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Il Meeting, i muri da abbattere e un copyright di La Pira

Lunedì, 21 Agosto 2017

Mediterraneo: costruire ponti abbattere muri. Il titolo di questo incontro di oggi al Meeting (ore 15, Salone B3) è di quelli che fanno storcere il naso di disgusto a quanti ritengono che in questo modo il raduno ciellino abbandoni la sua antica vocazione identitaria e si accodi al politically correct, facendo suoi i contenuti e lo spirito del mainstream. Questa reazione si accompagna all’analoga irritazione per la parola dialogo, che, a prescindere dall’ambiguità con cui viene talvolta usata, è vista sempre come un vocabolo sospetto, nemico di una fiera proclamazione pubblica della propria identità culturale.

Dietro a queste reazioni c’è la convinzione che lo slogan “costruire ponti abbattere muri” sia patrimonio originario ed esclusivo della mentalità progressista oggi molto diffusa, che il suo uso denunci inequivocabilmente le proprie simpatie politiche per la sinistra, e che tutto ciò porti ad una resa senza condizioni del cattolicesimo alla mentalità e al potere dominante. Non è ben chiaro – restando sempre a livello di slogan - quale sia l’alternativa che i bravi cattolici dovrebbero praticare per salvaguardare la propria identità (forse costruire muri? o abbattere ponti?), fatto è che non appena si accenna al tema, scatta una idiosincrasia che non riguarda solo il metodo del dialogo ma coinvolge, di riflesso, anche taluni accenti del magistero di Francesco che a più riprese ha appunto invitato ad abbattere i muri e a costruire ponti.

In realtà il copyright di questa espressione non appartiene alla sinistra o alla mentalità progressista attuale. Nemmeno è un’esclusiva di papa Francesco. Il primo ad usarla è stato un personaggio che appartiene alla migliore storia del cattolicesimo italiano del Novecento, il “sindaco santo” di Firenze, Giorgio La Pira. A meno che, accodandosi alle malevole etichette che i giornali di destra degli anni Cinquanta gli avevano affibbiato (comunistello di sagrestia, pesciolino rosso nell’acquasantiera), non si voglia associare La Pira alla posizione sbrigativamente detta cattocomunista. È però difficile dare del cattocomunista a chi in piena guerra fredda invitava i gerarchi dell’Unione Sovietica a liberarsi del cadavere dell’ateismo di Stato, una zavorra per lo sviluppo dei popoli. O che fondava la sua teologia e teleologia della storia sulle rivelazioni di Fatima e sulla promessa della sconfitta finale del comunismo e della conversione della Russia. O che con Pio XII si vantava di aver inflitto ai comunisti fiorentini una clamorosa sconfitta.

Il 27 febbraio 1970 Giorgio La Pira, mentre sta leggendo un volume sui rapporti fra Chiesa e Stato nella storia, prende carta e penna e scrive una delle tante lettere che ha inviato all’amico Paolo VI. Il contenuto è quello topico della visione lapiriana della storia: viviamo un cambiamento d’epoca («età nuovissima, atomica, spaziale, demografica, millenaria, scientifica») che spinge inevitabilmente verso l’unificazione del mondo. E questo mondo va unificato «facendo ovunque ponti ed abbattendo ovunque muri». C’è un corollario che la Pira aggiunge e che spiega perché lui ne parli con il papa: «questa unificazione non è possibile -quasi non ha senso- se non passa (in certo modo) da Pietro». Anche perché nell’attuale cambiamento d’epoca, rimbalza dalla Chiesa ai popoli la domanda di Gesù: «E voi chi dite che io sia?». Ciò che propone è che la Chiesa torni ad essere il centro di gravità delle nazioni, perché essa ha una propria soggettività politica e giuridica. Abituato a parlare con libertà e franchezza ai pontefici, la Pira spiega a Paolo VI che «La “fiacchezza” della polemica occidentale (postconciliare, come si dice) sta nel mettere “in disparte” (per così dire) questa soggettività giuridica e politica della Chiesa». Usando una metafora, possiamo dire che egli propone che di questo cantiere per abbattere muri e costruire ponti e per unificare il mondo la Chiesa deve assumere la direzione lavori. Con spirito profetico, La Pira intuisce che il destino della Chiesa si giocherà sempre più nell’est (quando scrive il muro di Berlino è ancora in piedi) e nel sud del mondo, dove in quegli anni si affacciavano e si agitavano i popoli usciti dal processo di decolonizzazione. E conclude che la Chiesa «solo “attraverso i barbari” potrà ricomporre (per così dire) “l'impero romano in decadenza” e potrà ricomporre (per così dire) “il nuovo impero”, “l'unità nuova dei popoli”», che riporterà in evidenza la soggettività storica, giuridica e politica della Chiesa.

La lunga digressione è stata necessaria per capire come e in quale contesto sia nata l’espressione “abbattere muri, costruire ponti” . È difficile associarla al cattocomunismo, se proprio le si deve dare un’etichetta, la si può magari chiamare neoguelfa, e quindi non ha proprio nulla di progressista. Ciò non significa che a volte non sia usata in modo orrendamente superficiale, ma di tutto va trattenuto il valore ed eliminate le scorie.

La riflessione di La Pira sui movimenti storici è molto più ampia e articolata di quella brevemente tratteggiata in questa lettera a Paolo VI (e non è scopo di questo articolo approfondirla). Notiamo solo che giustamente il Meeting ha associato il tema dei muri e dei ponti a quello del Mediterraneo. E qui siamo nel cuore dell’impegno del sindaco di Firenze per la pace e l’unità fra i popoli. Forse non caso all’incontro, insieme a Nassir Abdulaziz Al-Nasser, Alto Rappresentante dell’ONU per l’Alleanza delle Civiltà, e al sindaco di Tunisi, Saifallah Lasram, è stato invitato anche il suo successore a Palazzo Vecchio, Dario Nardella. Fra gli anni Cinquanta e Sessanta, Firenze ospitò, organizzati da La Pira, i Colloqui per la pace e la civiltà cristiana e i Colloqui mediterranei, ai quali erano invitati i rappresentanti di tutti i popoli, anche quelli, allora come oggi, in guerra fra loro. Per la Pira, il Mediterraneo era una sorta di Lago di Tiberiade sul quale si affacciano i popoli che appartengono alla triplice famiglia di Abramo, e cioè ebrei, cristiani e musulmani. I popoli che abitano sulle sponde di questo “lago”, proprio perché tutti discendono dall’unico patriarca Abramo, sono destinati a superare i contrasti e a vivere in pace. È la comune discendenza da Abramo a chiamare i popoli del mediterraneo all’unità, e non, come è di moda dire oggi, perché tutti appartengono alle “religioni del libro”.

“Abbattere muri, costruire ponti”, non è dunque uno slogan pericoloso ma un’indicazione di metodo che ha avuto nella storia illustri e autorevoli pionieri.

Valerio Lessi


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