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Vittorio Tadei: "Così ho rischiato i miei talenti"

Mercoledì, 13 Luglio 2016

L’11 novembre 2011 c’è stata la convention per i 50 anni della Teddy. In quell’occasione Vittorio Tadei tenne questo discorso che è una sorta di testamento spirituale che aiuta a conoscere questa straordinaria figura di uomo e di imprenditore.

 

Innanzitutto grazie a tutti per essere venuti fin qua da tutto il mondo.

Siete tanti, quasi mille, ed io guardandovi mi rendo conto che la Teddy è diventata qualcosa di ancora più importante di quello che io potevo immaginare, qualcosa di più grande anche dei miei desideri.

Sono contento perché questo significa che il Signore ci ha veramente sostenuto e fatto crescere, accompagnandoci giorno dopo giorno, in mezzo a tante difficoltà.

E la grandezza di quest’azienda per me è una prova non solo della Sua esistenza, ma anche del Suo sguardo pieno di attenzione e di amore nei confronti della Teddy e della mia famiglia.

Ed è per questo che vale la pena fare festa: perché non siamo soli, perché abbiamo veramente un “socio di maggioranza” con cui tutto è possibile.

Fin da quando ero piccolo, ci sono 2 frasi che mi hanno sempre accompagnato, aiutandomi ad affrontare le circostanze che la vita mi ha messo davanti.

La prima l’ho letta quando avevo 13 anni, nella mia casa bombardata di via Abruzzo, a 300 metri da qui, quando un pomeriggio del 1948, camminando tra le macerie, ho trovato un libro aperto dove ho letto queste parole: “L’uomo è amministratore dei beni che dispone e non padrone.”

Questa è la dottrina sociale della chiesa ed io, che ai tempi non possedevo nulla se non una bicicletta, ho sentito risuonare queste parole nell’intimo del mio cuore, tanto che anche oggi che sono passati 63 anni – ne sento ancora più intensamente la profonda verità.

Magari adesso voi non lo capite, ma sentirmi amministratore e non padrone della Teddy mi ha regalato tutta la libertà, la forza e il coraggio di cui avevo bisogno per affrontare il business e tutti i suoi problemi.

Un “padrone” ragiona solo per il proprio tornaconto e per il proprio interesse personale, quindi fa scelte di tipo speculativo e non ha preoccupazioni se non per il proprio business.

Un “padrone”, se gli conviene, chiude senza preoccuparsi delle persone.

Un amministratore, invece, deve rendere conto al suo “socio di maggioranza” che gli ha dato i talenti e la forza, quindi non tratta le persone come numeri o oggetti… e non chiude, ma cerca di far crescere l’azienda nell’interesse del bene di tutti, comprese le generazioni future.

Non pensate quindi che io sia speciale, perché in verità mi sono solo giocato i talenti che il Signore mi ha dato, rischiando e mettendomi alla prova, senza la preoccupazione del successo, divertendomi lavorando come un ragazzino.

Quindi se siete qua – coinvolti in quest’avventura che si chiama Teddy –è grazie alla forza che il Signore mi ha dato. E la cosa bella è che non mi ha tenuto compagnia in modo astratto e intangibile, ma attraverso la compagnia e l’amicizia di tanti amici e tante persone, persone sante come Gigi e don Oreste.

Senza di loro, che insieme a mia moglie sono stati lo strumento privilegiato di questa compagnia del Signore alla mia vita, adesso noi non saremmo qua.

E sicuramente non smetterà di esercitare il suo ruolo di “socio di maggioranza”, visto che chi adesso porta avanti l’azienda ha una fede autentica, spero più grande anche della mia!

La seconda frase che mi ha guidato in questi 50 anni l’ho letta sul muro di un convento vicino a Pistoia, dove mi ero fermato per cambiarmi prima di una gara di ciclismo.

Ce l’ho ancora stampata negli occhi: “A cosa ti giova guadagnare il mondo intero se poi perdi l’anima?. Io, che ancora non guadagnavo il becco di un quattrino, non sapevo bene cosa volesse dire Gesù con questa frase, ma subito ne ho intuito il fascino: nella mia vita non mi sarei preoccupato di guadagnare, ma solamente di essere me stesso, di essere felice.

E così è stato, perché non ho mai avuto la preoccupazione di fare i soldi, ma solo di costruire qualcosa di bello e grande, qualcosa che desse lavoro alle persone e aiutasse chi vive in difficoltà – questo l’ho capito grazie a Gigi – fuori e dentro la Teddy.

Ho costruito la Teddy perché capivo che questa era la missione della mia vita, che solo lavorando così sarei potuto essere felice… e chi nella vita non vuole essere felice?

E oggi, anche se ho guadagnato un pezzettino di mondo, mi sento me stesso. Perché l’importante è trovare la propria strada, la propria missione, qualcosa che “dia un significato alla propria vita”, come dice il secondo punto del Sogno.

E io spero con tutto il mio cuore che il lavoro vi aiuti a trovare, oltre una stabilità economica, anche la vostra strada e la vostra vocazione. Se mi dovessi mettere a fare i nomi di tutte le persone che devo ringraziare per la passione e il coraggio con cui hanno lavorato per la Teddy non smetterei più, perché fortunatamente sono tante.

Voi che in questo momento dite: “Io, io sono una di quelle persone!” sappiate che, oltre alla vostra felicità, avete fatto anche la felicità dei più giovani qui tra noi… giovani che adesso grazie al vostro impegno possono lavorare qua… giovani che hanno il compito di innovare e guidare l’azienda nel futuro. Dovete essere fieri di voi stessi, perché siete riusciti in un’impresa che tutti dicevano impossibile: noi, senza mezzi e senza troppi studi, siamo arrivati dove nessuno immaginava.

E adesso ai giovani il compito di guidare i prossimi 50 anni… 50 anni che speriamo siano ancora più belli di quelli che abbiamo vissuto noi. Perché è proprio vero che “il lavoro è il più grande gesto di solidarietà che una generazione fa all’altra”.

Ultimo punto. La mia famiglia, Gigi compreso, non lascerà mai la Teddy. Abbiamo organizzato il futuro in modo molto chiaro e tutti desideriamo che quest’azienda cresca per almeno altri 500 anni. Abbiamo sistemato tutto anche a livello societario: rimarremo sempre un’azienda famigliare perché la Teddy non è un’azienda come le altre, perché il suo motore non sono le strategie finanziarie o commerciali, ma la passione di chi ogni giorno arriva al lavoro con il desiderio di costruire qualcosa di grande che rimanga nella storia.

Poi vi lascio il mio Sogno, che non è altro se non quello che io ho sempre desiderato vedere realizzato, affinché lo possiate fare vostro e – con tutta la vostra personalità e la vostra sensibilità possiate renderlo concreto ogni giorno di più. Io quello che dovevo fare l’ho fatto: adesso mi divertirò a guardarvi crescere aspettando di abbracciare quel Signore che ho sempre pregato e cercato ovunque.

Nel frattempo non penso proprio di andare in pensione, ma di continuare a dare il mio contributo lì dove serve mi dedicherò con passione alla Fondazione che abbiamo creato per Gigi – la Fondazione Gigi Tadei per renderla operativa e condividere tutti i progetti legati al sociale con la mia famiglia. Sono sicuro che la Fondazione sarà un richiamo continuo per l’azienda Teddy a non dimenticare mai quell’attenzione agli ultimi, a chi ha bisogno a chi chiede che Gigi ci ha insegnato.

Comunque, sappiate che la gioia di vedere la Teddy andare avanti con le sue gambe,

per un amministratore, è la felicità più grande, perché significa che tutto quello che ci siamo detti è veramente vero: “Beato l’uomo che crede nel Signore”. Ecco, dopo 50 anni di Teddy questo è tutto quello che posso dirvi: “Beato l’uomo che crede nel Signore”.

Vittorio Tadei


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