Misteri dolorosi di Giulia Sarti, grillina doc della prima ora

Mercoledì, 27 Febbraio 2019

E noi, riminesi sempre pronti a parlarci addosso, ci lamentavamo di avere una deputata desaparecida, che dopo la conquista e la riconquista di un seggio alla Camera scompariva sempre nei meandri dei palazzi romani. Non immaginavamo, noi brontoloni incalliti, di aver eletto una deputata, o una portavoce, se preferite, che ci avrebbe fatto balzare al centro delle cronache politiche nazionali su tutti i giornaloni. Andrea Gnassi non sa cosa darebbe per finire in prima pagina e nei titoli di apertura di tutte le gazzette italiche, ma tale privilegio gli è finora sfuggito. Gli onori, si fa per dire, sono tutti per lei. Giulia Sarti che si dimette, Giulia Sarti che si autosospende, Luigi Di Maio che annuncia l’espulsione, Rocco Casalino che dichiara di non averla mai nominata, l’ex fidanzato che promette nuove piccanti rivelazioni. Ci manca solo che il Capitano, ormai specializzato nel fare il buon samaritano dei grillini bastonati dai ladroni-elettori, arrivi in suo soccorso, ed il quadro sarebbe completo. Noi ci lamentavamo, rimpiangevamo le Marchioni, gli Arlotti, i Bettamio, e non sapevamo che presto Rimini avrebbe avuto l’onore di partecipare in prima fila al Gran Ballo di Carnevale della Terza Repubblica pentastellata.

Quando qualche storico racconterà nascita, ascesa e scomparsa del fenomeno grillino, la storia della deputata riminese con il bel visino perennemente imbronciato non sarà un episodio marginale. C’è da scommetterci che, tornati in auge gli studi e il linguaggio forbito, sarà indicata come una vicenda paradigmatica dell’esperimento politico (i presunti onesti e gli incompetenti certificati al potere) realizzato in Italia nel secondo decennio degli anni Duemila.

Nelle disavventure di Giulia Sarti ci sono tutti gli elementi del cocktail a 5 Stelle. Aspirazioni, pensieri, vizi e virtù, tic nervosi e riflessi condizionati, apparenze brillanti e retrobottega squallidi, tentativi generosi e risultati non corrispondenti, miracolose benedizioni della rete e calcolate frequentazioni, ingenuità di facciata e furbizie consapevoli: tutto ciò che abbiamo imparato a conoscere del Movimento 5 Stelle lo si ritrova ben amalgamato nella infelice carriera di Giulia Sarti.

La deputata non è una meteora casuale della storia grillina, non può essere paragonata a un De Falco qualsiasi che, grazie a una battuta detta al momento giusto, si è conquistato l’elezione, ma senza essersi alimentato dell’humus grillino; Giulia Sarti è una militante della prima ora: se fosse fascista la si direbbe sansepolcrista, se fosse democristiana che è cresciuta fra parrocchia e sezione, se fosse comunista che fin da bambina ha frequentato le case del popolo. Lei studiava giurisprudenza a Bologna quando nel capoluogo emiliano si muovevano i primi gruppi grillini ante litteram e si organizzava il grande Vaffaday che diede origine al Movimento. Quando fu candidata nel 2013, disse a Buongiorno Rimini che il suo curriculum era povero (aveva 25 anni), ma aveva un’agenda con tremila nomi, frutto delle sue relazioni. Fra Agende Rosse, Case della Legalità e comitati antimafia, aveva coltivato i giusti rapporti che la portarono ad essere capolista. Come grillina nasce a Bologna, patria di Max Bugani, uomo vicino a Casaleggio padre e figlio, e con il Meet Up di Rimini ha condiviso poco. I primi cinque anni a Roma non hanno lasciato il segno. Era all’opposizione, ma neppure ha tentato di farsi interprete di istanze del territorio. Qualcuno si chiedeva se poteva essere ricandidata, visto il magro bottino. Ma questi sono ragionamenti adatti al deputato di un partito “normale”, non a un pentastellato. Si arrabbiò molto quando il Carlino scrisse che aveva trovato un tesoro alla Camera poiché era passata da reddito zero a 84 mila euro. Nel post (del 2015), per il quale l’anno scorso è poi stata condannata per diffamazione, aveva sottolineato che il giornalista aveva omesso di scrivere che lei aveva restituito 66.250 euro netti. Certamente non immaginava che la questione dei rimborsi, totem della narrazione grillina, sarebbe diventata la sua disastrosa buccia di banana.

E così arriviamo al febbraio 2018, un mese prima delle elezioni del 4 marzo, quando Le Iene fanno scoppiare il caso di rimborsopoli: alcuni deputati facevano finta di versare una parte dello stipendio, al Movimento facevano avere la ricevuta dell’ordine e poi annullavano il bonifico. Fra i nomi uscì anche quello di Giulia Sarti. Altri furono espulsi e altri privati della ricandidatura. La deputata riminese fu graziata. I probiviri non si pronunciarono prima del voto. Lei, esperta conoscitrice delle liturgie pentastellate, andò da Bugani e firmò il documento di rinuncia alla proclamazione. Oggi sappiano anche che scrisse una lettera al capogruppo Mantero e a Di Maio in cui affermava testualmente: “Il Movimento viene prima di qualsiasi altra cosa per me. È sempre stato così. Ditemi se devo fare un post, un video o altro per sospendermi o per auto-accusarmi di coglioneria. Vi chiedo scusa anche se so che le scuse non basteranno mai e c’è solo da vergognarsi”. Prima di questa poco onorevole capitolazione, si era dichiarata colpevole: “questa omissione per mancanza totale di controllo da parte mia sull’esito dei bonifici la considero una palese violazione delle nostre regole e soprattutto un enorme problema per il lavoro portato avanti dal 2007”. 

Questo era il foro interno. Nel foro esterno aveva accusato il suo ex fidanzato Bogdan Andrea Tibusche, al quale via chat aveva spiegato che “me l’ha chiesto Ilaria con Rocco” (Casalino, attuale portavoce del premier Conte). Uno strumento della mitica Rete che si trasforma in un’accusa a suo carico e in un’ombra sui metodi del Movimento.

Fatto è che dopo la rielezione alla Camera, Giulia Sarti viene perdonata, anche se ancora la Procura di Rimini non si è pronunciata sulla sua denuncia contro l’ex fidanzato. I vertici del Movimento erano perfettamente consapevoli che era ancora sub iudicio: “Se poi la Procura dovesse fornire altri elementi, saranno valutati”, dichiarava Max Bugani. Cionostante Giulia Sarti è stata addirittura promossa presidente della Commissione Giustizia, una delle più importanti della Camera. Per quali meriti, non è mai stato dato di sapere.

Ora l’ultima novità è la richiesta di archiviazione da parte della Procura, ed il boomerang torna violento a mozzare la testa della deputata. Non è finita. Rocco Casalino respinge ogni coinvolgimento, rispolvera una vecchia chat e la mostra all’Ansa: “Se è stato davvero lui è giusto che denunci, ma se non è così stai facendo una cosa grave”. Bogdan Tibusche lo accusa di fare lo gnorri e di sapere tutto da almeno un anno. Di Maio interviene “suggerendo” ai probiviri l’espulsione. Sui social i commentatori si dividono fra chi ancora la considera una sfortunata eroina e chi grida allo scandalo e allo squallido teatrino. Per Di Maio il caso è chiuso. D’ora in poi la tesi sarà che era una mela marcia. Cresciuta, allevata, perdonata, premiata nell’orto a 5 Stelle.

 

Valerio Lessi