Vivere è cominciare sempre. Le Comunità Educanti in Carcere si raccontano

Mercoledì, 14 Febbraio 2024

Il 27 gennaio sera, 350 persone si sono ritrovate a cena per sostenere le Comunità educanti in Carcere (CEC), esperienza nata all’interno della comunità Papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi, e che, da qualche anno, sono uno dei luoghi della “caritativa” (aiuto gratuito a chi ha bisogno per imparare la gratuità nella propria vita) di Comunione e Liberazione. Ad ogni tavolo gli invitati sono in compagnia di un volontario - il soggetto che ha organizzato la cena - e di un carcerato, per conoscersi e capirsi da vicino.

Il 18 gennaio mattina, 800 studenti incontrano Adriano, carcerato del CEC, Davide, ex carcerato ora educatore presso Kairos, la comunità milanese fondata da don Burgio, Youlsa, immigrato con i barconi in Italia dal Mali ed ora impegnato nella costruzione di una scuola nel suo paese d’origine ed un sacerdote missionario dalla vita "on the road”, frenato tuttavia nelle sue corse da un brutto incidente. Ora è senza una gamba ma sostiene che la sua non è stata una disgrazia. Corre più di prima, senza correre.

Gli ultimi due, la sera precedente, il 17 gennaio, avevano incontrato la città, 600 persone al teatro Tarkovskij. In luogo di Adriano vi erano, sempre provenienti dal CEC, Gustavo e Manuela. Si tratta di una coppia che ha vissuto le dinamiche più orribili che stanno riempiendo i nostri giornali. Violenze in famiglia. Eppure sono lì, insieme, a raccontarsi, a raccontare le loro fragilità e come siano potuti ripartire (e ripartire insieme). Un percorso lungo oltre 10 anni, che ha portato all’impossibile, a quello che il mondo ritiene - non senza apparenti ragioni - persino inopportuno.

In primavera, il 26 e il 27 aprile, il Portico del Vasaio, centro culturale di Rimini organizzatore dei due incontri (quello mattutino con il supporto della Consulta Provinciale degli Studenti e con la collaborazione attiva degli stessi) aveva fatto conoscere alla città e agli studenti (stessa formula che è stata ripetuta a gennaio) Fiammetta Borsellino, don Claudio Burgio e il magistrato Roberto Di Bella, fondatore di Liberi di scegliere.  Fiammetta sostiene che la sua soddisfazione non consiste nel sapere in carcere i carnefici di suo padre, ma se potranno intraprendere una strada che permetta loro di recuperare la loro umanità; don Claudio sostiene che “nessun ragazzo è cattivo”, anche di fronte alla durezza dei giovani che incontra in carcere, spesso esemplificata plasticamente nelle note della musica Trap; Di Bella strappa i figli alle famiglie malavitose (con l’accordo delle mamme), perché non restino intrappolati nelle logiche di mafia.

Cosa dunque sta accadendo nella nostra città, luogo dell’incrocio di queste esperienze? Cosa sta accadendo per cui la logica che vuole l’uomo morto e sepolto dai suoi errori o dai suoi limiti, viene così spezzata e superata? In tutti questi eventi, punta d’iceberg di un impegno e di una presenza di numerose e differenti realtà del territorio, è messo in discussione quel senso di cinica inevitabilità che ci soggioga tutti e ci priva di immaginare percorsi di redenzione (per noi e per gli altri attorno a noi).

La tentazione di chiudere in cella il colpevole e gettare via la chiave, oppure di considerare inaccettabile una vita condizionata da un grave incidente e dunque non performante, è in fin dei conti quella logica che applichiamo a noi stessi, quando ci consideriamo - consapevoli o meno - privi di speranza di una ripartenza quotidiana. Poiché ogni giorno necessita una ripartenza.

Questa logica è spezzata dall’opera delle Comunità del CEC (con risultati concreti, giacché la reiterazione del reato è del 15% contro l’80% di chi resta in carcere), dalle parole e dall’opera educativa di Fiammetta (che volle - cocciutamente volle - l’incontro con i ragazzi pena il non essere disponibile a venire a Rimini), dalla tenacia di don Claudio Burgio, così come dalle parole degli altri protagonisti.

Ma soprattutto è spezzata dai volti di chi ha partecipato agli incontri, come se il riconoscersi di fronte a una dimensione più essenziale ed autentica di sè, si fosse diffusa per osmosi su ognuno e si fosse dimostrata liberante.

Occorre interrogarsi seriamente su come si siano potuti realizzare e su come possano dilatarsi questi frammenti di un mondo nuovo, perché la nostra società ne ha un assoluto bisogno. Ne ha bisogno ognuno di noi. Ne hanno bisogno le classi scolastiche, riempite dal disagio dei nostri giovani e nostri docenti, le famiglie che si sentono sempre più smarrite, dense come sono di fragilità mai superate, i luoghi pubblici che frequentiamo la sera, i luoghi di lavoro, la politica.

E ognuno di noi può mettersi al servizio, nel modo che preferisce, di questa fioritura di esperienze, individuando in esse l’unico giudizio innovativo sulla sua situazione attuale, capace di superare il cinismo delle tante analisi. Rivelano che il loro agire nasce da una incontenibile passione per l’uomo, e dunque dalla ricerca di ciò che può vincere la gabbia in cui tutti, in un modo o in un altro, siamo incarcerati. 

Una bella scommessa, da sostenere e da guardare con attenzione.