Riprendiamoci il presente: un 30enne che non vuole affogare nella nostalgia

Venerdì, 28 Settembre 2012

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Riprendiamoci il presente. Lettera di un 30enne che non vuole affogare nella nostalgia


“La Rimini che non c’è più”, “Rimini sparita”, “Riviera culture club”. Sono solo le ultime iniziative che circolano nell’ambito riminese e che raccontano la Rimini del passato.
“La Rimini che non c’è più” è una pagina su Facebook, oltre 3000 ‘mi piace’ che a colpi di foto documenta e raccoglie impressioni sulla nostra città che non esiste più: dall’invito all’inaugurazione della ferrovia San Marino-Rimini datato 1932 alla foto di Piazza Ferrari senza Ztl o dell’Italy&Italy, dalle discoteche negli anni d’oro fino al nostro lungomare agli esordi, dal sindaco Ceccaroni a Pippo che vendeva i lupini sul canale; foto in bianco e nero oppure giallognole che non possono non muovere lo stupore e la commozione per un passato. Emozioni che riportano alla mente i racconti dei nonni ai bambini, storie di luoghi scomparsi, ma che hanno segnato le vite di tanti. E poi c’è la “Rimini Sparita” associazione culturale, anche lei con una pagina Facebook con lo stesso scopo e con il limite cronologico degli anni ‘90.


Nostalgia canaglia, che ti prende, nostalgia che finisce anche sui giornali: ci sta pensando il Carlino con le pagine dal titolo “Come Eravamo”, prima in collaborazione con la “Rimini Sparita” e ora anche con “La Rimini che non c’è più”. E non è finita: anche il gruppo Icaro Tv sta preparando una trasmissione in collaborazione con “La Rimini che non c’è più” per commentare le foto e lasciarsi prendere dai ricordi.
Nostalgia canaglia, che ti prende, che ha preso anche uno dei guru della comunicazione delle nostre parti: Pier Pierucci, anima di Aquafan che, in occasione dell’uscita del volume Riviera Culture Club, sul Corriere Romagna ripercorre gli anni in cui Rimini era Rimini, padrona dell’Europa per quanto riguardava trend e divertimento, gli anni ‘80, gli anni in cui Rimini era la città a cui guardare, dove si sperimentava e tutto era possibile. In quella città una generazione di ragazzi di 25/30 anni ha potuto credere - come ha detto riguardo a se stesso Pier Pierucci - “di essere più avanti della vita che stavo vivendo”. Ed è sempre lo stesso Pierucci a dire che: “Questo in Italia allora poteva succedere: se eri giovane, con qualche buona idea, avevi delle chance”.
E quello che stupisce leggendo i suoi racconti, guardando come era Rimini, è che quello che è stato ancora emoziona, stupisce, commuove, rinasce il desiderio che ci sia, che possa rivivere ancora. Però.... eh si in tutte le cose belle c’è un però.


Non è bello stare sempre a parlare del passato, anzi quando si inizia a parlare troppo del passato vuol dire che c’è un presente che non ha nulla da dire, non ha niente che emoziona, non è il punto di partenza da cui si può spiccare il grande salto, il punto di partenza per un cammino verso il futuro. Non vogliamo morire di una nostalgia per qualcosa che non abbiamo nemmeno mai vissuto! E poi a volte la nostalgia è come il fritto, rende tutto più buono.
Ma è vero, la generazione Pierucci ha qualcosa da insegnare a noi, perchè chi scrive è della generazione degli attuali 25-35enni riminesi; ha da insegnare (ci) che un manipolo di ragazzi in un certo momento ha reso Rimini qualcosa che non è più stata, ha reso Rimini la capitale d’Europa per quando riguarda il divertimento (e contemporaneamente c’era un altra generazione di giovani che dava vita a Rimini a uno dei più importanti eventi culturali europei, il Meeting).
Dove siamo oggi noi 25-35enni riminesi? Non vogliamo anche noi tra 30 anni poter dire “guarda come eravamo, guarda cosa avevamo creato”? Per bearci anche noi in un po’ di nostalgia e soprattutto per non dover dire guardando la città “Non è cambiato niente”.


Non ci bastano in questo i visionari, che a volte lanciano il cuore troppo oltre il presente, quelli che guardano lontano, quelli che indicano la strada, quelli che si lanciano verso utopie a basso tasso di fattibilità, quelli per cui Rimini sarà la nuova … (e metteteci pure il nome della città che di volta in volta va di moda). Chi ha ricostruito nel dopoguerra, la generazione Pierucci, la generazione Meeting (solo per citare alcuni che a Rimini hanno fatto qualcosa di grande), non era un visionario, era gente che guardava il presente e voleva fare bene quello che c’era da fare, seguendo il proprio desiderio di esserci, di potere avere “la sensazione che, grazie a me, questo mondo marciasse ad una velocità superiore”.
Noi 25-35enni di Rimini, ora, in questo presente abbiamo questo desiderio? Vogliamo provare a riprendercelo?


Ps.
“Che bello, è tutto com’era una volta. Non è cambiato niente” è il commento in un ristorante di un vecchio riminese che non tornava a Rimini da trent’anni.

Ultima modifica il Venerdì, 28 Settembre 2012 17:46