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Meeting, l'amicizia coi buddisti e i "sassolini" di Vittadini

Lunedì, 21 Agosto 2017

Una eredità da riguadagnare per il popolo del Meeting è quella della straordinaria amicizia fra don Luigi Giussani e il professor Shodo Habukawa, monaco buddista giapponese. Sono trascorsi trent’anni da quando il sacerdote milanese volò in Giappone per conoscere i monaci del Monte Koya. Da quel primo incontro del 1987 è nata un’amicizia che è continuata e che ha coinvolto altri amici di don Giussani, fra cui Mauro-Giuseppe Lepori, abate generale dell’ordine cistercense. E per fare memoria di quell’incontro e di quell’amicizia c’erano oggi sul palco del Meeting gli stessi Habukawa e Lepori. “Per noi – ha osservato Lepori – l’incontro fra Giussani e Habukawa è stato l’incontro fra due padri e l’eredità che ci hanno lasciato è un’eredità di padri. Riguadagnare questa eredità vuol dire il compito di continuare l’amicizia”.

L’incontro è cominciato con un momento di preghiera parallelo dei monaci buddisti (vestiti con i loro coloratissimi abiti liturgici) e di un coro diretto da Guya Valmaggi. Mentre pregavano e cantavano i monaci gettavano fiori di loto perché la tradizione vuole che chi prende quei fiori è una persona amata dal Mistero.

La parole mistero e cuore sono centrali per capire questa singolare eredità. Giussani – ha detto Habukawa – ci ha insegnato che per fare esperienza del mistero è necessario aprire il cuore a tutto ciò che esiste nel mondo.

L’abate Lepori ha offerto ai presenti una densa meditazione che ha presso le mosse da una “calligrafia” che Habukawa gli ha donato. “Tutti quelli che vanno a trovare un grande maestro o una persona virtuosa hanno il cuore vuoto ma grazie all’incontro con lui tutti saranno salvati e torneranno sulla strada di casa con il cuore pieno di soddisfazione”

L’unica condizione per incontrare un grande maestro – ha quindi commentato Lepori - è avere un cuore vuoto, cioè un cuore pieno di desiderio di felicità, che anela ad una pienezza, che non si riempie da sé o con se stesso. Proseguendo nella meditazione, ha introdotto un’inedita lettura della parabola del figliol prodigo, visto come colui che, dopo una vita svuotata, riguadagna l’eredità del padre perché ha dato ascolto al proprio cuore. Ed ha anche aggiunto una interessante osservazione: “Se oggi l’uomo contemporaneo dilapida l’eredità paterna non lo fa solo per la ricerca di libertà, indipendenza o piacere, m perché l’eredità che si è preteso di trasmettere, anche culturale o religiosa, era una eredità senza paternità, che ha preteso di trasmettersi senza il padre che la dona”.

Il Mediterraneo e l'eredità di La Pira

L’altra eredità con cui il Meeting oggi ha fatto i conti è quella di Giorgio La Pira, il sindaco santo di Firenze. In particolare la sua visione del Mediterraneo, piccolo lago, dove sono emersi i pilastri della nostra civiltà: l’eredità religiosa, con Abramo e le tradizioni che da lui prendono vita; l’eredità del pensiero razionale dei greci e della filosofia araba, l’eredità del diritto romano. Gli stessi pilastri Gerusalemme, Atene e Roma – ha osservato il moderatore Andrea Simoncini – indicati alcuni anni fa da Benedetto XVI nel discorso al Bundestag. A parlare di Mediterraneo erano stati invitati Nassir Abdulaziz Al-Nasser, alto rappresentante dell’ONU per l’Alleanza delle Civiltà, Saifallah Lasram, sindaco di Tunisi, e Dario Nardella, sindaco di Firenze. Non casuale la presenza dei sindaci, perché l’altro aspetto dell’eredità lapiriana è il ruolo della città nella costruzione del dialogo per la pace, un ruolo che Nardella vuole continuare ad assolvere..

L'eredità dell'Europa

Ed infine l’altra eredità da riguadagnare, nel programma di lunedì del Meeting è stata l’Europa, - un’eredità che ormai da molti è piuttosto vista come una sciagura. Protagonisti dell’incontro l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta e il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. Particolarmente interessante l’intervento di Letta che ha esordito dicendo di trovare consonanza tra il titolo scelto e la responsabilità che oggi ciascuno di noi ha: riguadagnare ciò che i padri dell’Europa ci hanno lasciato per farlo rivivere. Avvertendo che le ragioni che oggi possono di nuovo far innamorare dell’Europa non sono le stesse che ebbero i padri fondatori. Bisogna prendere atto che il mondo è cambiato, nello spazio di vita di una generazione nel mondo – per esempio - siamo passati da tre a dieci miliardi, e gli europei che erano un sesto della popolazione mondiale sono diventati un ventesimo. È una Europa che non ha un unico centro, Bruxelles, ma ha tanti capitali, un’Europa nella quale va valorizzato il protagonismo di ogni popolo. Dopo le elezioni tedesche di settembre ci sarà un rilancio del processo di integrazione europea e l’Italia dovrà essere presente perché "se noi non ci saremo, faranno senza di noi". L’ultima nota Letta l’ha dedicata alla sua recente esperienza di docente, osservando che la sfida dell’educazione può essere vinta se essa diventa trasmissione di un’esperienza.

I "sassolini" di Vittadini

In conclusione il moderatore Giorgio Vittadini ha voluto levarsi qualche sassolino dalle scarpe in risposta a chi critica il Meeting perché non avrebbe una posizione chiara sulle cose. L’identità non è uno schieramento - ha detto – chi si attarda su queste logiche rappresenta il vecchio che avanza. Ed ha poi precisano le cose che piacciono al Meeting: piacciono le istituzioni, specialmente quelle elette dal popolo; piace un’Europa della sussidiarietà, della valorizzazione delle comunità locali, ma senza i nazionalismi dell’Ottocento; piacciono uomini che ragionano sui problemi e non offrono soluzioni banali, che non riducono il mondo ad un confronto fra bianco e nero ma apprezzano un mondo a più colori; piacciono leader politici che facciano la fatica di trovare soluzioni reali in tempi lunghi e non si limitano a ridicolizzare quelle dei loro predecessori; piacciono le testimonianze di chi, grazie alla loro esperienza, è in grado di offrire un metodo.

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