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Ma davvero il futuro della Lega a Rimini può essere democristiano?

Domenica, 02 Febbraio 2020

Alla vigilia del voto per le regionali, in riferimento alle dinamiche interne alla Lega, scrivevamo: “La candidatura di Montevecchi si è trasformata in una sorta di Opa ostile all’attuale dirigenza leghista, un’operazione che ha come posta finale le elezioni comunali del 2021 e la gestione delle relative candidature”.

Si sa come è andata a finire: con oltre cinquemila preferenze Matteo Montevecchi ha battuto il segretario provinciale Bruno Galli ed è stato eletto consigliere regionale. All’indomani del voto i protagonisti dell’operazione che con una metafora abbiamo chiamato “Opa ostile all’attuale dirigenza leghista” si sono affrettati a dichiarare che non c’è stata alcuna Opa. Paradossalmente lo hanno fatto con argomenti che hanno confermato al cento per cento la nostra ipotesi.

Prima di documentarlo, ricordiamo gli attori in campo. Da una parte c’è una candidatura, quella di Matteo Montevecchi, che non nasce a livello locale ma è frutto di accordi nazionali. Il giovane lavora a Roma come collaboratore alla comunicazione di parlamentari leghisti, è un ragazzo che sa abilmente usare i social, ma non disponeva di truppe e militanti capaci di raccogliere voti sul territorio. Dall’altra c’erano persone e gruppi che da tempo cercavano di recuperare un ruolo e un peso politico dopo che altri strumenti partitici hanno perso la loro spinta propulsiva o si sono proprio liquefatti. C’è il gruppo di Dreamini che nel 2016 pensava di avere idee e progetti per incidere sulle scelte della Lega, che poi invece candidò Marzio Pecci e li lasciò ad eleggere l’ex grillino Camporesi. C’è un berlusconiano di vecchio corso come Alessandro Ravaglioli, che nella ammirata Russia di Putin ha maturato il nuovo amore per Matteo Salvini. C’è l’ex candidato sindaco di Santarcangelo, Domenico Samorani, che durante la campagna elettorale, per darsi un profilo moderato, teneva a distinguersi dalla Lega, nella quale ora pienamente si identifica. Come lui stesso ha raccontato ai giornali, è stato durante quella campagna elettorale che si è instaurato un rapporto con Montevecchi, consigliere uscente eletto con Fratelli d’Italia. Da una parte dunque un cavaliere senza macchia e senza paura (e anche senza truppe), dall’altra, strateghi bisognosi di una carta vincente da giocare sullo scacchiere politico riminese.

L’idea geniale, risultata vincente, è stata quella di cucire addosso al ‘cavaliere’ una tunica da moderato, poco importa se palesemente contraddittoria con il background del candidato (per rendersene conto bastava scorrerne il profilo Facebook). È stata imbastita una riuscita operazione di riposizionamento politico, che a Montevecchi serviva ad avere voti aggiuntivi a quelli prodotti dalle campagne social e che ai suoi mentori serviva a dimostrare di avere alle spalle truppe scelte indispensabili soprattutto per future battaglie. L’operazione è andata a buon fine perché è riuscita ad attecchire in quella parte di elettorato storicamente indisponibile ad un voto diverso da quello per il centrodestra e che, nel disorientamento generale, era alla ricerca di un voto che corrispondesse al proprio radicato sentiment anti sinistra, pur non sbavando per la Lega. Per tutti costoro, ecco servita la nuova ricetta: Montevecchi, il moderato. E il candidato si è attenuto alle consegne ricevute.

Ravaglioli, in una intervista al Corriere Romagna, propone un ragionamento il cui obiettivo è dimostrare che le diecimila preferenze andate nel 2010 a Marco Lombardi (Forza Italia) sono le stesse ottenute insieme, su diversi fronti, da Montevecchi e da Nicola Marcello. A chi si debba ascriverne il merito è ben sintetizzato nella foto opportunity confezionata in campagna elettorale e riproposta con insistenza dopo il voto: Montevecchi, giovane virgulto politico, in mezzo a due professionisti di moderatismo come Samorani e Ravaglioli.

L’obiettivo immediato, tattico, era l’elezione di Montevecchi, ma l’obiettivo strategico guarda certamente alle elezioni di Rimini 2021. Se non piace il nome Opa, la si chiami con un altro nome, ma è evidente dalle dichiarazioni di Samorani al Carlino («Una Lega che sia capace di rappresentare il mondo cattolico e interpretarne i bisogni e le istanze»), e di Ravaglioli al Corriere Romagna, che ora, una volta eletto Montevecchi, si vuole passare all’incasso - almeno in termini di peso politico - in vista delle comunali del prossimo anno. Ma questo è un film non solo tutto da vedere ma ancora tutto da girare.

L’incognita da verificare è una sola. La Lega, sotto la guida di Salvini, è passata dal 4 al 32 per cento alzando continuamente i toni, esasperando le tensioni, mostrando un’anima tutt’altro che moderata. Lo stesso Salvini, rispondendo a chi lo ha criticato sulle regionali per citofonate e dintorni, ha risposto che rifarebbe tutto tale e quale. È quasi banale affermare che le elezioni del 2021 il centrodestra le può vincere solo conquistando i moderati. Non si può però evitare di ricordare che fino ad oggi, in previsione di quella scadenza, le dichiarazioni dei dirigenti leghisti sono sempre state di tutt’altro segno. Davvero si può pensare che i Pecci, i Zoccarato, i Galli, i Morrone siano pronti a farsi da parte per lasciare ricondurre il leghismo nostrano a una rinnovata versione della Dc o di Forza Italia? Nel caso, Rimini diventerebbe un clamoroso laboratorio politico.

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