Stampa questa pagina

Adolescenti ai tempi del Covid, covano paura e rabbia, e si sentono pure colpevolizzati

Mercoledì, 17 Marzo 2021

Per il Sert, il servizio dipendenze patologiche dell’Ausl Romagna, sono come dei piccoli Robinson Crusoe che cercano di sopravvivere nella loro isola deserta nell’oceano della pandemia. Si chiama proprio così (Robinson. Strategie di sopravvivenza) il questionario diffuso fra i giovani dai 14 ai 25 anni e destinato a sondare come hanno reagito all’emergenza Covid. Una prima volta il questionario è stato realizzato dopo il lockdown dell’anno scorso, in queste settimane è in corso la seconda raccolta di dati. “Durante l'emergenza Covid-19, stai passando più tempo di prima sul cellulare?” “Durante questo periodo di emergenza, ti capita di perdere la cognizione del tempo che passi on-line?” “In questo periodo di emergenza hai avuto cambiamenti d'umore più significativi o più frequenti?”. Sono alcune delle domande che vengono rivolte ai giovani, i quali, dicono gli psicologi del Sert, restituiscono soprattutto diffusi sentimenti di rabbia e di paura. “In pandemia – ha spiegato in un’intervista la psicologa Elisa Zamagni - c’è stato un incremento dell’uso della rete attraverso i social, ma anche serie tv, gioco d’azzardo e anche canali pornografici. Sono aumentati i consumi di energy drink, dolci, alcol e tabacco, ma anche cannabis. In generale, è stato rilevato un cambiamento nel tono dell’umore, e le ragazze hanno mostrato maggiore vulnerabilità rispetto ai maschi, una maggiore ansia, spesso dettata dalle interrogazioni online.“

Non è mai stato facile essere adolescenti, ancora meno in un’epoca di pandemia. A scuola la didattica a distanza, per quanto valida, non restituisce l’esperienza della scuola in presenza. “La routine quotidiana che prima era vissuta con sopportazione – racconta il professor Paolo Valentini, direttore delle Scuole Karis – adesso è in qualche modo rimpianta. Manca ai ragazzi uscire di casa, incontrare amici e professori, fare le cose di tutti i giorni. Adesso è tutto più difficile rispetto a quella routine che prima tagliava le gambe”. Qualche studente denuncia preoccupato che sta perdendo la passione per lo studio. “Il fenomeno che capita sempre più spesso – aggiunge Valentini - è che i ragazzi sfuggono dagli appuntamenti. Non rispettano le date per le interrogazioni o le verifiche. Si costruiscono un orario scolastico su misura, si fa una lezione, la seguente si salta, poi si torna ad essere connessi. Avvertono come invasiva la didattica a distanza”. C’è infine un aspetto del disagio giovanile particolarmente doloroso. “Laddove ci sono difficoltà in famiglia, nel rapporto fra i genitori, la situazione anche per i ragazzi diventa immediatamente più esplosiva”.

L’indagine del Sert mira a verificare se i giovani in tempo di Covid diventano più dipendenti da smartphone, internet e videogiochi. “Questo accade – osserva Valentini – ma non è una forma di isolamento. Stanno sempre connessi, ma fra di loro, cercano di continuare online un rapporto di amicizia”.

“Stiamo per entrare in zona rossa, che ne pensate?”, ha chiesto nei giorni scorso in classe la professoressa Gabriella Giavolucci. E la domanda ha scoperchiato un vaso di Pandora. “E’ emerso – racconta Giavolucci – che questi ragazzi si sentono colpevolizzati dal mondo degli adulti. Loro percepiscono che li abbiamo additati come i colpevoli della diffusione del contagio. Inoltre, avvertono un grande disaggio per non poter uscire fuori da casa, per non poter fare una passeggiata al mare. Per non poter respirare, ha detto qualcuno di loro”. Beh, si potrebbe obiettare che certe assembramenti giovanili si sono visti. “Ma non si può generalizzare. Esiste la singola persona, la sua responsabilità. È evidente che i ragazzi oggi siano molto in difficoltà. Sono rimasta molto colpita da questa loro fragilità, che poi è la mia stessa fragilità”. Che risposta possono dare gli adulti per aiutarli in questa circostanza? “Penso che noi adulti dobbiamo farci vedere, mostrare che siamo pronti a percorrere un pezzo di strada insieme a loro, per scoprire insieme che la vita può avere un senso. Farci vedere e provocare i ragazzi, per dire loro: fatevi aiutare, noi siamo qui”.

Giavolucci è presidente dell’associazione Portofranco di Rimini, che dona gratuitamente un aiuto allo studio ai ragazzi che hanno problemi in questa o in quella materia. “Una ragazza – racconta – doveva mandarmi nel pomeriggio un messaggio per fissare un appuntamento per un aiuto allo studio. Arriva sera, e il messaggio non è arrivato. Avrà deciso di non far niente, ho pensato. Poi è arrivato il giorno dopo, quel pomeriggio non aveva guardato il cellulare. Sarebbe stato sbagliato se avessi tagliato i ponti perché non si era fatta viva. Bisogna avere pazienza nel rapporto con i ragazzi, non dare nulla per scontato. Essere sempre pronti a intraprendere un cammino che non si sa dove può portare”. L’esperienza di aiuto allo studio di Portofranco continua online anche in tempo di pandemia. “Online tutto è più difficile. Per un lavoro di recupero nella materia in cui si è rimasti indietro, la presenza è fondamentale. Online i ragazzi fanno più fatica a far emergere i loro bisogni. Spesso non riescono ad avere l’esatta percezione del bisogno che hanno. Bisogna implicarsi con loro. Che gli adulti si facciano vedere vuol dire essere disposti a implicarsi. A questo proposito, Portofranco è un’esperienza davvero interessante. Un insegnante può dare la propria disponibilità per aiutare i ragazzi a studiare. Sperando di tornare presto a farlo in presenza”.

Articoli correlati