Gambini. Un ricordo di Tonino Guerra

Martedì, 27 Marzo 2012

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Gambini. Un ricordo di Tonino Guerra


Tonino Guerra non era facile. Per chi come me ha tentato in diverse occasioni di attingere alla sua creatività visionaria per dare una nuova qualità alle scelte dell’amministrare e del governare, era una sfida quasi impossibile. Il suo impegno civile, che aveva le forme di una poesia della città e del territorio, era come un fiume in piena che ignora argini ed ostacoli, decisamente inconciliabile con procedure e burocrazie della macchina pubblica.
E' un aspetto del patrimonio che ci ha lasciato sul quale, in questi giorni di riflessione sulla sua figura, l'attenzione non si è soffermata a sufficienza. A suo modo pensava il luogo nel quale viveva e la comunità alla quale apparteneva da grande urbanista.


Tonino conservava un'immagine rinascimentale dello spazio urbano. Aveva un’idea di comunità che si invera nella condivisione di storie e linguaggi, che costruisce la sua memoria oltre la Storia con la S maiuscola. Che nel tessuto urbano sceglie il "bello" più che il razionale e che, nelle forme della città, celebra la felicità dei gesti quotidiani e la forza vitale delle passioni semplici.
Il più delle volte sono uscito dai miei goffi tentativi, disarmato, con la sensazione, io uomo delle istituzioni, che le istituzioni fossero una camicia troppo stretta e completamente inadatta per contenere la vita che prendeva corpo nelle sue immagini e nelle sue parole, sempre in equilibrio tra realtà e sogno.
Ho sempre provato ammirazione per chi è riuscito, magari solo per una breve stagione, ad assecondare il suo estro e ad impreziosire grazie a ciò, la propria città, il proprio paese.
I miei, purtroppo, sono invece ricordi di progetti non realizzati, a volte di interventi per difendere le sue iniziative dall’ignoranza delle polemiche che tanto l’offendevano, ma anche di suggestioni che hanno la forza di vivere e di riproporsi anche a distanza di anni.


Il ricordo più stupefacente di uno di quei progetti mai nati è legato a Sarajevo.
Ero riuscito ad entrare in occasione di un incontro di solidarietà di amministratori locali provenienti da diversi paesi, per celebrare, in uno dei brevi periodi di tregua dei combattimenti, il millesimo giorno di assedio della città martire.
Assieme al sindaco di Sarajevo, in giorni pieni di tensione ed entusiasmo, era maturata l’idea di organizzare lì, con il contributo della città di Rimini, un evento che potesse avere un importante impatto mediatico, per tenere accessi i fari dell’opinione pubblica internazionale sul dramma che si stava consumando in quei mesi in Bosnia.
Pensai subito a Tonino per avere qualche idea, qualche immagine che costituisse il filo rosso dell’evento.
Il progetto lo affascinò. Aveva collaborato in quel periodo alla sceneggiatura di un film dell’amico Theo Angelopoulos. Lo sguardo di Ulisse, concludeva la sua narrazione itinerante nelle città dei Balcani, proprio tra le strade martoriate di Sarajevo. Chiacchierando di cosa fare, affacciò due idee fulminanti che attingevano dalla sua straordinaria poetica.


La giornata si sarebbe dovuta aprire con il canto “di gozot”, degli uccelli. Avremmo dovuto installare, su tutta la linea del fronte, una rete di altoparlanti che avrebbe diffuso verso le trincee nemiche e verso la città ed i suoi ruderi, quel canto inatteso. Il suono dolce e melodioso di piccoli e fragili animali contro il rumore meccanico ed ottuso delle armi.
La stessa linea del fronte sarebbe stata nuovamente tracciata con un altro segno della natura. Avremmo dovuto portare i ciliegi della nostra terra e piantarli lì, di fronte agli assedianti serbi, per costruire una immaginifica barriera che in primavera sarebbe stupendamente fiorita. Un muro di candidi fiori avrebbe dovuto apparire più forte di ogni violenza della guerra.
Lo spazio urbano della città assediata diventava così una preziosa pagina di poesia.


Ne discutemmo con la segreteria del Sindaco di Sarajevo che venne a Rimini per conoscere il progetto. Purtroppo qualche settimana dopo, l’aereo del contingente di pace dell’ONU, che portava me, assieme a Giorgio Giovagnoli e Andrea Pollarini in Bosnia per illustrare lo sviluppo delle idee per l'evento, fu costretto a fare marcia indietro quando era già sul cielo di Sarajevo. Dopo alcuni colpi della contraerea serba, l'aeroporto era stato chiuso. Proprio in quelle ore erano ripresi i combattimenti, si avvicinavano le settimane più buie della tragedia della ex Jugoslavia e non era davvero più tempo di eventi e celebrazioni.
Non se ne fece nulla, le sue favolose immagini per Sarajevo sono rimaste un dono prezioso riservato ad un ristretto gruppo di amici ed a qualche persona che ne aveva sentito parlare al di là dell'Adriatico.


Quando lo cercai per comunicargli che purtroppo non avremmo potuto dare seguito alle sue idee, in me prevaleva l'amarezza per avere dovuto abbandonare il progetto ed ho ancora il rammarico di non averlo mai ringraziato davvero per quello straordinario esercizio di “poesia civile” che ci aveva regalato.
In questi giorni l'ho ricordato rileggendo un romanzo che mi piacque molto, un romanzo di sogno e di realtà come solo lui poteva scrivere, “I guardatori della luna” e facendo risuonare dentro di me i versi in dialetto di una sua poesia bellissima e delicata, che immortala l’attimo di felicità e stupore che dona l’amore per la propria donna, la forza vitale che forse lo interrogava di più.


Sergio Gambini


Ultima modifica il Martedì, 27 Marzo 2012 19:31