un fiume di battesimi. Un prete, una comunità che si avvicina, cambia veramente le cose. Sono testimone di come una presenza cristiana generi una speranza che fa alzare la testa, che fa riprendere in mano la propria vita e cerca di migliorarla. In questo ambiente di degrado ho visto rinascere un popolo”.

Da quest’esperienza alla concezione di papa Francesco sulla Chiesa in uscita, sulla Chiesa come ospedale da campo, il passo è breve. “Per Bergoglio – racconta Metalli – il punto di partenza è una condivisione reale, non un discorso sulla povertà. Lui le Villas le frequentava, io sono andato negli stessi luoghi per capire bene come è nato l’insegnamento del papa. Entrando nelle case ho visto appese alle pareti le foto di Bergoglio che battezzava il figlio. Tutti hanno il ricordo di lui che arrivava, senza preavviso, a piedi, perché l’autobus arriva solo fino a un certo punto. A volte andava a sostituire il parroco malato o andava alle feste espressioni della religiosità popolare delle diverse etnie presenti. L’immagine della Chiesa ospedale da campo l’ha usata la prima volta qualche mese dopo essere stato eletto papa, ma ce l’aveva già in testa. Significa una Chiesa che cura le ferite degli uomini, che si fa carico dell’umanità ferita. E quindi non si limita a dare un’aspirina a chi ha bisogno di ben altro. Lui non ha inventato la tradizione di questi preti che vivono nelle Villas , però l’ha promossa, erano otto oggi sono ventidue”.

A questo punto arriva per Alver Metalli la domanda cruciale: perché hai scelto di andare a vivere lì? “La povertà brutta, estrema, la marginalità, l’ho sempre avvertita come una grande sfida, come una provocazione. L’elezione di Bergoglio, la sua predicazione, l’hanno rinfiammata. Per motivi professionali avevo incontrato più volte padre Pepe, fino a quando non gli chiesi se aveva bisogno di una mano. E così quattro anni fa sono andato. La sfida è vedere come una posizione di fede diventa un fattore che umanizza la situazione. L’esperienza che io ho incontrato, con l’accento così acuto sul seguire un Cristo vivo, questa esperienza messa a contatto con una situazione umana di degrado è capace di umanizzarla, di iniziare un cammino in cui l’uomo ricomincia ad essere tale”.

Metalli racconta dei campeggi organizzati per i villeros, a San Clemente, sull’Oceano, e dello stupore di chi per la prima volta vede il mare. “E’ un esperienza educativa con cui certamente paragoneranno altre cose della loro vita”. Un paradigma di come l’incontro con il cristianesimo porta a riscoprire la propri umanità.

E infine arriva per Metalli una domanda ancor più impegnativa: il rapporto fra il carisma di don Giussani e la sequela di papa Francesco. “Bergoglio – spiega - probabilmente non ha avuto una conoscenza personale di Giussani, ma ha letto alcuni suoi libri. Quando ero a Buenos Ares il primo rapporto con lui è stato per invitarlo alla presentazione di un testo di Giussani. E lui ha sempre detto di aver tratto grande giovamento dalla lettura del fondatore di CL. Quindi ne conosce il pensiero e il carisma, lo apprezza e vuole che sia popolare. Questi miei quattro anni di presenza nella Villa possono essere letti come una sfida a rendere popolare il carisma di Giussani. Uno degli ultimi campeggi è stato con un’ottantina di uomini, fra i quaranta e i sessant’anni, quelli che vanno a rovistare fra l’ immondizia. Siamo stati qualche giorno in montagna. Non è facile parlare a persone povere, adulte; don Pepe ha questa capacità, ha detto per lui è stata la più bella esperienza in trent’anni di sacerdozio. Le mie categorie sono quelle di una persona che ha conosciuto Giussani, che si propone con questa sensibilità. Posso dire che c’è una passione per gli uomini e una maniera acuta di parlare di Cristo che arriva al popolo”.

Trentacinque anni fa un giovane Alver Metalli aveva abbracciato la lotta anticolonialista di alcuni paesi africani, ora ha abbracciato una diversa causa. Lui sorride e osserva: “L’impeto buono era lo stesso, adesso è più avveduto, pacifico e cosciente di ciò di cui l’uomo ha veramente bisogno”.

Valerio Lessi

Se la media nazionale è che un host affitta la propria casa per 20 giorni all’anno ricavandone circa 2.000 euro, la vocazione turistica di Rimini porta con sé numero più alti: l’host tipico riminese nell’ultimo anno ha condiviso la propria casa per 45 notti, con un ricavo di circa 2.600 euro. E dal primo aprile anche i turisti che scelgono per le vacanze la casa in affitto pagheranno al Comune l’imposta di soggiorno. E in questo caso – a differenza degli Hotel - non ci saranno margini di evasione. La gestione dell’imposta sarà completamente digitale, il turista la paga al momento di prenotare la casa o la stanza, Airbnb provvede a versare al Comune l’importo ogni trimestre. L’importo sarà pari al 3% del canone corrisposto con il limite massimo, previsto per legge, di 5 euro a persona per notte di soggiorno.

Dopo altre città italiane come Milano, Firenze, Bologna, Genova, Palermo, anche Rimini ha raggiunto un accordo cin Airbnb per il pagamento della tassa. Uno degli argomenti polemici degli albergatori verso questa nuova forma di fare turismo non avrà più ragione d’’essere. L’accordo riguarda una fetta non trascurabile di economia turistica. Oggi, sono 930 gli annunci di Airbnb a Rimini (+21 % rispetto all’anno precedente). Negli ultimi dodici mesi, sono stati 18.600 gli ospiti che hanno soggiornato a Rimini, (+49% rispetto all’anno precedente). E tutto lascia pensare che il fenomeno sia destinato a crescere.

I termini dell’accordo sono stati presentati oggi in una conferenza stampa tenuta dall’Assessore Gian Luca Brasini e da Alessandro Tommasi, Public Policy Manager di Airbnb.

Questo importante accordo con Airbnb – ha detto Brasini - prosegue nella direzione di perfezionare il presidio di questo specifico segmento di mercato che ruota intorno alle locazioni delle seconde case e che è sempre più rilevante anche nel nostro territorio, tenendo conto delle sue particolari peculiarità. Con questa convenzione si rafforza l'azione di tax compliance nei confronti degli host, semplificando gli adempimenti tributari”.

Per Alessandro Tommasi, l’accordo “è il risultato di un percorso di confronto e di dialogo con l’amministrazione locale, che dobbiamo ringraziare. E’ parte del nostro impegno nei confronti della riviera, un territorio a grande tradizione ricettiva, e al cui sviluppo turistico ed economico vogliamo contribuire con soluzioni digitali che la rendano fruibile in maniera semplice da tutto il mondo. L’Emilia Romagna è la prima Regione con già due città a beneficiare dello strumento, crediamo sia ora di rilanciare il dialogo con il presidente Bonaccini e l’assessore Corsini”

Per Rimini si tratta di rinverdire una tradizione praticata da decenni. Giorgia , 45 anni, giornalista., ha scelto di diventare host per integrare il reddito familiare e riprendere una tradizione di casa in versione attuale: i suoi nonni, come molti riminesi negli anni '60, d'estate mettevano a disposizione la loro casa ai turisti in villeggiatura: “Spero – ha detto - di essere una buona "ambasciatrice" della mia città, cercando di fare conoscere il suo vero volto ai turisti in ogni periodo dell'anno.

Stefano, 34 anni, istruttore sportivo, ha una casa non lontano da Parco Fellini. “Si tratta di un'esperienza davvero interessante poiché si conoscono persone da tutto il mondo, è un bel modo di condividere esperienze e poter ospitare turisti, introdurli alla città e alla zona dando la propria impronta è molto bello", spiega Stefano, che ha scoperto Airbnb nel 2014 e oggi è SuperHost con recensioni a cinque stelle.

Dalla propria esperienza a concrete proposte politiche. È l’itinerario della Comunità Papa Giovanni XXIII che in occasione delle elezioni del 4 marzo ha redatto u documento di cinque proposte da sottoporre ai candidati al Parlamento. A Rimini lo ha fatto ieri pomeriggio nel corso di un incontro pubblico al quale erano presenti Carla Franchini e marco Croatti, del Movimento % Stelle, Mario Erbetta, di Civica Popolare, Giuseppe Chicchi, di Liberi e Uguali, Sergio De Vita del Popolo della Famiglia. Le cinque proposte della Comunità fondata da don Benzi non riguardano tutto l’universo possibile della vita politica, ma solo cinque temi legati direttamente alla propria esperienza di condivisione della vita dei più poveri.

La prima proposta riprenda una vecchia provocazione che fece a suo tempo don Oreste quando presidente del Consiglio era Berlusconi: l’istituzione di un Ministero della pace. In questo caso le esperienze da cui si parte sono quelle dell’Operazione Colomba, gli interveti nelle situazioni di conflitto allo scopo di “costruire ponti e lenire ferite”, e dell’obiezione di coscienza al servizio militare e la conseguente promozione del servizio civile. Questo Ministero della Pace dovrebbe promuovere i diritti umani e favorire la soluzione dei conflitti con il dialogo e un linguaggio libero dall’odio.

La Comunità, che dagli anni Novanta è impegnata per la liberazione delle donne vittime di tratta e costrette alla prostituzione (centinaia di ex prostitute accolte nelle case famiglie e reintegrate nella vita sociale), chiede con forza che anche in Italia si applica il modello nordico nella lotta al sesso a pagamento: cioè agire sul fronte della domanda, con azioni repressive nei confronti dei clienti.

Un fronte relativamente nuovo della Comunità è quella delle carceri, o meglio delle pene alternative alla detenzione. Don Oreste diceva che occorre passare dalla certezza della pena (la maggior richiesta di oggi dell’opinione pubblica) alla certezza del recupero. Il punto di partenza, oltre che le proprie esperienze di accoglienza e recupero di detenuti, è la carta costituzionale laddove afferma che la pena deve servire alla rieducazione del condannato. Al nuovo Parlamento si chiede pertanto di riconoscere le comunità educanti con i carcerati e di sostenere anche economicamente.

Certamente fuori dagli schemi della cultura dominante sono inoltre le proposte dirette a favorire il diritto alla vita fin dalla nascita. L’esperienza della Comunità è nota in questo campo: nel corso degli anni sono state accolte circa 500 donne, due terzi della quali hanno poi deciso di non interrompere la gravidanza. La Comunità propone per le donne in condizioni economiche sfavorevoli un reddito minino di 800 euro al mese per i primi tre anni di vita del bambino; iniziative, che come vuole la stessa legge 194 siano di prevenzione dell’aborto; dare la possibilità, in casi estremi, del parto in anonimato.

Ultimo punto, la liberazione dalle dipendenze, innanzitutto dalla droga. La Comunità fondata da don Benzi gestisce 34 strutture terapeutiche, di cui 12 all’estero, nelle quali sono attualmente ospitate trecento persone. Ogni anno, nel giorno di Santo Stefano, vengono restituiti alla vita, perché hanno completato il programma terapeutico, un’ottantina di giovani. Qui il messaggio è molto chiaro: va garantito il diritto a non drogarsi, quindi no ad ogni proposta legislativa che liberalizzi le droghe, comprese quelle leggere.

Le reazioni dei candidati presenti? Prudente quella di Carla Franchini (“Siamo qui per ascoltare”), perplessa quella di Erbetta di fronte alla radicalità della posizione contro l’aborto; di convergenza sui temi della famiglia quella di De Vita.

Nella lettera che accompagna il documento con le proposte, il presidente della Comunità, Giovanni Paolo Ramonda, scrive: “Ci permettiamo di consigliarti di fare come facciamo noi: partire dagli ultimi. Se si parte dagli ultimi, allora possiamo abbracciare e aiutare tutti”.

Lunedì, 26 Febbraio 2018 10:11

Quando prevale il "demone"della divisione

 Eccoci. È andata. A forza di spostare l'asticella ogni giorno un pochino più il là, alla fine ci siamo arrivati: il punto di non ritorno è qui. L'Italia, come l'abbiamo conosciuta, non c'è più. Ce ne sono due, forse tre, magari quattro. O chissà quante altre ancora. I fatti di Macerata e quel che ne è disceso a cascata, con tutta la loro drammaticità, hanno certificato - marchiandola a fuoco - la realtà di un Paese spaccato, diviso: un insieme di tribù diversissime tra loro. Incapaci di comunicare, di confrontarsi se non con la rivendicazione rabbiosa delle proprie ragioni. Del proprio credo.
   Un insieme di tribù che si scambiano reciproco disprezzo cucendo di livore sordo  la quotidianità, in prima battuta, attraverso il macrocosmo della Rete. Dei social network. Casse di risonanza che amplificano a dismisura prese di posizione cieche, sberleffi, incoerenze assortite spacciate per verità assolute.
   Quel tessuto sociale intriso di solidarietà, di spicciolo buonsenso che ha tenuto insieme l'Italia anche nei periodi più bui - quelli del terrorismo e dello stragismo, della P38 adagiata su un piatto di spaghetti da un settimanale tedesco - sembra essersi dissolto o, quanto meno, assottigliato. Fagocitato da una frammentazione tra gruppi e gruppetti che esibiscono, con orgoglio, la loro alterità senza alcun desiderio di confronto.
   Dal Web rotolano nella realtà di ogni giorno fascisti o pseudo tali, antifascisti o pseudo tali; pro-vax o pseudo tali, free-vax o pseudo tali; sostenitori di una parte politica e dell'altra o pseudo tali che non riconoscono reciprocamente alcun valore, alcun impegno, alcuna buona fede. Che non perdono occasione per attaccare a testa bassa, dialetticamente, senza sconti. Certi della bontà assoluta della propria posizione. E della assoluta manchevolezza di quella altrui.
   Mondi distantissimi avvicinati - quello sì - solo dall'attacco, più o meno greve, lanciato da un fronte all'altro della Rete, prima. Dalle piazze, poi.
  L'immagine plastica della divisione in un periodo storico, invece, in cui dovrebbe andare di moda, l'unità di intenti in un Paese gravato da un debito pubblico inimmaginabile - e improbo da aggredire per chiunque -; da un fenomeno migratorio difficile da gestire; da forti disuguaglianze; da un quadro politico instabile; da regole che andrebbero riscritte, in diversi ambiti, per liberare l'economia di una nazione ancora ai vertici europei sul fronte manifatturiero. Frangenti che dovrebbero spingere a trovare punti di contatto, in nome del bene comune. Ché se ci si salva, ci si salva tutti. Difficile farlo -  salvarsi - a pezzi.
   Ma a naso, ormai, siamo al punto di non ritorno. Quello in cui non ci si fida più dell'altro, di chi si ha dinnanzi. Perché chi si ha dinnanzi, se non la pensa a mio modo, non pensa affatto. O, piuttosto, pensa male.
   Perché se ci fosse una classifica dedicata all’insulto più urlato in Rete o biascicato al tavolino di un bar, in uno scompartimento ferroviario a vincere, anzi a stravincere, sarebbe buonista. E a mani basse. Anzi, bassissime. Qualunque cosa voglia dire, qualsiasi cosa significhi.

Gianluca Angelini

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Se l’anniversario della morte di don Luigi Giussani sarà ricordato in tutto il mondo (perché in tutti i continenti c’è chi è stato raggiunto e toccato dalla sua testimonianza di fede), la ricorrenza trova ogni anno una particolare eco a Rimini, una città dove il sacerdote riminese ha lasciato, direttamente e attraverso chi lo ha seguito, una traccia profonda. Giovedì 22 febbraio in tanti si ritroveranno in cattedrale per partecipare alla messa di suffragio che sarà presieduta dal vescovo monsignor Francesco Lambiasi, celebrazione che ricorderà anche l’anniversario del riconoscimento della Fraternità di Comunione e Liberazione.

A Rimini i primi ad ascoltare il nome di don Giussani sono stati quegli studenti che in una gita a San Leo incontrarono nell’estate del 1962 un gruppo di giessini milanesi e forlivesi. Quel modo di vivere la fede così valorizzatore del desiderio di verità e bellezza che ogni giovane si porta dentro conquistò subito quei ragazzi riminesi che già nel successivo inizio di anno scolastico fecero ai propri coetanei la proposta di GS. L’intuizione di una diversa modalità di presenza nell’ambiente studentesco era venuta a Giussani proprio durante un viaggio in treno verso la Riviera, quando incontrò un gruppo di ragazzi molto ignoranti delle verità elementari del cristianesimo. E dopo la crisi del Sessantotto proprio in un incontro con i pochi sopravvissuti della fiorente GS riminese (don Giancarlo Ugolini e pochi altri) ebbe l’intuizione che darà vita a Comunione e Liberazione: nel contesto culturale moderno non è più sufficiente il richiamo alla tradizione, ma solo l’incontro con una presenza viva può ridestare la curiosità verso il fatto cristiano.

Sul contributo dato dai giessini al movimento del Sessantotto a Rimini e alla crisi radicale che ne derivò, si è molto parlato nelle settimane scorse a proposito del recente volume curato da Fabio Bruschi, uscito a cinquant’anni da quegli avvenimenti. Don Giussani, lo attestano i documenti, più volte nel periodo successivo al Sessantotto venne a Rimini per incontrare i giovani rimasti fedeli al suo messaggio ed anche per incontri pubblici. Uno di questi incontri, dedicato alla famiglia, si tenne l’8 novembre 1970 al Palazzo dei Congressi di San Marino. Andò ad ascoltare un gruppo di riminese, giovani coppie sposate (si chiamava Gruppo Famiglie) che aveva seguito il proprio itinerario di fede nell’Azione Cattolica. Fra di loro c’erano anche Nicola Sanese, a quel tempo giovane direttore di Promozione Alberghiera, e sua moglie Vittoria. “Fino a quel momento – racconta Sanese – di don Giussani avevamo solo sentito parlare dagli amici di Rimini che da tempo lo seguivano , don Giancarlo, Emilia, Antonio e tutti gli altri. Quel giorno lo ascoltammo direttamente per la prima volta e a lungo, perché il raduno durò l’intera giornata. Ci colpì moltissimo, tanto che da quel giorno decidemmo che lo avremmo seguito fino in fondo”. Un’esperienza, questa, che è possibile rintracciare in molti altri che hanno incontrato il sacerdote. “Mi aveva colpito – spiega Sanese – il modo nuovo, molto convincente, di proporre il Vangelo e le verità cristiane di sempre. In fondo non diceva cose nuove, la novità stava nel metodo che proponeva. Collegava in modo formidabile la fede con i problemi di cui si discuteva in quel convegno, e cioè la famiglia, l’educazione, i figli”.

Dopo quel primo incontro, per Sanese ce ne sono stati altri, più diretti. “Una prima volta, nel 1975, quando insieme ad altri amici ci volemmo confrontare con lui circa la nostra decisione di presentarci candidati per il consiglio comunale. Poi nel 1976, quando mi trovai a dover fare una scelta importante, come quella di candidarmi per il Parlamento. Ma c’è stata una frequentazione abbastanza abituale da quando nel 1980 insieme ad altri amici decidemmo di cominciare l’esperienza del Meeting. Don Giussani mi ha sempre affascinato per la sua capacità di vivere per primo ciò che proponeva agli altri. Era assolutamente attento alle persone: quando veniva a casa mia si ricordava dei nomi dei miei figli, anche se li aveva visti molto tempo prima. Si ricordava di tutto, di tutti i particolari della persona che aveva davanti. E lo faceva un uomo che aveva un orizzonte ampio, che conosceva e seguiva una enormità di situazioni”.

Nicola Sanese fa capire che per lui il rapporto con don Giussani è stata l’esperienza di una paternità che lo ha accompagnato nelle diverse svolte della vita.

Una testimonianza della sua paternità nei confronti della comunità di CL di Rimini è nell’omelia che tenne nel dicembre del 1992, in occasione dei trent’anni del movimento a Rimini. Prendendo spunto dai magnifici affreschi del Trecento riminese della chiesa di Sant’Agostino, don Giussani espresse un ringraziamento: “La grande cosa di cui ti ringraziamo o, Signore, è innanzitutto questo: che la nostra storia hai inserita vivamente, saldamente nel tronco della tradizione cristiana. Ci hai dato di nascere, di crescere, di vivere dentro la santa madre Chiesa. Partecipiamo con la nostra storia, lunga e breve, alla lunga e ancora breve storia della Chiesa che ha davanti a sé il mistero dèl disegno di Dio, e quindi anche duemila anni possono essere come un momento di tempo”. Rivolgendosi poi agli amici riminesi disse: “A questo impegno siete stati chiamati: la testimonianza a Cristo. La vostra comunità ha gridato al mondo, alla città vostra e a tutto il mondo, a chiunque vi abbia accostato che Cristo è Dio. Che Dio è diventato un uomo e si è fatto compagno nel cammino nostro, con noi compie i passi che a noi chiede”.

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