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Sergio Zavoli in un ricordo di Rosita Copioli

Domenica, 28 Novembre 2021

Esce Il tempo di scordare, sesto libro di poesie di Sergio Zavoli (Rizzoli, prefazione di Walter Veltroni, profilo biografico di Giorgio Giovannetti), a distanza di un anno dalla sua morte, avvenuta nella notte tra il 4 e il 5 agosto 2020. Nel gennaio scorso, per Vita e pensiero, era uscito un suo altro libro: Prima dei fatti. Un diario in pubblico, la raccolta delle sue rubriche apparse sulla prima pagina di «Avvenire» negli ultimi mesi del 2015, con introduzione di Marco Tarquinio, prefazione di Gianfranco Ravasi e postfazione mia.

Vorrei aggiungere qualche nota dello stesso Zavoli, poco conosciuta, al suo ricordo. Tutti lo riconoscono come il più grande giornalista radio-televisivo italiano, ma non molti sanno che fino quasi all’ultimo, attraverso il ruolo di Presidente della Commissione per la Biblioteca del Senato (2013-2017), organizzò convegni di studio che idealmente continuavano le sue stesse inchieste sui temi più urgenti e profondi. Uno dei più insistenti riguardava l’educazione, una riforma della scuola.

In uno degli ultimi discorsi, pronunciato al Senato il 22 luglio 2015, in previsione della legge sulla riforma della Rai che sarebbe stata promulgata nel dicembre, non poteva disgiungere la corretta informazione dalla buona comunicazione e dalle loro forme educative. Pensava a quanto aveva fatto lui stesso, all’uscita dalla guerra, e temeva sia i toni populistici dei talk show, sia l’intrattenimento del dolorificio e della spettacolarizzazione del “male di vivere”, sia il moltiplicarsi di cuochi e volteggiar di padelle in tempi di crisi, che certo non aiutano a corroborare l’«energia volitiva» dei giovani. Quell’energia che sostiene la volontà di costruzione dei giovani, sta

«facendosi sempre più debole; e ciò accade da quando, con il massimo di imprevidenza, sono stati spossessati delle prime logiche dell’apprendimento, cioè dell’analisi, del giudizio e della scelta, facendone una realtà ininfluente dal punto di vista sociale e vincendo, su tutto, la realtà che appare, cioè la sua rappresentazione.

Un’altra riforma, quella della scuola, potrà far molto in proposito.

È ciò che rese clamorosa la rivoluzione culturale prodotta dalla televisione. Quanto ad oggi, andrà evitato il rischio di promuovere una diversa mitologia, quella di credere che la rivoluzione tecnologica sia il sinonimo di una rivoluzione dei rapporti sociali, considerando che la comunicazione è, dopotutto, una pratica sociale».

Per Zavoli, in qualunque forma si tratti di considerare il problema dell’informare, nel modo vero e giusto di comunicare l’informazione, si profila quello che riguarda l’educazione al pensare. Il pensiero “educato” viene prima di ogni altra necessità. Zavoli sapeva come sia profondamente connesso allo stare al mondo e al rispettarlo, al rapporto civile tra gli uomini, che invece rimbalza sempre in conflitto, come lo stesso rapporto con il mondo.

Dalle origini, credendo nell’immaginazione come nella forma più alta del pensare - lo amava ripetere seguendo Fellini – ha un estremo bisogno di ricorrervi. Si affida all’immaginazione, si fida di lei, per inventare qualunque soluzione, anche temeraria – temerario è per lui un concetto ricorrente – oppure, la fruga e l’accende, per rivedere qualunque rapporto umano da riannodare. La poesia, con le sue parole metamorfiche e sapienti, è la grande risorsa dell’immaginazione. È la scintilla primordiale che sta tra l’accensione del fuoco e la Divina Commedia: lo strumento nascosto che sostiene dal profondo ogni bisogno di nutrimento, fisico e psichico, spirituale, e del pensiero. Attraverso la poesia, Zavoli ne porterà dovunque il frutto sempre germogliante dell’immaginazione e della parola che lega gli esseri umani.

La vita di Sergio Zavoli è stata ricchissima, lunga e complessa, e attende di essere portata alla luce, sebbene ci sembri di conoscere tutto del personaggio pubblico, e dell’amico. Ci sono gli esordi del dopoguerra con l’invenzione del futuro Publiphono nella piazza di Rimini semidistrutta; la folgorante carriera a Roma con Vittorio Veltroni: prima con le radiocronache delle partite, poi con i reportage da ogni luogo o evento (Africa e Polesine, Budapest e Sinai e Romagna e Bologna...); i documentari radio, inusuali e di grande fascino, come lo straordinario Clausura del 1957: un successo planetario che fece epoca; il popolarissimo Processo alla tappa; il GR1; le inchieste più approfondite sui massimi temi d’attualità, insieme ai dialoghi con i protagonisti del tempo, da Fellini a Schweitzer a Von Braun: e i tanti, famosi libri conseguenti, tra cui Diario di un cronista (2002) si distingue come summa d’incontri e interessi; l’insuperabile Notte della Repubblica - diciotto puntate di quarantacinque ore, dal 12 dicembre 1989 all’11 aprile 1990, per «la più ampia e puntuale ricostruzione televisiva sull’Italia delle eversioni, delle stragi, della contestazione e del terrorismo»; la Presidenza della Rai; il Senato per passione politica e civile, e gli ultimi anni a presiederne la Commissione per la Biblioteca, dove fu instancabile suscitatore di cultura; l’amicizia con Fellini; i suoi 7 libri di poesia.

Zavoli possedeva una doppia natura, sempre devota all’immaginazione che si nutre di quel “normale” che vede nella realtà: del “cronista” per eccellenza, e del poeta: essi si alimentavano l’uno con l’altro. Zavoli è il più fedele cronista perché avvicina l’uomo. La sua voce pacata ne tocca le corde più profonde, ha il respiro del suo mare. La voce indimenticabile dell’autore del Processo alla tappa, di Notte della Repubblica è uno “spazio letterario”, secondo l’accezione di Maurice Blanchot: ciò che ne distingue la vera “durata”.

L’ultimo libro, Il tempo di scordare, possiede l’arcata di un inizio d’addio (al Casale di Monte Porzio Catone, con tutto quel che esso ha racchiuso e significato), che si riappoggia alla vita nuova nel «luogo mite, silenzioso, Trevignano», con la moglie Alessandra, alla quale la raccolta è dedicata. Il lago di «una pace naturale» ospita nello specchio dei suoi riflessi l’intera vita nella sua continuità. Non so se, come lui stesso mi diceva, lo stile sia diventato più cronachistico («per non venire meno a un bisogno di libertà ritmiche e lessicali»); penso sia più meditativo. Ancora lo accompagnano, come nei “mattutini” consegnati ad «Avvenire» - «alle spalle l’ombra mia» - le antiche ombre più grandi, diventate più miti, quasi si prolungassero, al modo di Virgilio, cessati i soffi del vento che mormora e dagli alti monti cadono le maggiori ombre:
«ventosi ceciderunt murmuris aurae»
[...]
«maioresque cadunt altis de montibus umbrae».

Rosita Copioli

 

"La voce di Sergio Zavoli" di Rosita Copioli è il ritratto umano e letterario scritto da una poetessa conterranea che gli fu amica. Tema: la doppia natura di grande giornalista, il “cronista” per eccellenza, che è poeta. La voce indimenticabile dell’autore del Processo alla tappa, di Notte della Repubblica è uno “spazio letterario”, secondo l’accezione di Maurice Blanchot. Il libro è edito da Vallecchi