Referendum. Più della rappresentanza, il rappresentato

Mercoledì, 09 Settembre 2020

Leggendo attentamente i lavori della Costituente sulla determinazione del numero dei deputati del Parlamento della Repubblica, notiamo che il dibattito si muoveva sugli stessi identici criteri di oggi:

  1. della rappresentanza (sostenuta soprattutto dal PCI che voleva 1 deputato su 80.000 cittadini; in forma più moderata dalla DC, che per accogliere istanze minimaliste, provenienti dal centro laico liberale e repubblicano, si era orientata verso un rapporto 1 a 100);
  2. dell’efficacia dell’esercizio legislativo (promosso soprattutto dall’On. Conti del Partito dell’unione democratica nazionale - alias Partito liberale, si legga Einaudi - Relatore dei lavori della II^ Commissione, che riteneva improponibile una camera superiore a 450 deputati e per questo avanzava l’ipotesi di una proporzione di 1 a 150.000 riducibile  a non meno di 1 a 125.000);
  3. del contenimento della spesa pubblica (all’epoca 1 miliardo su 600 miliardi di esercizio).

Nel dibattito del 1946-1947 non si trovano però tutte le imbecillità dietrologiche che oggi da ogni parte i parlamentari si tirano addosso: chi grida alla sospensione della democrazia; chi sogna di moralizzare il parlamento con la matematica o addirittura risanare il debito pubblico.

I toni della Costituente erano razionali e i problemi decisivi restavano due: rappresentanza ed efficacia. Ad essi si attennero i Costituenti, e il 23 settembre 1947, esattamente 73 anni prima del Referendum prossimo, passò la proposta del rapporto 1 a 80.000 come volle Togliatti. Il Presidente della Commissione, On. Terracini (PCI), con una certa astuzia seppe guidare l’iter legislativo sino alla discussione in Costituente.

Detto ciò, bisogna sottolineare che l’Assemblea aveva come unici modelli nazionali di rappresentanza e di efficacia il Parlamento del Regno (variabile tra 443 e 535 deputati) e se stessa (con 556 costituenti).

Naturalmente, tali numeri di rappresentanti erano giustificati dalle imprese di unificare l’Italia nel 1861 e di darle la prima Costituzione repubblicana nel 1948. Lasciando stare il Regno, a cui i costituenti non erano tenuti ad ispirarsi per ovvi motivi, occorreva commisurare la rappresentanza del Parlamento repubblicano a quella della Costituente, tenendo d’occhio anche le costituzioni europee e d’oltre mare: in particolare, come ebbe a dire l’On. Nitti, per l’efficacia occorreva guardare la stabilità (ad esempio in Francia in 150 anni si erano avute 13 costituzioni mentre gli Usa avevano mantenuto la medesima Carta). E qui i paragoni tornano anche oggi.

Tuttavia, il dibattito della II^ Commissione sembra presupporre la convinzione che oltre il numero della Costituente (556) non fosse pensabile andare. Anzi, il primo ordine del giorno fu caratterizzato dalla proposta di una riduzione del numero dei deputati rispetto il numero di costituenti. Proprio perché si era coscienti dell’esclusività del momento storico in corso: per mettere in piedi una Repubblica, per di più uscita dal tunnel fascista, serviva la più ampia rappresentanza. Il Relatore, On. Conti, proponeva una riduzione radicale. Sottolineo che si trattava di un’idea di Einaudi,il principale statista italiano che avrebbe portato l’Italia verso il mercato libero e la democrazia. Einaudi sosteneva un ragionevole punto di vista per equilibrare rappresentanza ed efficacia. Il futuro Presidente era evidentemente preoccupato che il numero dei deputati potesse raggiungere il numero dei costituenti, perché il fatto avrebbe reso difficile l’esercizio legislativo, come ebbe ad avvertire nella sessione del 18 settembre 1946:

“Einaudi  è d'accordo con l'onorevole Conti sulla opportunità di ridurre il numero dei membri, sia della prima Camera che della seconda, anche per ragioni, che crede evidenti, di tecnica legislativa. Difatti, quanto più è grande il numero dei componenti un'Assemblea, tanto più essa diventa incapace ad attendere all'opera legislativa che le è demandata”.

Comunque forse nessuno avrebbe mai ritenuto di eleggere 630 deputati di oggi (1 deputato su 95.000 cittadini), anche chi, applicando il criterio del rapporto 1 a 80.000, si fosse trovato con la demografia di 60 milioni di cittadini odierni, mentre all’epoca erano 45 milioni. In effetti, anche il criterio del rapporto percentuale era messo in discussione, dal momento che evidentemente non potrebbe essere applicata la stessa percentuale su una popolazione di 200 milioni di cittadini: gli Usa avrebbero un Congresso di 2.500 deputati, il che è palesemente irreale.

Che dire? La discussione fu sana e leale, nessuno lanciò anatemi a nessuno, alla fine la Costituente scelse, e come ogni scelta fu legata a tanti fattori, tra i quali l’uscita da una dittatura. Per questo sappiamo che il voto della maggioranza non va mai considerato una verità, tantomeno un dogma, ma una ragionevole deliberazione, che viene presa in un determinato contesto storico e geografico, passibile di mutevolezza.

Si possono tuttavia ricavare due motivazioni fondamentali dei partiti sensibili alla massima rappresentanza. DC e PCI erano i partiti popolari che radicavano la propria presenza sul territorio e intendevano preservarla. E’ anche vero che avevano finalità tali da rendere secondario il tema dell’efficacia della tecnica legislativa - di cui oggi siamo invece principalmente e giustamente preoccupati - perché il PCI voleva costituire una Repubblica più funzionale alla transizione verso democrazie proletarie che la DC intendeva impedire.

Evidentemente ne è passata di acqua sotto i ponti tra il 1948 e il 2020. E’ vero che i tempi sono altrettanto difficili del primo dopoguerra. Tuttavia, il paesaggio è senz’altro irriconoscibile e i numeri non hanno più gli stessi significati, soprattutto in un mondo deterritorializzato dall’e-commerce, dove è sparito il mondo contadino e decisamente trasformato il mondo operaio nella  piena crisi della terza rivoluzione industriale. Dal ’48 al ‘90 un parlamentare impiegava qualche settimana per confrontarsi con il proprio elettorato, oggi si potrebbe fare in qualche ora in video call (sì lo so, rimpiango anche io le sale piene di fumo in cui discutevamo a ore piccole di politica con capi partito, consiglieri comunali, provinciali, deputati, senatori, europarlamentari; ma purtroppo oggi viaggiamo sul fumo informatico e così deve essere). E uso volutamente il congiuntivo “potrebbe”, cosciente che il problema della rappresentanza oggi sta molto meno nelle proporzioni che nell’assenza di volontà del rappresentato di farsi rappresentare. Oggi la radice della crisi non è che i parlamentari vengono imposti dall’alto (ammesso che nel passato non fosse così nella maggior parte dei casi), questo ne è solo il sintomo. Il vero problema è il nichilismo sociale, non esiste più una volontà del popolo; personalità carismatiche equilibrate e corpi intermedi sono stati massacrati, dissolti da un mercato di individui fluttuanti sull’onda del prurito pubblicitario. E non incolpiamo Berlusconi per aver creato un partito senza partito, lui ha semplicemente riempito il vuoto dopo tangentopoli; poteva seguire solo quella strada e doveva farlo in fretta, come può fare un imprenditore e non un politico. Perché tutti gli altri l’hanno imitato? Perché è crollato il mondo dei due popoli, quello cattolico e quello socialista, come ben profetizzò Pasolini in Salò.

Perciò sabato prossimo non è un problema di rappresentanza, non ci si pigli in giro dicendo che solo 1/90.000 salverà la democrazia. Una affermazione del genere serve solo a disconoscere l’avversario non a superarlo. Fissarsi così su una percentuale di 73 anni fa, in un mondo della comunicazione in cui tutto è cambiato, può puzzare di conservatorismo e paura di perdere il posto. Una eventuale vittoria del no non esclude l’onda montante della disaffezione per i partiti che lo dovessero sostenere. E forse proprio per questo nessuno si azzarda a sbilanciarsi, e lascia ampia libertà, senza bisogno di qualificarla con il complemento di specificazione “di coscienza”, ma semplicemente mi limiterei a dire “di opinione”. Poi diciamoci la verità: quanti dei circa mille parlamentari di oggi hanno un legame con gli elettori?

Pertanto ridurre il numero è un’ipotesi del tutto legittima e senza rischi di peronismo grillino - non si faccia i populisti di turno - così come legittimo è lasciare tutto come sta. Anche se non si comprende allora  perché in ripetute occasioni si siano auspicate riduzioni e rinnovamenti. Diminuiti i parlamentari, poi potremo sempre fare anche le riforme funzionali: quelle dell’iter legislativo, del sistema elettorale e compagnia bella. Oggi 1000 parlamentari appaiono agli elettori lo stagno dello status quo.  

Il punto vero comunque, con 300 o con 600 deputati, resterà quello di riportare a 1 il nulla dei corpi intermedi e della persona per la politica, altrimenti 0/80.000 o 0/200.000 darà lo stesso risultato di oggi, vale a dire 0. Troppo poco per chi merita di tornare ad essere un popolo.

Alfiero Mariotti