La stagione del Concilio. Nostalgia e la solita dialettica

Giovedì, 01 Marzo 2012

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LA STAGIONE DEL CONCILIO VATICANO II A RIMINI. MOLTI RICORDI, UN PO' DI NOSTALGIA, LA SOLITA DIALETTICA


È visibilmente imbarazzato mons. Fausto Lanfranchi quando racconta come lui diventò vicario generale nel secolo scorso. Con il sorriso e con il tono della voce sembra dire “Avevamo un po’ esagerato”. Sì, perché in omaggio alla tesi secondo cui il vicario generale non è il principale collaboratore del vescovo, che quindi sceglie un uomo di sua fiducia, ma il rappresentante dei preti, ebbene in omaggio a questo principio mons. Lanfranchi diventò vicario grazie ad una elezione che poi il vescovo Emilio Biancheri ratificò.


L’episodio mons. Lanfranchi lo ha raccontato nel corso dell’incontro sull’attuazione del Concilio Vaticano II in diocesi di Rimini, penultimo del ciclo promosso dall’Istituto di Scienze Religiose Alberto Marvelli. Nel 2012 cadono i 50 anni dall’inizio del Concilio. Ma ci sono altri due anniversari che riguardano la diocesi di Rimini: i quarant’anni dalla morte di monsignor Emlio Biancheri, il vescovo del Concilio e del post-Concilio, e i cinquant’anni dall’inizio a Rimini di uno dei movimenti protagonisti di quella stagione ecclesiale, Gioventù Studentesca-Comunione e Liberazione.


Torniamo a Lanfranchi: la sua elezione avvenne nel 1970, a cinque anni dalla conclusione del Concilio e in pieno clima sessantottino, che esaltava la democrazia diretta, la partecipazione, la relativizzazione del principio di autorità. Quella elezione fu un frutto maturo del Concilio, che certo non aveva deciso l’elezione diretta dei vicari generali, o della penetrazione dentro la Chiesa del clima culturale dell’epoca?
Mons. Lanfranchi non si è posto e quindi non ha nemmeno risposto alla domanda. Facendo l’elenco delle varie strutture elettive sorte dopo in Concilio, ha però osservato che con quelle non si voleva introdurre la democrazia nella Chiesa ma si voleva esaltare la partecipazione e la corresponsabilità. La storia della sua elezione sembra testimoniare il contrario.


Ma cosa ha rappresentato l’attuazione del Concilio per la diocesi di Rimini? Ad ascoltare i relatori (oltre Lanfranchi, il professor Piergiorgio Grassi e don Lanfranco Bellavista) sembra che l’esito sia stato soprattutto il fiorire come funghi di organi elettivi, di partecipazione, di commissioni. Oltre a certi aspetti di costume come i seminaristi che si potevano togliere la veste per giocare a calcio o la Messa che finalmente era celebrata in italiano.
Ma se il Concilio ha rappresentato per la Chiesa universale una nuova Pentecoste – come è stato ricordato – per la diocesi di Rimini tutto si è risolto in una “effervescenza collettiva” (Grassi) sfociata in consigli pastorali e commissioni?
Poiché più volte è stato detto che quella stagione andrebbe ben studiata a livello locale, c’è da augurarsi che davvero questo lavoro venga svolto in profondità. Per il momento resta senza risposta la domanda: con il Concilio è aumentata la santità della Chiesa, la coscienza della sua identità, il suo impeto missionario?


I relatori hanno indicato alcuni fatti che rievocano un certo clima ecclesiale per chi l’ha vissuto, ma senza entrare nel dettaglio. Mons. Lanfranchi ha per esempio parlato del seminario (dopo di lui diretto da don Aldo Amati) come motore del post Concilio e del ruolo guida del Centro Studi diretto da don Piergiorgio Terenzi. Il quale era anche direttore della Rivista Diocesana, esaltata da Grassi. Il docente di Urbino ha poi indicato come frutto importante l’assemblea di Miramare su La Chiesa e i problemi dell’uomo del 1975, dove esplosero molte tensioni.
Don Bellavista, figlio spirituale di don Dossetti, assistente del cardinale Lercaro al Concilio, non è entrato nelle questioni locali, ma si è lanciato in alcune digressioni sul Concilio come opera compiuta o incompiuta. Ha ricondotto il dibattito teologico ad una dialettica fra partigiani e detrattori dell’evento.

Una semplificazione che forse non aiuta a comprendere il confronto reale fra i sostenitori dell’ermeneutica della discontinuità e della rottura e quanti invece propugnano un’ermeneutica della riforma.


Valerio Lessi