Mucillagini, 30 anni dopo. Parla l'ex sindaco Chicchi: il sistema fu capace di reagire

Mercoledì, 26 Giugno 2019

8 luglio 1989, trent'anni fa, un mondo completamente diverso da quello attuale. Il Muro di Berlino sarebbe caduto solo a novembre. A Palazzo Chigi c'era Giulio Andreotti. Quell'8 luglio di trent'anni fa la Riviera si svegliò in un incubo. Da Trieste a Pescara l'Adriatico era coperto da un manto vischioso: era comparsa la mucillagine. Una data che in qualche modo segna uno spartiacque per la storia del turismo riminese. Quando in agosto il Presidente del Consiglio Andreotti arrivò al Meeting di Rimini ebbe una battuta, anch'essa passata alla storia: “Pensavo di dover venire con uno scafandro...”

“E dire – ricorda Giuseppe Chicchi, all'epoca assessore regionale al turismo – che solo tre giorni prima avevamo diramato un bollettino in cui si annunciava che lo stato dell'Adriatico era perfetto. Il bollettino sul'Adriatico era nato all'inizio degli anni Ottanta dopo la crisi dell'eutrofizzazione, veniva inviato via fax in tutta Europa”.

La realtà vi aveva clamorosamente smentito...

“Ci chiedemmo subito: cosa diciamo? Decidemmo di diramare un bollettino straordinario in cui testualmente si diceva che l'Adriatico era oggettivamente impraticabile per la balneazione”.

Foste coraggiosi.

“Fu una scelta illuminata, peraltro pienamente condivisa dagli operatori turistici con cui eravamo costantemente in contatto per gestire la crisi. Grazie a questa informazione di verità fummo credibili quando, dopo una mareggiata che aveva in larga parte disperso la mucillagine, diramammo un bollettino in cui si affermava che l'Adriatico era tornato balneabile. |Fu un un momento drammatico per la Riviera. Fughe e disdette si moltiplicarono, il mese di luglio fu nullo dal punto di vista turistico, in un solo colpo perdemmo la metà delle presenze estere. Solo dopo una dozzina d'anni siamo riusciti a recuperare”.

C'era anche molta confusione sulla natura e le cause del fenomeno.

“Purtroppo ancora oggi non si conoscono esattamente. Ciò che permise una definizione del fenomeno come non direttamente connesso all'eutrofizzazione, fu la scoperta di cronache del Settecento che citavano il mare invaso dalle mucillagini. L'Icram, l'Istituto di ricerche sul mare, allora presieduto da Paolo Arata, ha in parte collegato il fenomeno all'inquinamento ma soprattutto ai cambiamenti climatici. Si è visto che in certe condizioni particolari di temperatura e luce, si produce il muco vischioso che conosciamo”.

Il citato Paolo Arata è lo stesso imprenditore vicino alla Lega balzato recentemente agli “onori” delle cronache?

“Proprio lui. Poi fu nominato commissario straordinario alle mucillagini con un portafoglio di 40 miliardi di lire. L'unica idea di contenimento che emerse fu quella delle cosiddette 'panne' galleggianti che dovevano servire ad allontanare la mucillagine dalla costa. Ma furono pressoché inutili, perché la mucillagine scendeva e riemergeva dall'altra parte. Con Arata poi, in vista della stagione estiva 1990, girammo tutte le fiere europee per annunciare che l'Adriatico sarebbe stato balneabile”.

La crisi delle mucillagini a che punto della propria storia trovò la Riviera?

“La vicenda dell'eutrofizzazione aveva già posto all'attenzione una questione: la conclusione del ciclo del turismo di massa che aveva caratterizzato la nostra realtà nel momento storico in cui la domanda di vacanza superava l'offerta. C'era più gente che voleva andare in vacanza rispetto al prodotto disponibile sul mercato. Questo era avvenuto negli anni Sessanta e Settanta. Successe un'altra cosa. Coloro che si erano arricchiti con il turismo di massa, penso ai tour operator europei, avevano investito le risorse acquisite in altri paesi, Spagna e Turchia. Quindi già negli anni Ottanta il nostro turismo si trovava di fronte a un cambiamento, eravamo entrati nella fase in cui l'offerta supera la domanda. Lo sviluppo delle comunicazioni via terra ed aeree aveva avvicinato paesi che in precedenza erano distanti. Tuttavia ancora non si era colto lo scheletro di ciò che doveva diventare la nuova offerta del territorio. Le domande radicali erano già state poste dalle alghe, non c'erano ancora le risposte. Per merito non tanto mio, ma di tutto il sistema turistico, la vicenda delle mucillagini consentì di mettere a fuoco una strategia”.

Qual è stata la strategia?

“Quella che va sotto il nome di destagionalizzazione. La conferenza regionale che nei mesi successivi tenemmo a Bologna l'ha delineata. Il passaggio dal turismo di massa ai turismi. Destagionalizzare voleva dire mettere in condizione il territorio di produrre turismo indipendentemente dagli eventi climatici. Quando poi sono diventato sindaco di Rimini ho declinato questa strategia con le grandi opere”.

Gli operatori turistici pensarono di rispondere costruendo piscine che sembravano pozzanghere...

“Questa fu la fase dell'emergenza. Cosa diciamo i prossimi anni? Avemmo la fortuna di incrociare un ministro del turismo valido, Franco Carraro, che si rese disponibile e con la famosa legge Carraro -Vizzini mise a disposizione 245 miliardi di lire in conto interessi per ristrutturare gli alberghi. Si diceva allora che avrebbe movimentato investimenti per 90 miliardi di lire. I nostri operatori la sfruttarono al massimo e investirono”.

Furono fatte le piscine e qualche abbellimento estetico. La struttura portante degli alberghi rimase la stessa.

“Ricordo che nella conferenza prima citata avevo fissato l'obiettivo di arrivare a 400/500 alberghi annuali su circa 300 esistenti. Quell'obiettivo è stato raggiunto, anche se sono concentrati soprattutto nell'area di Rimini, grazie alla Fiera. Poi prima di lasciare la Regione feci anche la legge che favoriva l'uscita dal mercato delle struttura marginali. A Rimini la usarono in duecento”.

Normalmente si ritiene che con la crisi delle mucillagini la Riviera puntò sul turismo della notte. Condivide?

“Non è così, il vero investimento sulla notte è stato fatto negli anni Ottanta. Il vero investimento dopo le mucillagini è stato fatto su diversi prodotti turistici, fra cui anche la notte. Ma ci sono anche i grandi parchi tematici, lo sport, i congressi, le fiere”.

Forse si è puntato sulla notte nella narrazione esterna?

“Sono sempre stato contrario a questa lettura. Rimini non è come Ibiza, Rimini ha 300 mila posti letto da riempire fra alberghi, residence, campeggi. Ibiza ne ha circa 20 mila. Quindi noi abbiamo un target universalistico che va dal bambino di un anno al vecchio di novanta. Quindi una Riviera proiettata tutta sul tema della notte rischia di diventare selettiva, di escludere target che non siano quelli giovanili. C'è da dire che il mondo della notte ha avuto una fase discendente abbastanza drammatica, era un modello di consumo turistico molto circoscritto ad un ciclo, quello della Milano da bere”.

Tirando le somme, si può dire che la Riviera fu capace di reagire e di scommettere sul futuro? Oggi sarebbe possibile?

“Quella capacità di reazione si manifestò non solo dopo i fenomeni dell'eutrofizzazione e della mucillagine, ma anche durante. Questo è un punto politicamente rilevantissimo, perché la reazione che ebbe il sistema nel suo complesso accumulò l'energia necessaria per gli anni successivi. Dimostrò che era possibile reagire. Non scattò una reazione remissiva o rinunciataria. Penso che anche oggi le energie si troverebbero. Non sono altrettanto sicuro del sistema politico, oggi più frantumato e meno capace di convergere”.

Valerio Lessi