I colori del potere. La pala del Ghirlandaio/2

Sabato, 10 Marzo 2012

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I colori del potere. La pala del Ghirlandaio/2


Quando Pompeo Felisati, nel 1924, si occupò del restauro della pala attribuita al Ghirlandaio proveniente dalla distrutta chiesa riminese di S. Domenico, sotto le mani del restauratore apparvero alcuni personaggi, che erano stati ricoperti da un antico strato di pittura.
Vennero così alla luce le fattezze di quelli che furono riconosciuti come gli ultimi signori di Rimini, ovvero Pandolfo IV Malatesta, sua madre Elisabetta Aldobrandini, la moglie Violante Bentivoglio ed il figlio minore Carlo.
Si trattò di una scoperta affascinante ed evocativa, sicché a quelli che sino allora erano stati aridi nomi vergati su documenti e memorie, venivano a corrispondere immagini di persone così come ritratte dal pittore incaricato.


Poiché, poi, i “nuovi” personaggi si trovano inginocchiati al cospetto dei santi Sebastiano, Vincenzo Ferrer e Rocco - tutti invocati a protezione da epidemie - fu logico interpretare la scena come espressione del ringraziamento degli ultimi signori cittadini per la protezione dal contagio che si era diffuso nel riminese nel 1492.
Ciò, naturalmente, appare senz’altro verosimile sebbene, almeno a parere di chi scrive, il messaggio contenuto nel dipinto appaia più articolato. Ad esempio, tra diverse cose, si può osservare come i colori degli abiti dei personaggi malatestiani rispondano all’intenzione di manifestare in modo piuttosto rigoroso lo status di ciascuno, nell’ambito della dinastia.


All’estrema sinistra, più in alto di figli e nuora, vediamo infatti Elisabetta Aldobrandini - madre di Pandolfo IV Malatesta e, a lungo reggente della città - che indossa l’abito nero vedovile.
Sappiamo dalle cronache che l’Aldobrandini usava presentarsi in tale veste nelle occasioni ufficiali, sebbene la sua fosse, notoriamente, una “vedovanza” sui generis, in quanto non moglie, bensì concubina del defunto Roberto Malatesta. Così ella è descritta dal cronista veneto, ancora nel 1496: “...la qual donna è bellissima, vestita di negro con bernie [componenti di tela leggera dell’abbigliamento femminile] ...”.


Dall’altro lato della scena, terzo da sinistra, troviamo il signore della città, Pandolfo - popolarmente appellato Pandolfaccio per i misfatti compiuti - inginocchiato e coperto da un mantello di porpora. Tale colore richiama quello del sangue (anzi “è” il sangue della conchiglia dal quale è tratto) e per questo era indossato da chi ricopriva appunto cariche “per diritto di sangue”.
Sappiamo che anche questa sottolineatura simbolica non fu occasionale; in una lapide che si trovava presso la scomparsa Biblioteca Malatestiana di Rimini, Pandolfo viene segnalato come signore “per decreto di sangue” (sanguine cretus), a precisare la legittimità della sua discendenza. Si sarebbe portati a credere che tale discendenza andasse infatti evidenziata, se è vero che i documenti attestano punizioni inflitte a cittadini che avevano definito Pandolfaccio “bastardo” e sua madre “puttana”.


In posizione più centrale rispetto l’Aldobrandini, è Violante Bentivoglio, consorte del signore, che indossa un abito verde. Il verde è notoriamente colore della speranza e infatti a Violante erano affidate le speranze di partorire prole per consentire discendenza alla dinastia.


All’estrema destra, troviamo Carlo, il secondogenito dell’Aldobrandini, che con la mano indica il fratello maggiore. Il vestito che indossa è arancione, il colore della fedeltà e dell’aurora. Questo pare quindi adatto alla sua posizione di figlio cadetto, destinato quindi a succedere al fratello, al “tramonto” della sua esistenza.


Come si è accennato, le vesti con le quali sono stati ritratti i componenti della famiglia malatestiana, corrisposero probabilmente ad abiti veri, adatti ad essere indossati in occorrenze pubbliche, quando era opportuno manifestare la propria posizione nel gruppo che gestiva il potere cittadino. Si trattava quindi di un genere di comunicazione che avveniva in termini simbolici, verosimilmente comprensibile ad un pubblico illetterato, cui apparteneva tuttavia ancora una cultura fatta di simboli.
Da questa cultura, proprio nella seconda metà del XV secolo, si svilupperà la codificazione araldica, che si rivolgerà invece ad ambienti acculturati ed elitari come quelli che, in senso ampio, frequentavano le corti principesche. Ma in realtà, nella pala del Ghirlandaio, il messaggio trasmesso attraverso i colori delle vesti si direbbe ben si integri con quello dei gesti attraverso i quali i vari personaggi si pongono in relazione l’un l’altro.
Anzi, verrebbe da credere che solo considerando tali relazioni, il dipinto possa esprimere pienamente il suo significato. Capiterà allora di occuparsi anche di questo in altre occasioni.


F. Portal, Sui colori simbolici, Luni Editrice, 2004.
R. Gilles, Il simbolismo nell’arte religiosa, Arkeios, Roma, 1993, pp. 170 e ss.
C. Tonini, Storia di Rimini, vol. VI, P. I, , Rimini, 1887, p. 14.


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