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‘J’accuse’, al via a Misano la nuova stagione filosofica con Cacciari, Fusaro, Galimberti

Lunedì, 16 Settembre 2019

(Rimini) “J’accuse" è un mezzo rivoluzionario per far esplodere la verità, "j'accuse" è un atto di responsabilità con cui l'io si espone. Quando l'ingiustizia ammantata di diritto vince non tutto è perduto: l'ultima parola spetta a quel particolare tipo di intellettuale che riveste un ruolo sociale autonomo, ovvero il depositario del buon senso. E infatti "Io accuso" è la celebre formula con cui lo scrittore Émile Zola difese, nella Francia di fine '800, il capitano Alfred Dreyfus, ebreo, ingiustamente condannato per tradimento. Il clamoroso errore giudiziario aveva fornito il capro espiatorio ideale ad una società in crisi ma l'anziano scrittore vede la verità e non può ignorarla: Dreyfus è innocente, lo proclama a gran voce bollando la violenza nascosta dietro la maschera del potere per ciò che è, pura volizione, sopraffazione e non diritto. La nota vicenda è solo una fra le macchie della storia europea ma gli elementi costitutivi ne fanno il paradigma di ogni persecuzione: il crimine sociale, la vittoria del pregiudizio sull'evidenza, il rifiuto della giustizia, la corruzione, le campagne false per smarrire l'opinione pubblica.
Ispirandosi a questa pagina di resistenza della ragione Gustavo Cecchini, direttore della Biblioteca di Misano Adriatico, ha curato la nuova rassegna filosofica della stagione autunnale dal titolo "J'accuse: nessuno è innocente", attualizzando la formula di Zola per sottoporre al fuoco della critica le contraddizioni del nostro presente. Ogni ospite pronuncerà il proprio J'accuse, attraverso l'insegnamento di altri maestri del pensiero oppure attraverso la testimonianza personale. Ma chi accusare in un mondo globalizzato e omologato?

La rassegna sarà aperta, venerdì 4 ottobre, dal filosofo Umberto Galimberti con "Nietzsche: j'accuse dell'Occidente".
Il genio di Röcken, in tremendo anticipo sui tempi, intuì che l'Occidente giudaico-cristiano, come organismo storico vincente al centro del mondo, era destinato ad un inevitabile declino. Facendo piazza pulita di sistemi e costumi, morali e religioni, tradizioni e istituzioni, Nietzsche individuò la debolezza dell'orizzonte culturale di questo sistema nella fede cieca tributata all'idealità metafisica. L'Occidente è infatti lo scenario in cui i significati determinati dalla ragione hanno delimitato i confini dell'anima, chiudendo l'apertura ad ogni altro senso, ma il j'accuse del filosofo obbliga tale ordine ad apparire per ciò che è: una tecnica difensiva inventata dal platonismo per arginare il caos della realtà. La logica platonica non è un ordine immutabile ma un percorso storico che avrà una fine. Quando questo impianto concettuale non riuscirà più ad organizzare la complessità del mondo cosa accadrà? O meglio, cosa sta accadendo?

Venerdì 11 ottobre il chimico Gianfranco Pacchioni proporrà "L'ultimo sapiens. Viaggio al termine della nostra specie". Immaginiamo un futuro in cui sapiens supertecnologici controlleranno, con le loro intelligenze aumentate, il mondo; mentre altri sapiens desueti, saranno relegati a un ruolo marginale. Uno scenario solo fantascientifico? Oggi l'intelligenza artificiale, le neuroscienze, le nanotecnologie, la genetica modificano in modo sempre più vertiginoso il rapporto tra l'uomo e la natura. Nella storia dell'umanità sta succedendo qualcosa che potrebbe condurre alla fine dell'Homo sapiens. Pacchioni ci introdurrà tra le pieghe di uno scenario tanto avvincente quanto inquietante: quello del nuovo ecosistema – mai visto prima – in cui vivranno i nostri discendenti. Saremo in grado di fermarci in tempo nella nostra corsa col turbocompressore verso le Colonne d'Ercole, come si chiedeva Primo Levi? Cosa siamo dunque e cosa stiamo diventando? "Homo faber fortunae suae", dicevano i latini, l'uomo è artefice della propria sorte. Non ci resta che scoprire quale.
Il 18 ottobre il filosofo Marco Guzzi proporrà "J'accuse QUESTE élites suicidarie". Mai come in questi anni si sta palesando che un intero sistema di mondo sta diventando suicidario, e cioè opera distruggendo il pianeta, devastando le culture umane e potenzialmente anche i cuori e le menti delle nuove generazioni. Questo sistema viene contestato come finanzcapitalismo sottolineando come la globalizzazione neoliberista abbia esasperato le disuguaglianze sociali e il dominio incontrastato di un mercato senza scrupoli. Ma tale processo è stato possibile anche perché le oligarchie del neoliberismo sono state supportate da altre oligarchie collaborazionistiche, quali quelle intellettuali, universitarie e dei massmedia. Il silenzio di tanti giornalisti, scrittori, persone dello spettacolo, il loro costante sviamento dell'attenzione del pubblico su altri fuochi polemici, del tutto irrilevanti, ha reso possibile l'egemonia delle oligarchie internazionali suicidarie. E' venuto il tempo di smascherare questo suicidio planetario e di avviare un'allegra e inedita forma di rivoluzione culturale e democratica.

Mercoledì 23 ottobre la rassegna si aprirà ad un fuori programma con il filosofo Massimo Cacciari che parlerà del suo libro "La mente inquieta. Saggio sull'umanesimo". Predomina ancora una visione del periodo dell'Umanesimo che ne esalta, da un lato, i valori estetico-artistici, e tende a ridurne, dall'altro, il pensiero a elementi retorico-filologici. Ma le cose sono più complesse e meno schematiche, e la stessa filologia umanistica va inserita in un progetto culturale più ampio nel quale l'attenzione al passato è complementare alla riflessione sul futuro, mondano e ultramondano. Dunque una filologia che è intimamente filosofia e teologia. E i nodi filosofici affrontati dagli umanisti (che in quest'ottica non iniziano con Petrarca o con i padovani, ma con lo stesso Dante) sono difficilmente ascrivibili a sistemi armonici o pacificanti, secondo una visione tradizionale del Rinascimento. C'è un nucleo tragico del pensiero umanistico, fortemente «anti-dialettico», in cui le polarità opposte non si armonizzano né vengono sintetizzate.
Venerdì 25 ottobre il filosofo Diego Fusaro parlerà di "Pier Paolo Pasolini: j'accuse contro l'omologazione". Negli anni Settanta, Pasolini lanciò il suo Je accuse contro l'omologazione prodotta dalla civiltà del consumo. Parlò espressamente di genocidio culturale generato dal livellamento planetario del consumismo. Il suo Je accuse era, in pari tempo, rivolto contro quanti ancora non avevano capito che il potere aveva mutato sembiante: non era più clerico-fascista ma consumista ed edonista, permissivo e libertario. La civiltà dei consumi è, per Pasolini, il nuovo fascismo, ancora più totalitario delle dittature precedenti. Quanti oggi hanno il coraggio di prenderne atto e agire conseguentemente?

Venerdì 8 novembre il filosofo Carlo Sini pronuncerà "J'accuse: nessuno è innocente". Diceva il grande Anassimandro che tutti gli esseri si fanno la guerra, che si recano ingiustizia e che ne pagheranno il fio secondo la legge del tempo, ossia morendo a loro volta. L'innocenza non è di questo mondo, in cui i viventi abitano nella strozzatura di corpi separati, vicendevolmente bisognosi gli uni degli altri ma anche vicendevolmente persecutori. Come sottrarsi allora a questa colpa strutturale e originaria? Ed è poi proprio una colpa? Ne siamo davvero, e in che misura, responsabili? Già questa domande dimostrano però che, nel profondo, non siamo del tutto sicuri della nostra innocenza, perché, come diceva Freud, non siamo del tutto padroni a casa nostra. Heidegger parlava di un costitutivo "essere in colpa dell'Esserci". Insomma: nessuno è innocente? Nessuno lo fu mai? Bisognerà pure chiederselo, una volta o l'altra.
Venerdì 15 novembre il filosofo Salvatore Natoli rifletterà il presente nel passato con la lezione "Socrate, il tafano: contro la pigrizia dell'intelligenza e la decadenza della Polis". Il filosofo ateniese non accusa ma mette sotto inchiesta, perché Socrate non è uomo d'invettiva ma di finissima ironia: sprona alla riflessione turbando le intelligenze appiattite sui luoghi comuni, getta nel dubbio gli ignoranti inconsapevoli e smonta il falso sapere dei sapienti. Il suo insegnamento denuncia come e quanto l'ignoranza impedisca l'esercizio della virtù e come questo influisca in modo determinante sulla vita della città perché facilita la conquista del potere da parte dei demagoghi. Così s'innesca un circolo vizioso che conduce la città alla decadenza. La sorte di Socrate, dissidente non violento, è nota: nonostante la devozione al bene della città, i giudici ateniesi trovarono nelle sue parole motivi sufficienti per condannarlo a morte. Socrate ha perso ma la sua sconfitta è diventata semente da cui nel corso della storia sono maturati frutti di libertà. Ma ne ha avuto di coraggio! La sua scelta non è affatto da considerare scontata ma anzi è il caso di domandarsi: e noi, oggi?

Su questo punto si interrogherà giovedì 21 novembre il teologo Vito Mancuso che ha intitolato il suo intervento "J'accuse me stesso". L'oggetto della requisitoria sarà proprio il sé, nella convinzione che ogni reale miglioramento del mondo esterno parte dalla propria interiorità, ovvero che la vera rivoluzione è sempre quella che cambia la mente e il cuore di chi la vive. Si tocca così il tema, religioso e filosofico al contempo, della confessione, sulla scorta di padri del pensiero quali Agostino e Rousseau, e dell'esame di coscienza, la cui prima attestazione in occidente risale a Pitagora. Coscienza, male, peccato, senso di colpa, confessione, liberazione interiore, questi i concetti decisivi a partire dai quali l'uomo Vito Mancuso affronterà sé stesso.
Chiuderà la rassegna venerdì 29 novembre il latinista Ivano Dionigi con la serata "Osa sapere: contro la paura e l'ignoranza". Di fronte all'arrivo inarrestabile di nuovi "barbari" ci si ostina a erigere muri, fisici e mentali, nel vano tentativo di restituire centralità all'Europa, e di fronte al dominio della tecnica ogni soluzione appare effimera. Ma l'intelligenza è la prima difesa della democrazia e dobbiamo credere che si possa capire e rendere amico questo futuro-presente, globale e frantumato, invadente e carico di complessità, se "osiamo sapere". A nulla vale la potenza della tecnologia se alla vita vengono a mancare la tensione verso uno scopo e il senso della fine, se non si sa restare uomini. E come la politica deve recuperare la lezione antica di Roma la cui grandezza fu quella di aprirsi ai nuovi popoli, riconoscendo cittadini gli stranieri e persino i nemici, così si sente l'urgenza di un "pensiero lungo" che tenga insieme diversi punti di vista, e del dialogo tra i saperi: un nuovo umanesimo, interrogante e dubitante, da affidare anzitutto alle Università, crogioli di identità internazionali, e a coloro che difendono la conoscenza, la verità e la pietas.