Stampa questa pagina

La vera potenza dell’uomo risiede nella sua impotenza

Giovedì, 20 Dicembre 2018

La Feltrinelli ha presentato nel mese di ottobre 2018 l’ultimo libro di Mauro Magatti, docente di Sociologia presso l’Università cattolica di Milano: Oltre l’infinito. Storia della potenza dal sacro alla tecnica.
Un’affascinante interpretazione della vicenda umana a partire dal concetto di “potenza” che si traduce nelle figure della religione, della politica e del sistema tecnico.
L’autore parte dalla tesi di fondo secondo la quale l’uomo è un soggetto “eccentrico”, aperto, proiettato oltre la propria esistenza finita, trascendente. Sempre in cerca di potenza ulteriore, l’uomo genera la storia come tentativo di raggiungere la propria essenza nella potenza. Sacro, politica e tecnica rappresentano tre poteri attraverso i quali l’uomo persegue il sogno di sopprimere una volta per tutte l’eccentricità costitutiva che lo fa essere imperfetto.
Ma proprio questo sforzo di Sisifo lo precipita ciclicamente in valli di lacrime. La religione piega l’uomo con la forza del Sacro. La politica lo neutralizza addomesticandolo con la Sovranità dello Stato-nazione e dello Stato-classe, della democrazia liberale e di quella proletaria. Avvincenti risultano le pagine che narrano il percorso dagli Stati assoluti del XVI secolo agli Stati totalitari dell’universo concentrazionario del XX secolo. Una conferma della tesi di un ‘900 tutt’altro che breve, quanto sterminato.
La nuova generazione che segue al crollo dell’ ’89, disincantata dalle rovine della religione e della politica, si rifugia nel consumo narcisistico reso possibile dalla potenza del sistema tecnico. In verità questo mondo, attraverso la standardizzazione di tutti i settori della vita psico-somatica e sociale, in forza del suo nudo potere pragmatico e auto-riproduttivo, rischia di presentarsi come il peggiore dei mondi possibili, dove risulta sempre più difficile la sola ipotesi di un mondo alternativo. Così la totalizzazione burocratica dissolve le ultime tracce della eccentricità del pensiero e della libertà. In effetti il sistema tecnico, per la prima volta, sembra svuotare la domanda dell’uomo – la sorgente della sua trascendenza -, dal momento che il sistema si auto-produce senza che l’uomo debba impegnarsi con il proprio destino. La produzione infinita di strumenti di cui siamo capaci ci illude di trovare il nostro centro nella ragione strumentale, la nuova essenza del potere che vorrebbe ridurre l’uomo ad un tasto di pianoforte, per dirla con Dostoevskij.
Si può ancora sperare che dopo le tragedie del fondamentalismo teologico e politico non segua una tregenda del fondamentalismo tecnologico?
Nell’ultimo capitolo, l’autore azzarda una via di uscita da questo mondo panottico: non bisogna cancellare l’eccentricità dell’uomo, non si deve cedere alla tentazione di chiuderlo per l’ennesima volta in una essenza, occorre invece garantirgli il suo limite, la sua natura di ossimoro: è proprio la sua incompiutezza, e per così dire fragilità, a costituire la sua vera potenza. E soprattutto, non sarà un ritorno ad universi monocratici teologici o politici a scagionare il pericolo incombente del potere tecnico del nuovo umanismo bionico. Solo difendendo un’area di pluralismo della potenza, nella quale nessun modello rivendichi il potere di raddrizzare l’eccentricità dell’uomo, e che salvaguardi la sua apertura e finitezza, potremmo risparmiarci nuovi inferni. In altri termini, occorre difendere - non sopprimere - la debolezza dell’uomo, segno distintivo della sua trascendenza infinita, così come l’autentica tradizione cristiana insegna, indicando nell’impotenza la sorgente della vera onnipotenza. Ma questo, di nuovo, non potrà essere un altro sistema, quanto piuttosto la pratica quotidiana di persone alle quali non faccia scandalo accettare il limite dello scarto tra esistenza ed essenza.

Alfiero Mariotti

Ancora una volta, il problema dei nostri giorni è quello di come disinnescare gli aspetti distruttivi e negativi della potenza che, connaturata all’idea stessa di azione, pretende di tradurre immediatamente senza residui, in potere. Il che significa arrivare ad ammettere che la libertà che tanto amiamo non si autodistrugge solo quando non ha la pretesa di diventare padrona di se stessa e per questa via delle cose, degli altri, della realtà.” (p. 243)