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Giovani / Mussoni: servono adulti che camminino insieme a loro

Mercoledì, 16 Ottobre 2019

“La percezione di essere un problema appesantisce la condizione giovanile e fa sentire al giovane di essere un peso per il mondo degli adulti e di essere sbagliato. Nel momento in cui crolla l’autostima, crolla tutto il potenziale del giovane, una persona con qualità da spendere e una vocazione da scoprire”.

Manuel Mussoni, 35 anni, presidente diocesano dell’Azione cattolica, insegnante di religione nelle scuole medie superiori, commenta così quel giudizio sulla “fatica di essere giovani” contenuta nel messaggio del vescovo di Rimini, Francesco Lambiasi, in occasione di San Gaudenzo. Un messaggio dedicato alla questione dei giovani e all’emergenza ecologica, che ve appunto i ragazzi come protagonisti.

 “Il vescovo – osserva Mussoni - richiama gli adulti ad esser persone credibili, mentre nella realtà assistiamo a testimonianze opposte. Quando un giovane non riesce nell’esperienza quotidiana a fidarsi e affidarsi perché non trova adulti all’altezza di questa fiducia, viene meno in lui anche la tensione interiore verso una realtà che può guidare l’esistenza. Una sorta di sfiducia che il giovane sperimenta nel rapporto con l’adulto diventa poi un tagliare le gambe alla tensione verso l’infinito o verso la mano che può custodire il mondo, verso il rapporto con Dio”.

Il vescovo parla di provocare le questioni che stanno nel cuore dei ragazzi. Cosa significa?

“In un’età che è l’età della fecondità , non solo in senso fisico ma anche psicologico, affettivo, è necessario fare esperienze che possano dare spessore a quella fecondità. Esperienze di aggregazione, di servizio, di stare insieme, che diano gusto all’esistenza. È nel vuoto e nell’ansia che poi nascono fenomeni di devianza. Da una parte fornire ai giovani stimoli positivi e dall’altra garantire una vicinanza serena. È questo che genera fiducia”.

Nella sua esperienza di educatore quando vede riaccendersi il cuore di un giovane?

“Nella mia esperienza vedo che il primo momento, che potrebbe sembrare banale, e invece è decisivo, è l’ingresso in classe, il primo sguardo. Possono cogliere in un sorriso, anche in un momento di difficoltà, la serietà e la fortezza di un adulto che non si fa vincere dalle emozioni e dagli eventi e vuole invece dare priorità all’incontro con loro. Il giovane questo lo percepisce, e lo rianima. Allora, pensa, la vita si può affrontare, allora la vita ha senso. Il secondo aspetto sono le esperienze. Con loro ho vissuto esperienze di barca a vela, di convivenza, di riflessione in classe su tematiche a loro vicine. Se vengono toccati nelle corde giuste, si vede subito quello sguardo vivo di chi aspettava certe cose. Trovano la possibilità di dissetarsi di una sete che non è mai venuta a meno”.

Il vescovo invita a camminare insieme ai giovani. Come può avvenire?

“Vuol dire mettersi al loro fianco e far loro capire in tutti i modi possibili e immaginabili che non sono un problema ma sempre un dono. Quindi saperli ascoltare, mettere al primo posto la loro situazione, le loro fatiche e le loro qualità. E questo passa dai piccoli gesti quotidiani, da come entro in classe, da come gestisco una difficoltà perché un comportamento negativo può provocare una sanzione o può spingere ad un ascolto più approfondito. Il vescovo parla anche di con-patire, cioè appassionarsi alla vita dell’altro, lasciarsi toccare dalle vicende. Non devo fare lo psicologo e nemmeno il famigliare o l’amico, però se so che un ragazzo vive un successo è umano condividerlo o se invece ha una difficoltà fargli capire che stai soffrendo con lui. Il giovane ha un’intelligenza affettiva così radicata che coglie subito se l’accompagnamento è appassionato”.

Il vescovo mette in guardia anche sul mito del giovanilismo. È un rischio reale?

“ I giovani sono orientati verso una vita adulta, quindi una vita realizzata, caratterizzata dalla responsabilità e dal sacrificio, e pure dal raccogliere i frutti delle proprie scelte e attese. Un adulto che si sforza di restare giovane, e lo si vede dall’abbigliamento, dagli atteggiamenti, è un adulto non realizzato, un adulto che mostra frustrazione. Non capiamo mai abbastanza quanto la frustrazione dell’adulto generi ansia e smarrimento nel giovane che invece si sente molto custodito e tutelato dall’adulto che tende a mostrarsi in modo non giovanilistico ma con senso di responsabilità, senso di appartenenza ad un progetto di vita, ad un sogno. Quando questo accade, ha un valore enorme come testimonianza”.

I  giovani sembrano estranei alla realtà, possono tornare ad essere protagonisti della storia?

“Ci sono due modi di reagire all’insufficienza degli adulti di oggi che constato anche nella mia esperienza: o la rassegnazione, questo è il mondo, spero che a me vada bene, per il resto non c’è niente da fare, oppure il protagonismo, vedo davanti a me delle esperienze e, poiché ho un ideali, un sogno, mi muovo per fare qualcosa. Questa è la grande scommessa del giovane di oggi: davanti alle sfide, scegliere la strada della rassegnazione o quella del protagonismo. Stimoli e accompagnamento serio da parte degli adulti possono agevolare la seconda opzione. Vedo giovani che la scelgono questa strada e sono esempi anche per me, esempi che danno conforto, speranza ed entusiasmo”. Mi auguro che grazie al messaggio del vescovo si possa fare un lavoro insieme, come un’unica famiglia, affinché i giovani si sentano preziosi. Se invece continuiamo facendoli sentire un problema, togliamo speranza ai giovani e agli adulti stessi”.

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