(Rimini) Un nuovo processo a 33 anni dai fatti. Seguendo le indicazioni contenute in una lettera anonima, gli inquirenti sarebbero in grado di prospettare una nuova verità sull’assassinio il 29 luglio 1983 a Bellaria-Igea Marina di Arcangelo Romano, 39enne gestore di una bisca.
“Non sono un millantatore: sono io quello che ha ucciso Romano, nel 1983. Gli ho sparato due colpi di pistola calibro 7.65 sul lato destro della testa. L’uomo condannato per l’omicidio è innocente”, questo il contenuto della lettera anonima consegnata in questura nel dicembre del 2011 (allegata, per coferire maggiore credibilità, una mappa per consentire di ritrovare i resti del cadavere, forse un’area vicina al fiume Marano, nel territorio di Coriano).
Il condannato, a 24 anni di reclusione, era Domenico Saccà, morto suicida in casa dopo che la notizia della lettera anonima era stata resa nota.
Dalla missiva, quindi, partirono le indagini dei Ros, dal cui esito, ora, la Direzione distrettuale antimafia chiede il rinvio a giudizio per Salvatore De Costanzo, 69enne napoletano, residente a Riccione e di Maurizio Cavuoto, 56enne originario di San Mauro Pascoli e residente a Gambettola, accusati di concorso nell’omicidio e occultamento di cadavere. Resta però invariato il nome del mandante dell’omicidio, il boss Angelo Epaminonda, detto Tebano, da tempo in libertà con una nuova identità.