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Meeting, alla mostra sul '68 con un protagonista riminese

Venerdì, 24 Agosto 2018

La mostra del Meeting sul Sessantotto (Vogliamo tutto. 1968-2018) comincia con una sezione dedicata alla rivoluzione dei consumi ad inizio degli anni Sessanta. Un grande manifesto d’epoca della Lambretta promette la felicità su due ruote ad un ragazzo con una macchina fotografica appoggiato alla scooter, ad una ragazza ben agghindata, in uno scenario di mare e vacanza. Fabio Bruschi, protagonista del Sessantotto a Rimini e curatore di un documentato volume uscito nell’autunno scorso, parte subito mettendo qualche puntino sulle “i”.

“Bisogna evitare – dice – di allungare il brodo e comprendere nel Sessantotto un periodo che per alcuni dura addirittura trent’anni. Il Sessantotto è un evento che ha un inizio ed ha una fine. Altra cosa sono le premesse e altra cosa sono le conseguenza. Un conto è il Sessantotto, un altro sono sessantottini che sono venuti dopo. All’incontro di domenica sulla presentazione della mostra, lo storico Eugenio Capozzi ha sostenuto che il Sessantotto è stato un’affermazione di autodeterminazione individuale. Mi sono ritrovato di più nella posizione del professor Edoardo Bressan secondo cui dal Sessantotto è partita una ricerca dell’autodeterminazione ma in senso sociale piuttosto che individuale. C’è stato un riscoprirsi insieme agli altri”.

Torniamo alla rivoluzione dei consumi. È stato o non è stato il terreno di coltura del movimento? “Per la mia esperienza a Rimini il simbolo di tutto questo è stato l’Omnia, il grande magazzino dove potevi entrare liberamente, guardare e, se volevi, comprare. C’era un contrasto evidente fra i colori dell’Omnia, il regno della libertà, e il grigiore di Palazzo Buonadrata dove aveva sede il liceo classico. E poi c’era l’esperienza liberante dei paperbacks, i libri tascabili che potevi comprare dall’edicolante senza entrare in libreria che era un mondo che odorava di professori. Ed eravamo elettrizzati dai dischi, proprio nel ’69 uscì il doppio album dei Beatles. Comunque il mondo evocato dal manifesto della Lambretta era nato molto prima, almeno dieci anni prima. Le famiglie si trovarono con un reddito che consentiva loro di mandare i figli a scuola, era stata varata la scuola media unificata che portò molti a proseguire gli studi nelle scuole superiori. Il Sessantotto è esploso a causa delle promesse mancate di quel periodo”.

Anche in questo caso Bruschi si rifà alla sua esperienza. “Nelle medie – racconta – mi avevano regalato una bella edizione della Costituzione. Crescendo, ho visto che la realtà concreta era molto diversa dal bel disegno di società tracciato dai costituenti. Il disagio nelle scuole superiori era reale. L’autoritarismo dei presidi e dei professori non è un’invenzione. Fra gli studenti erano diffuse le nevrosi, alcuni avevano il blocco a entrare a scuola; molti erano anche i ritiri”.

Davanti ai pannelli che parlano del mondo cattolico e di Gioventù Studentesca, Bruschi ricorda l’inchiesta sul tempo libero svolta dall’associazione. “Un esperimento innovativo, la sociologia era una disciplina che in Italia non era ancora arrivata. Per questo io sostengo che a Rimini Gs è stata un fenomeno di modernità, americano. Comunque, su seimila studenti frequentanti ritirammo 2600 questionari compilati. E dalle rispose si scoprì che gli studenti avevano solo due ore di tempo libero al giorno, quelli dell’Iti un’ora e un quarto, perché alle ore di scuola e studio si aggiungevano quelle dei trasporti, perché venivano dai paesi del circondario. Quindi il disagio era reale e diffuso”.

Quindi qual è stata la molla che ha fatto scoppiare Il Sessantotto? “ Tutti insieme questi fenomeni che abbiamo visto. Un maggiore desiderio di libertà, il disagio sociale, l’insofferenza per una scuola autoritaria”.

Passiamo davanti a un pannello dove si ricorda la Populorum Progressio di Paolo VI. “In effetti ebbe una grande eco. Noi l’interpretammo nel senso che di fronte alle ingiustizie gli uomini e i popoli avevano il diritto di reagire”. Un pannello mostra i miti dell’epoca: Martin Luther King., Fidel Castro, Che Guevara. “Ricordo che eravamo a una tre giorni di Gs e arrivò la notizia della sua morte. Tutti fummo dispiaciuti”. Un altro pannello ricorda la “scoperta” dell’America Latina. “Su Rimini Studenti c’era Stefano Perugini che scriveva molti articoli sul tema”. Passiamo di fronte al pannello su don Milani. “La prima presentazione di Lettera a una professoressa la fece un circolo laico, il Gobetti. Poi lo riprese una docente cattolica del Serpieri, Loretta Forlani, e presto diventò un testo fondamentale, insieme a L’uono a una dimensione di Marcuse”.

Se c’è u punto che la mostra forse non mette adeguatamente in evidenza è come si è passati dallo spontaneismo iniziale alla ideologizzazione seguente. “L’anno scolastico 1967/68 si muove fra proteste di tipo sindacale e i primi accenni di contestazione politica globale. E si conclude in giugno con l’assemblea al cinema Italia in cui nasce ufficialmente il Movimento Studentesco Riminese. Nell’anno 1968/69 già comincia la polarizzazione fra le diverse componenti: la Fgci, Lotta Continua, l’Unione dei marxisti-leninisti, Servire il popolo”.-

Come è avvenuto il passaggio? Secondo Fabio Bruschi “è stato il riflesso ideologico della nostra sconfitta”. Cioè? “Ci eravamo mossi per chiedere il cambiamento della scuola. Al convegno di Gs del 7 aprile avevamo presentato proposte molte innovative e radicali. Ma non ebbero un seguito. E allora arrivò la grande polarizzazione fra gli estremisti e la burocrazia ministeriale. Io scelsi di stare con gli estremisti. Il grande errore di quel periodo è stato di abbandonare il terreno della scuola e dell’università per approdare all’estremismo ideologico. Come ha rinosciuto anche Anna Bravo in un suo libro”.


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