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Rimini, la Città dei Maestri: una buona scuola

Domenica, 17 Maggio 2015

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Strana scuola quella dove gli insegnanti sono tutti volontari, lavorano gratis, e ce ne sono più di quaranta per appena sette studenti. Strana scuola quella i cui locali sono nel laboratorio di cucina di uno degli insegnanti, anche questi messi a disposizione gratuitamente. Strana scuola quella che al termine del percorso didattico riesce a radunare trecento persone per sperimentare, pagando, il frutto del lavoro degli studenti. Strana scuola, ma certamente, per dirla con un’espressione oggi di moda, una buona scuola. Buona perché il cammino di un anno scolastico ha provocato qualcosa che non era scontato: il cambiamento degli insegnanti, la crescita degli studenti. E buona perché documenta la verità di quel proverbio africano che anche papa Francesco ama citare: per educare un ragazzo ci vuole un villaggio.

 

A Rimini, nella vasta e bella cripta della chiesa di San Giuseppe al Porto, trasformata per l’occasione nel ristorante de I Magnifici 7, in una serata di maggio è andata in scena La Città dei Maestri, uno spettacolo inedito e provocante. La Città dei Maestri è una Scuola professionale per i servizi enogastronomici e dell’ospitalità alberghiera. Detto più semplicemente una scuola dove i ragazzi imparano a fare i cuochi. Dove, aiutati dagli adulti, imparano a scoprire l’intelligenza che è nelle loro mani. “La scintilla iniziale – spiega Ida Tucci, coordinatrice del progetto – è stato il desiderio di creare una scuola nella quale il ragazzo che incontra difficoltà nell’apprendimento concettuale possa esser accolto e valorizzato, facendogli scoprire i suoi talenti”.

I primi a rispondere all’appello sono stati appunto i magnifici sette: Mohamed, Jhonis, Fabricio, Marco, Michael, Matteo e Nicolò, tutti reduci da precedenti esperienze scolastiche fallimentari. “Se avessi dovuto sceglierli – racconta Alessandro Garattoni, lo chef che li ospita nel suo laboratorio – non ne avrei preso mezzo. Adesso non ne mollerei nessuno e ne prenderei tanti altri. Fra noi in questi mesi è cresciuta la fiducia e la lealtà reciproca. Questa scuola è per me l’occasione di diventare un professionista e un uomo migliore”.

 

La scuola ha potuto nascere perché lui ha messo a disposizione i suoi locali. “Erano eccessivi per me e ho considerato una grazia averli avuti a poco prezzo. L’ho letto con un segno della provvidenza perché fossero utili anche ad altri. Ma tutto ciò è diventato un’opportunità innanzitutto per me. Ero partito pensando di fare del bene, ma sono crollato subito. La molla che mi ha permesso di continuare è stata la scoperta di una convenienza umana per me”. Garattoni racconta gli inizi: “Il primo giorno di scuola li ho portati a vendemmiare, ma non come gioco, come lavoro vero e proprio. Ho spiegato loro che da quell’uva sarebbe nato il nostro vino, sul quale avremmo lavorato anche per le etichette e la comunicazione. A loro chiedo il massimo rigore, anche nel vestiario, perchè fare da mangiare è un gesto d’amore per gli altri. All’inizio ho visto che avevano una soglia di sopportabilità del lavoro di appena quaranta minuti. Adesso si impegnano tranquillamente otto/dieci ore al giorno. Un ragazzo oggi ha lavorato per quasi sei ore a tagliare fragole, un lavoro infame. L’ha fatto perché mi vuole bene, perché si fida di me”.

 

Le lezioni alla Città dei Maestri seguono tutte un metodo particolare: niente concetti, molta esperienza. Così Beppe Farina, ingegnere civile, per far apprendere la matematica ha immaginato con loro di dover realizzare la sala di un ristorante: dovevano entrarci tavoli quadrati, rettangolari, rotondi e bisognava calcolare l’area. E così facendo si sono imparate anche le tabelline. Massimo Rosetti, commercialista, li ha invitati a scambiarsi fra di loro qualsiasi cosa. C’è chi ha comprato il Bayern Monaco per 40 mila euro, ma intanto i magnifici sette hanno capito cos’è un contratto. La moglie Raffaella, anche lei insegnante nella scuola, li ha conquistati ricordando che da bambina si alzava alle quattro del mattino per andare il padre ai mercati. Cosa me lo faceva fare? Dai ragazzi le risposte più improbabili. “Per me era l’occasione di mangiare brioche e cappuccino con il babbo, e quindi oggi paste per tutti!”.

 

“Questa scuola è diversa – spiega Matteo – perché vedi che i prof trasmettono le cose con passione. Ti insegnano nuove cose, nuove esperienze che saranno utili anche per la vita”. E Matteo aggiunge: “All’inizio non avevo voglia di fare niente. Poi mi sono impegnato, ho scoperto un mestiere che potrei fare in futuro, e qui non mi annoio mai”. “Eravamo e siamo un gruppo di scalmanati – riconosce Fabricio – In questa scuola però ci divertiamo e impariamo”. Nicolò torna a intervenire: “Ho frequentato l’istituto alberghiero statale, lì i prof fanno tutto loro, qui invece noi siamo coinvolti”. Mohamed ricorda con piacere la videochiamata con uno chef di un hotel di Praga: “Gli ho chiesto come potevo diventare come lui. E ha risposto che occorre umiltà, perseveranza e molti sacrifici. In questa scuola ho imparato a fidarmi, ad essere più umile ed anche ad obbedire”.

 

Tanti aneddoti si rincorrono su questo primo anno di Città dei Maestri. Un ragazzo viene sospeso perché indisciplinato. Il giorno dopo il fratello va alla scuola: “Non potete lasciarlo a casa! Finalmente si alzava la mattina con uno scopo perché aveva voglia di venire a scuola”. Un giorno, mancando la prof di matematica, le sue ore sono riempite da un artigiano che realizza composizioni floreali. E i ragazzi si coinvolgono nell’attività. Alcuni giorni dopo una mamma va scuola e parla in modo disperato del figlio: “Non ha voglia di far niente, è un buono a nulla!” L’insegnante estrae dall’armadio la composizione fatta da suo figlio, la più bella. “Questa l’ha fatta suo figlio”. E lei scoppia a piangere.

 

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