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La tassa sui passi carrai e l'anomalia fiscale di Rimini

Domenica, 17 Dicembre 2017

I consiglieri comunali hanno tempo fino alle ore 13 del 20 dicembre per presentare eventuali emendamenti al bilancio di previsione 2018 che poi sarà discusso e approvato nella seduta del 21 dicembre.

Sarà interessante vedere se arriveranno proposte alternative (e quali) alla decisione più discussa di questo bilancio e cioè la reintroduzione della tassa sui passi carrai.

Giovedì scorso, presentando il bilancio, l’assessore Gian Luca Brasini ha sostenuto la singolare tesi che la tassa sui passi carrai non rappresenta un inasprimento della pressione fiscale perché si tratta di un atto non obbligatorio rivolto alla generalità dei cittadini (la paga solo chi vuole il cartello con il divieto di sosta davanti al proprio cancello).

In realtà la contrarietà al nuovo balzello è molto diffusa. A partire dallo stesso partito di maggioranza, il Pd, dove esponenti importanti, come l’ex segretario provinciale Juri Magrini, e il circolo del V Peep, si sono detti contrari. Secondo il suddetto circolo, la decisione della giunta è inaccettabile nel metodo (proporre le questioni senza il tempo necessario alla discussione rende di fatto impossibile qualsiasi tentativo di trovare alternative o migliorie alle proposte fatte), e nel merito perché “la tassa sui passi carrai ha una lunga storia alle spalle che ha portato alla sua abolizione condivisa da tutte le forze politiche riminesi con delle motivazioni che a tutt’oggi riteniamo siano più che mai valide poiché vessatoria e in larga parte iniqua, che oltretutto getta cattiva luce su quanto di buono e di grande l’attuale Amministrazione sta facendo”. A sua vota Magrini ha osservato che “sarebbe più utile e coerente, per esempio, sfruttare al massimo l’imposta di soggiorno piuttosto che reintrodurre (con tutti i gravami organizzativi e gestionali) la “tassa” sui passi carrai. Avremmo lo stesso risultato amministrativo, e magari qualche cittadino riminese non arrabbiato.”

Sul fronte dell’opposizione, Gioenzo Renzi si è detto contrario perché la nuova tassa penalizza il centro storico. Inoltre “su un bilancio comunale con una spesa di 180 milioni basterebbe tagliare tante spese superflue a cominciare dalle feste o risparmiare su tanti interventi malfatti e costosi”. Gennaro Mauro, del Movimento per la sovranità, sostiene che “Prima di mettere le mani nelle tasche dei cittadini bisognerebbe razionalizzare la spesa pubblica, migliorare l’efficacia dell’amministrazione comunale, con una sburocratizzazione degli uffici”; “Se proprio vogliamo introdurre la tassa sui passi perché non destiniamo l’intero gettito dei prossimi anni alla riqualificazione del lungomare Rimini Nord e dei viali delle Regine?”.

Nessuno fino a questo momento ha messo in discussione la destinazione dell’introito della tassa (1,4 milioni) che sarà usata per il sostegno all’handicap nelle scuole (470 mila), per interventi sulla sicurezza (500 mila) e altri 430 mila euro per la gestione dei nuovi contenitori culturali (Teatro Galli e Rocca). Il circolo Pd del centro storico, che è favorevole, ha applaudito perché in questo modo il Comune fa qualcosa di sinistra.

Nessuno, in maggioranza e all’opposizione, ha sollevato il tema che la scelta della giunta implica: i costi di gestione del rinato Teatro Galli e le modalità della gestione (tutta in capo al Comune?).

È auspicabile che il dibattito in consiglio comunale porti chiarezza su questo punto. Le dichiarazioni di Brasini in sede di presentazione lasciano intendere che sarà così, cioè che la gestione del Galli sarà esclusivamente pubblica. Brasini ha introdotto infatti un inciso importante: ha detto che a Rimini, con il venire meno della capacità di spesa della Fondazione Carim a causa delle note vicende, tutto il peso della cultura e dello spettacolo sarà d’ora in poi a carico del Comune.

L’assessore al bilancio ha cercato di fornire risposte preventive alle possibili e naturali obiezioni alla decisione dell’amministrazione, e ha evidenziato un aspetto che sembrava un assist a quanti pensano di fare proposte alternative.

Andiamo con ordine. Secondo Brasini, il Comune di Rimini ha le carte in regole sul fronte della riduzione della spesa e del recupero dell’evasione fiscale. Con la riduzione dei dirigenti dal 30 a 20 sono stati risparmiati 7 milioni, sono stati drasticamente ridotti gli incarichi esterni, sono diminuiti gli oneri finanziari grazie alla riduzione del debito. Sono stati recuperati 10,3 milioni di evasione Imu e Tari. A fronte di maggiori spese di 7 milioni, è necessario che entrino almeno 1,4 milioni di euro per non creare squilibri al bilancio.

Per documentare la “buona” politica fiscale dell’ente, ha sottolineato che l’addizionale Irpef è ferma da tempo all’aliquota massima dello 0,3 mentre in tutti i capoluoghi della Regione è allo 0,8. Non solo: a Rimini godono della soglia di esenzione concessa a quanti non superano i 17 mila euro di reddito oltre 60 mila contribuenti. E qui Brasini ha messo in evidenza l’anomalia riminese: In Regione, la media di reddito dichiarato pro-capite è più bassa rispetto a un presunto Pil pro-capite più alto. Senza dirlo esplicitamente, Brasini ha alluso all’evasione dell’Irpef, ancora molto praticata. Quindi, se si concede l’esenzione dall’addizionale a quanti dichiarano meno di 17 mila euro, c’è il concreto rischio di premiare, oltre a chi ha effettivamente bisogno, anche chi evade allegramente. Questa conclusione l’assessore non l’ha tratta, la traiamo noi. Ma è un interessante spunto di riflessione per rivedere la politica fiscale dell’ente, compresa la discussa tassa sui passi carrai.


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