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Quel filo che lega don Benzi a Wojtyla, Benedetto e Francesco

Lunedì, 30 Ottobre 2017

C’è un filo evidente che unisce san Giovanni Paolo II, Benedetto XV e Francesco nel loro atteggiamento nei confronti di don Oreste Benzi, e c’è anche un filo che unisce i tre papi citati e il sacerdote riminese nella coscienza della missione e delle urgenze della Chiesa nel mondo contemporaneo.

Una riflessione su questo tema così interessante per capire la statura religiosa del prete dalla tonaca lisa l’ha svolta sabato a Bologna in professor Guzman Carriquiry, a lungo sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Laici ed oggi segretario della Pontificia commissione per l’America Latina. Nel corso del suo mandato, don Benzi presentò la domanda e ottenne il riconoscimento vaticano della Comunità Papa Giovanni XXIII.

Don Benzi ha sempre vissuto «una comunione affettiva ed effettiva» con i pontefici che si sono succeduti. Il tempo di papa Wojtyla è quello della piena accoglienza e valorizzazione della fioritura di comunità e movimenti che, come carisma di grazia e di luce, hanno fatto irruzione nella Chiesa del Novecento. I nuovi movimenti ecclesiali erano visti come un frutto dello Spirito che rende contemporaneo Cristo alla storia. Il 7 ottobre 1998 ci fu il primo riconoscimento per la Papa Giovanni XXIII e il 29 novembre del 2004 don Benzi e i suoi amici furono ricevuti da Giovanni Paolo II.  «Per dare autentico amore ai fratelli è necessario attingerlo in Dio. Per questo opportunamente voi dedicate soste prolungate alla preghiera, all’ascolto della Parola di Dio, e fondate tutta la vostra esistenza su Cristo».

Il papa polacco – ha sottolineato Carriquiry – chiese un nuovo dinamismo missionario alla Chiesa, e non è un caso che l’espansione della Comunità nel mondo sia avvenuta in larga parte nel corso del suo pontificato. Ma Wojtyla è stato anche il papa che nei suoi documenti ha sviluppato un’attenzione alle vecchie e nuove forme di povertà e ribadito l’amore preferenziale per i poveri. E don Benzi e la sua comunità lo hanno ripreso «andando oltre l’assistenzialismo umanitario, spogliandolo da ogni deriva ideologica, vivendolo nella gratuità». Hanno dato vita a quella «fantasia nella carità» chiesta da Giovanni Paolo II.

Di Benedetto XVI resta il telegramma spedito alla morte di don Benzi, definito «un infaticabile apostolo della carità», ed il saluto rivolto al termine di un’udienza generale due anni dopo la morte: «La feconda eredità spirituale di questo benemerito sacerdote sia per voi stimolo a far fruttificare nella Chiesa e per il mondo la provvidenziale opera da lui iniziata a favore degli ultimi della nostra società».

Carriquiry si è quindi soffermato sull’eccezionale sintonia che si coglie fra il carisma di don Benzi e papa Francesco, rimarcando che il sacerdote ha anticipato la testimonianza e i temi fondamentali del magistero dell’attuale pontefice.

Don Oreste e le sue opere hanno anticipato l’insistenza di Francesco sul senso profondo della misericordia «come abbraccio dell’amore del Padre misericordioso che non esclude nessuno, che non pone precondizioni morali per l’incontro e l’accoglienza, che si carica di tutte le nostre fragilità per essere compagnia e salute di una umanità ferita».

Carriquiry si è detto persuaso che il carisma di don Benzi e le sue opere siano in sintonia con le nuove categorie degli esclusi, degli sfruttati dei nuovi schiavi, di cui parla spesso Francesco. Nella Evangelii Gaudium, che è il documento fondante di questo pontificato «non c’è pauperismo settario, niente dei vecchi arnesi del’ideologia, nessun progetto di cambiamento sociale deciso a tavolino».

Quello di don Benzi è per Carriquiry un carisma di prossimità solidale, pieno di tenerezza e di compassione, di passione per stare in mezzo ai bisogni e alle speranze della gente. «Le comunità e le opere del sacerdote sono ante litteram quell’ospedale da campo che secondo Francesco deve essere la Chiesa, chiamandola così ad una conversione pastorale». Solo la prossimità dell’amore rompe pregiudizi e resistenze, apre i cuori, porta con sé un’attrattiva, fa sorge domande che preparano all’annuncio del Vangelo. Tutt’altro che rimanere rinchiusi tra i muri ecclesiastici o anche tra i muri della propria associazione». Carriquiry legge insomma il carisma di don Oreste come realizzazione di quella dimensione missionaria della Chiesa, in uscita.

E così siamo all'altro filo che lega don Oreste ai tre papi citati, come emerge anche dall’Introduzione alla nuova edizione del libro intervista Con questa tonaca lisa, tornato in libreria nel decennale della morte del sacerdote (a cura di Valerio Lessi, edizioni San Paolo.

Un capitolo fondamentale dell’intervista è dedicato alla situazione della Chiesa, che in quel momento il sacerdote vedeva come «assediata e disarmata». E questo avveniva perché la Chiesa si attardava a confidare nelle strutture, nei documenti, nei convegni, anziché riconoscere la novità, frutto dello Spirito, delle nuove comunità e movimenti. Si muoveva come se esistesse ancora una cristianità mentre un popolo cristiano era tutto da ricostruire. La valorizzazione dei movimenti è stata un tratto distintivo del pontificato di Giovanni Paolo II. L’esigenza di una riforma della Chiesa che abbandonasse la fiducia nelle strutture e gli apparati per affidarsi invece all’imprevedibilità e libertà dello Spirito era un tema centrale ella riflessione del cardinale Jospeh Ratzinger, espressa anche nel famoso intervento al Meeting di Rimini del 1990 e ribadita più volte anche nel corso del pontificato. E sulla stessa scia si colloca Francesco quando insiste sulla Chiesa in uscita, quando invita i cristiani ed anche i movimenti a non essere autoreferenziali. Nel libro intervista Con questa tonaca lisa, don Benzi esprimeva, con la sua sensibilità, questi contenuti sommariamente ricordati. Se don Benzi rivendicava la valorizzazione dei movimenti e delle comunità ecclesiali non lo faceva per una nuova forma di autoreferenzialità (dalla Chiesa-istituzione alla Chiesa-movimento) ma ai fini della missione nel mondo. «Lo scopo – diceva - è che la Chiesa diventi prossima a ogni persona attraverso comunità missionarie che, salvate da Cristo, diventano contagiose per gli altri, riescono a far innamorare di Cristo». È quella stessa comunicazione del cristianesimo “per attrattiva” che Francesco ama spesso richiamare.


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