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Cacciari e il tema decisivo dell'esistenza

Mercoledì, 22 Febbraio 2012

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CACCIARI AFFRONTA UN PUNTO DECISIVO DELL'ESISTENZA. E RIEMPIE


Vi è una domanda che occorre porsi, a seguito della notevole presenza di pubblico, colto e attento, sempre presente alle scorrerie romagnole che da tempo Massimo Cacciari sta effettuando. Nella nostra terra, dove tornerà a metà marzo per parlare della tragedia greca, in quel di Misano, come altrove, le sue lezioni sono gremite. La domanda è: “cosa attrae? Cosa muove tanta gente a tali eventi?”.
E la risposta non è misteriosa o complessa da trovare.


Si prenda l’ultima conferenza, a Rimini, per la Fondazione Carim, presso l‘Aula Magna dell’Università. L’aula piena. E piena anche la sala collegata in video. La risposta non è certo misteriosa, nè banale (notorietà, immagine e via dicendo), ma pesca nell’essenza di quanto Cacciari va dicendo.
Analizzando l’Umanesimo tragico, Cacciari delinea l’abisso in cui l’uomo versa e delinea la grandezza del’Umanesimo come coincidente con la capacità di porre lo sguardo su tale orrido e vacuo destino. La morte, l’abisso, il nulla incombono. Così l’ “Occhio alato” di Leon Battista Alberti diventa metafora dell’uomo rinascimentale, che ora vede, ha il coraggio di guardare questa terribile verità.
E’ dunque l’indagine sull’essenziale che senza dubbio rende le sue conferenze così ricche di fascino. Esse “bucano” l’attenzione proprio perchè toccano il punto più sensibile e decisivo della propria esistenza.


Ma un passaggio in particolare lascia incuriositi e apre ulteriori domande. Nel commento alla Resurrezione di Piero della Francesca, Cacciari proietta questo sguardo sul nulla, questo sguardo terrificante e drammatico, sullo stesso Cristo risorto. A dispetto dei dormienti, gli uomini del volgo che non sanno quello che fanno, ai piedi del Cristo, Egli vede, ha lo sguardo conficcato dritto nel dramma umano. Ma, osserva Cacciari, è uno sguardo vuoto, drammatico, perso. Cosa vede Cristo? Cosa vede l’uomo dell’umanesimo, cosa vediamo noi, se usciamo dal consueto rapportarsi con la banale funzionalità delle cose? La risposta di Cacciari è categorica: il nulla. L’uomo è un essere proiettato sulla morte. Ma un attimo dopo, anzi allo stesso tempo, Cacciari incalza. “Eppure quel Cristo è realmente risorto. E’ risorto, se ne sta imperioso in piedi. Ma è risorto proprio lì, in mezzo a loro che dormono, in mezzo al nulla della condizione umana”. E’ risorto ma vede quel nulla tragico.


E’ interessante questa propensione ad evitare in tutti i modi una facile edulcorazione del dramma umano, assorbendolo magari in un’agiografica e spiritualistica visione della vita. E’ interessante, al contempo, il non cadere nel consueto scetticismo saccente, così spesso pronto a riempire le conferenze degli eventi culturali cittadini di mezza Italia.
Ma che significa che quel Cristo è realmente risorto? Che significa, dal punto di vista della risurrezione, guardare avendo nello sguardo il vuoto terrificante della vita umana?
Su queste domande abbiamo interpellato Cacciari.
In attesa di una sua risposta, che auspichiamo, magari in prossimità del suo incontro misanese, rimane aperta la domanda.


Occorre infatti evitare in tutti i modi il gioco ilare sul tragico, che molto spesso sostituisce il tragitto che la ragione stessa, ponendo tali domande ultime, chiede di percorrere. Sarebbe davvero un inganno deplorevole se si cadesse in un estetismo, privo degli sviluppi totali e degli orizzonti pieni, propri della stessa ragione. Ragione, che forse può tuttavia trovare risposta, unicamente in un’esperienza. L’esperienza della resurrezione, presente e prossima. Appunto.


Emanuele Polverelli